Alla vigilia del Premio Strega vi proponiamo un’analisi del “j’accuse” di Pier Paolo Pasolini, pubblicato sulle pagine del quotidiano Il Giorno il 24 giugno 1968. Con grande clamore Pasolini si ritirava dalla competizione letteraria, a cui quell’anno concorreva con il romanzo Teorema edito da Garzanti, e titolava il suo plateale atto d’accusa con parole sferzanti come un colpo di sciabola: “In nome della cultura mi ritiro dallo Strega”.
Cosa scrisse Pasolini in quell’articolo? E, soprattutto, le sue motivazioni erano valide? Possono dirsi ancora attuali? Vi proponiamo di seguito un’analisi della polemica pasoliniana contro il Premio Strega.
Pasolini e il Premio Strega: il j’accuse
Link affiliato
Non era la prima volta che Pasolini partecipava al Premio Strega. Aveva già tentato nel 1955 con Ragazzi di vita e, quattro anni dopo, nel 1959, con Una vita violenta, tra i suoi romanzi più famosi. Nel 1959 era stato a un passo dal vincerlo, ma il trionfo - postumo - del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (dopo una travagliata storia editoriale grande trionfo di vendite di quell’anno) gliel’aveva soffiato sotto il naso. Ora rieccolo per la terza volta nelle vesti di concorrente nel 1968 con Teorema (Garzanti, 1968); ma stavolta c’era qualcosa di diverso, un risentimento ribolliva nella mente dell’autore ed era destinato a esplodere rischiando di travolgere il prestigio del premio stesso e far saltare l’intera competizione. Perché all’improvviso Pasolini decise, in uno dei supremi atti di ribellione che in fondo ben lo contraddistinguono, di non stare al gioco e ritirarsi dal Premio: ovviamente lo fece in maniera plateale. Del resto, era il 1968, l’anno delle contestazioni, delle rivolte studentesche, delle rivoluzioni; un anno in cui nessuno poteva dirsi onestamente “assolto”, tutti erano coinvolti nel ruolo di vittime o carnefici, sopraffatti o sopraffattori, restava solo da decidere da quale parte stare. Sull’onda di quel clima di protesta anche Pasolini formulò il suo j’accuse, destinato a lasciare una traccia indelebile.
La critica di Pasolini al Premio Strega
L’articolo apparve sul quotidiano Il Giorno il 24 giugno 1968 e titolava a caratteri cubitali: In nome della cultura mi ritiro dal Premio Strega.
Pasolini iniziava con un attacco formidabile:
La prima reazione di un osservatore oggettivo e un po’ indifferente, nel venire a sapere che un partecipante al Premio Strega, poco prima della seconda votazione, ritira il suo libro, è che si tratti di una azione scorretta. Ebbene, lo è.
Nel motivare le ragioni del suo ritiro - poi non accettato da Maria Bellonci e dagli organizzatori del Premio - Pasolini sferrava un duro attacco all’“industria culturale” che si era impossessata della nuova Italia borghese e aveva messo lo Strega nelle mani di un’industria di arbitrio neocapitalistico.
Ora tutto è cambiato: mentre allora il Premio Strega era, come dire, una cosa in famiglia, pareva, partecipandovi, di andare a giocare a tombola coi vicini di casa (…) Oggi invece il Premio Strega è venuto a fare parte integrante di quella che si chiama «industria culturale» e si inquadra in una Italia borghese di tipo nuovo.
Pasolini denunciava l’ingerenza dell’editore industriale in un circuito, quello letterario, che l’autore riteneva per definizione “non industriale”. L’eterno conflitto tra editoria commerciale ed editoria culturale si riproponeva nelle parole dell’autore. Il libro, afferma Pasolini, era ormai diventato un “prodotto di consumo” che deve rispondere a parametri di mercato, prettamente economici. Il risultato è che vengono immesse in commercio “opere frivole, libri banali, scrittori privi di talento”.
Lo scrittore definiva il Premio Strega come il “campo di operazioni del più brutale consumismo” e, attraverso il suo ritiro, affermava di non volersi rendere complice di quello stato di cose né di voler accettare compromessi. In conclusione auspicava che lo Strega potesse ricostituirsi da zero, schierandosi finalmente dalla parte degli interessi culturali e non di quelli industriali.
Ora l’industria del libro tende a fare del libro un prodotto come un altro, di puro consumo: non ha bisogno dunque di buoni scrittori: cosa a cui fa perfetto riscontro la richiesta della nuova borghesia, che parrebbe completamente padrona della situazione, di opere di svago, di evasione e di falsa intelligenza. Ripeto: non voglio rendermi complice in alcun modo di questo stato di cose.
Per combattere la sua battaglia ad armi pari Pier Paolo Pasolini auspicava la costituzione di un cosiddetto “sindacato degli scrittori”, che potesse difendere l’indipendenza intellettuale di questi ultimi e tutelarli dalla schiavitù dell’industria editoriale. Un nobile proposito, in fondo, che tuttora non si è avverato.
Ma il ritiro di Pasolini era sincero? Non era forse un gesto dettato dal risentimento o dalle vittorie mancate degli anni precedenti? È curioso, inoltre, osservare che il j’accuse fu pubblicato dopo la prima votazione che vedeva il libro di Pasolini in svantaggio rispetto a L’occhio del gatto di Alberto Bevilacqua che lo distaccava di oltre 40 voti.
Quindi come si concluse l’edizione del 1968?
Il Premio Strega 1968: un’edizione contrastata
Il j’accuse di Pasolini fece clamore, Alberto Moravia e Dacia Maraini si dimisero, per solidarietà, dal ruolo di votanti. Ma il ritiro dello scrittore infine non venne accettato. Alla finale del 4 luglio Teorema partecipò comunque e ottenne 11 voti, segnati in bella vista sulla lavagna ufficiale.
Vinse, come da copione, L’occhio del gatto di Alberto Bevilacqua (un romanzo di cui oggi si ricordano in pochi) e la serata si concluse con fiumi di liquore Strega ad annaffiare il pubblico e pasticcini a volontà. Non era la prima volta che “un gatto” sconfiggeva Pasolini; per una bizzarra coincidenza nel 1955 Ragazzi di vita fu battuto da Un gatto attraversa la strada di Giovanni Comisso, eletto vincitore. Forse a Pasolini sarebbe convenuto cambiare titolo, era evidente che “i gatti” portavano fortuna allo Strega.
L’aspetto interessante, tuttavia, è che il j’accuse di Pasolini lasciò una traccia indelebile, come un’incrinatura su un vetro lucido. Nessuno poteva dire di non averla vista né negarne l’esistenza. Sta di fatto che oggi tutti ricordano il titolo a caratteri cubitali In nome della cultura mi ritiro dallo Strega, che cavalcava l’onda di proteste di quell’anno sovversivo (che sessantotto!), e pochi, molto pochi, la trama del romanzo di Bevilacqua.
Cesare Pavese, dopo aver vinto il Premio Strega nel 1950 con La Bella Estate, dichiarò a un giornalista:
Si consolino i perdenti. I libri più importanti di una generazione non vincono premi.
Detto da un vincitore ha senz’altro più valore, perché la dichiarazione è libera dalle pastoie del risentimento che invece inficiano il j’accuse pasoliniano.
Un mese e mezzo dopo la vittoria, il 27 agosto, Pavese si sarebbe tolto la vita in un albergo di Torino, dimostrando che dopotutto i premi non salvano e la gloria non consola. Due anni dopo la morte di Pavese, nel 1952, un’altra polemica infiammava il premio vedendo contrapposti due grandi romanzieri, Gadda e Moravia: il primo non accettava la vittoria del secondo e gridava al complotto. Eppure oggi - premio o non premio - nessuno si sognerebbe di dire che come scrittore Gadda valga meno di Moravia, anche se l’autore di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana non è stato incoronato dallo Strega.
Ma questa gloria tutti la inseguono come un traguardo, come uno scopo, come il senso dell’esistenza stessa e proprio in virtù di questo accanimento, si sa, finché ci sono premi (letterari e non) ci saranno polemiche.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Premio Strega e polemiche: il “j’accuse” di Pier Paolo Pasolini
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri Pier Paolo Pasolini Storia della letteratura Premio Strega
Lascia il tuo commento