Forse non tutti sanno che Arthur Conan Doyle, il papà di Sherlock Holmes, odiava il suo personaggio. Lo scrittore scozzese ancora oggi è noto per essere il creatore di uno dei più celebri detective della storia della letteratura, l’unico, il solo e inimitabile inquilino del 221B di Baker Street.
La verità è che Conan Doyle detestava Sherlock Holmes, perché si sentiva spodestato dalla propria creatura di carta. Voleva essere ricordato come autore di romanzi storici, ne aveva scritti diversi, e invece ecco che a causa di quell’investigatore con la pipa i suoi lavori migliori venivano dimenticati e lui si trasformava in un autore di gialli. Decise quindi di uccidere il suo personaggio, nel momento esatto in cui si rese conto che la sua popolarità rischiava di tenerlo legato per sempre alle Avventure di Sherlock Holmes. Come in effetti accadde, perché Arthur Conan Doyle uccise il suo personaggio dopo appena 25 libri; però, i lettori si ribellarono, e Doyle fu costretto a riprendere in mano la penna e a riportarlo in vita. Ciò avrebbe dato origine a un capolavoro, forse il libro più noto della saga di Holmes, e anche al perenne malcontento del suo autore.
Vediamo come andarono effettivamente le cose e come, alla fine, Sherlock Holmes uccise Arthur Conan Doyle.
Perché Arthur Conan Doyle uccise Sherlock Holmes?
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Provate a mettervi nei panni di Arthur Conan Doyle, poveretto, che voleva essere ricordato come autore di romanzi storici e invece no; ora i lettori del mondo intero appena sentono pronunciare il suo nome immediatamente lo associano a Sherlock Holmes, il detective dal fiuto infallibile.
Come afferma anche la storica Lucy Worsley, il successo delle storie di Holmes impedì a Doyle di ricevere l’agognato riconoscimento come romanziere storico di alto livello. Tra i suoi libri più noti all’epoca - prima del successo delle avventure di Sherlock Holmes - c’erano La compagnia bianca e La grande ombra (qualcuno oggi li ha mai sentiti nominare?).
Insomma, grazie al geniale detective, lo scozzese Arthur Conan Doyle raggiunse la fama mondiale: ma non era affatto contento. Pensare che, all’inizio, gli editori non volevano neppure pubblicare le storie di Holmes. I primi gialli in cui Sherlock Holmes indagava sui crimini londinesi apparvero a puntate su una rivista, The Strand Magazine, nel 1891. Poi finalmente furono accettati da un editore semisconosciuto che riconobbe nella saga di Holmes esattamente quel che stava cercando, ovvero: “narrativa da quattro soldi”. Ora quelle storie giudicate “da quattro soldi” sopravvivono persino alla memoria del suo autore. Undici anni dopo lo scrittore - grazie al successo ottenuto - fu insignito del cavalierato, una delle massime onorificienze britanniche. Ma continuava a essere un uomo scontento; infatti, quando si era reso conto che la fama del suo personaggio minacciava di oscurare il suo nome, decise di ucciderlo.
La morte di Sherlock Holmes avvenne nel romanzo intitolato The Final Problem (in italiano L’ultima avventura), nel 1893, che aveva un chiaro intento di chiusura della saga: Doyle decise di far precipitare il suo eroe insieme al malvagio professor Moriarty nelle cascate di Reichenbach, nella località svizzera di Meiringen.
Un finale epico: Holmes moriva in modo nobile, sacrificando sé stesso per salvare l’intera umanità e portando con sé, nella morte, il suo acerrimo nemico.
Arthur Conan Doyle era convinto di aver definitivamente concluso la questione, avendo messo il punto finale alla storia (il fatto che fosse l’ultima avventura era stato sottolineato persino nel sottotitolo: “L’ultimo caso de grande detective”).
Ucciso Sherlock Holmes, Doyle era convinto di potersi dedicare finalmente ai suoi amati romanzi storici e a opere letterarie che giudicava “più serie”, pronto a scrivere quella che sarebbe stata veramente la sua “opera della vita”.
Ahimè, quanto si sbagliava.
Sherlock Holmes non deve morire
La vendetta letteraria si compì sulla carta, ma non nella mente dei lettori: nessuno riusciva ad accettare davvero la morte di Sherlock Holmes. Il geniale detective non poteva morire e, infatti, ancora oggi vive scaltrissimo e furbissimo attraverso film, cartoni animati, adattamenti teatrali e cinematografici e gadget di varia natura, a dispetto delle intenzioni del suo autore.
Le conseguenze della morte di Sherlock Holmes furono imprevedibili. I giornali dell’epoca riportano che il pubblico reagì in maniera inaspettata e violenta, come non era assolutamente prevedibile accadesse per un personaggio di finzione. Le persone per le strade di Londra piangevano e portavano il lutto: la data del 4 maggio del 1891, in cui il racconto fu pubblicato, venne ricordata come un rito funebre.
La rivista inglese “Strand Magazine”, che pubblicava regolarmente Le avventure di Sherlock Holmes, ebbe un’impennata di richieste di annullamento degli abbonamenti e rischiò di chiudere i battenti.
Com’era prevedibile Arthur Conan Doyle venne messo sotto pressione: non tanto dalla disperazione (che pure era autentica) dei lettori, ma dalle suppliche degli editori che non volevano perdere quattrini.
Circa un decennio dopo Doyle fu spinto a risuscitare il suo eroe: gli venne offerto l’equivalente di 1,6 milioni di dollari da un editore americano perché scrivesse un altro libro con protagonista Sherlock Holmes. A vincere, alla fine, non fu la tristezza del pubblico ma il richiamo irresistibile del denaro.
Il ritorno di Sherlock Holmes
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Nel 1902 venne pubblicato il celebre romanzo Il mastino dei Baskerville che Doyle ebbe l’accortezza di ambientare prima della morte del detective. Ma il pubblico voleva Holmes vivo e una sola avventura - visto il successo ottenuto con quel nuovo e atteso libro - non bastò a placare la bramosia degli editori.
Un anno dopo, nel 1903, Arthur Conan Doyle fece resuscitare definitivamente il suo personaggio nel racconto L’avventura della casa vuota che sancì il principio della saga Il ritorno di Sherlock Holmes. La scomparsa di Holmes nella cascata di Reichenbach concesse all’autore di non dover dare troppe spiegazioni: il detective semplicemente poteva non essere morto davvero, dal momento che non c’erano prove della sua morte né scene macabre o cruente a certificarla.
Così Doyle continuò, suo malgrado, a scrivere le avventure di Sherlock Holmes, ormai schiavo del proprio personaggio. Sarebbe morto a causa di un attacco di cuore nel 1930, a settantuno anni. Arthur Conan Doyle moriva, ma Sherlock Holmes viveva, sopravvivendo persino alle intenzioni del suo stesso autore.
Lo scrittore George Bernard Shaw avrebbe citato Holmes tra gli uomini più famosi mai esistiti: era ormai considerato una presenza reale, in carne ed ossa, più vero e umano del suo autore. A tal proposito il poeta T.S. Eliot scrisse una riflessione interessante:
Forse il più grande dei misteri di Sherlock Holmes è questo: che quando parliamo di lui cadiamo invariabilmente nella fantasia della sua esistenza.
E per quanto riguarda sir Arthur Conan Doyle, Eliot scrisse:
Cosa ha a che fare lui con Holmes?
Ed ecco come Sherlock Holmes, il geniale detective con la pipa, era riuscito a sventare anche il più temibile dei suoi nemici: un certo Arthur Conan Doyle, che si professava come autore di libri storici, che minacciava di ucciderlo.
Ma Holmes aveva un fiuto infallibile per questi casi; non glielo avrebbe mai permesso, sarebbe stato lui, infine, a uccidere il suo autore.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Quando Arthur Conan Doyle uccise Sherlock Holmes (e i lettori si ribellarono)
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