Quando il primo amore uccide
- Autore: Barbara Samson
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: TEA
Quando questo romanzo è uscito in Francia, a metà degli anni Novanta, il suo successo è stato immediato e clamoroso. L’autrice, poco più che maggiorenne, si chiama Barbara Samson ed è sieropositiva da quando ne aveva diciassette. A contagiarla è stato Anthony, il suo primo amore, che sapeva benissimo di essere malato ma ugualmente ha avuto rapporti non protetti con lei senza rivelarle la sua sieropositività.
Trama: Barbara ha solo diciassette anni quando i genitori, esasperati dalle sue crisi di violenza, dai ripetuti tentativi di suicidio e dal totale rifiuto del cibo, decidono di mandarla in una comunità di recupero, unica alternativa alla clinica psichiatrica. Qui Barbara, profondamente fragile e assetata d’amore, conosce Anthony, trent’anni, ex-tossicodipendente, un passato di espedienti e piccoli crimini.
Anthony è la prima persona che vede arrivando in clinica: le sembra bello, triste e tormentato, mentre osserva il suo arrivo dal balconcino della propria camera, intento a scrivere qualcosa sul quaderno che tiene in grembo. In quel momento la ragazza sa – o crede – di essere innamorata. Quando poi lui le fa leggere le poesie che scrive, tenere e struggenti, piene di errori grammaticali eppure meravigliose, Barbara non ha più dubbi: è lui l’uomo della sua vita, quello a cui concedersi interamente, anima e corpo. Perché pur di essere amata, anche solo un attimo, si può sopportare tutto, si può dare senza pretendere niente: questo pensa quando, nonostante il dolore e il disgusto, si concede ripetutamente senza alcuna precauzione.
Emblematico è il titolo originale dell’opera, “On n’est pas sérieux quand on a dix-sept ans”, un verso di Arthur Rimbaud: non si fa mai sul serio, quando si hanno diciassette anni.
I diciassette anni si spendono nella ricerca dell’amore, quello con la “A” maiuscola, quello idealizzato delle favole, dei romanzi e delle canzoni; a diciassette anni è del tutto lecito sbagliare, fare errori su errori e poi ricominciare tutto daccapo, perché in fondo la vita la si impara vivendo. Eppure ci sono errori, ci dice Barbara Samson, costano la vita.
E allora non importa se si hanno diciassette anni oppure cinquanta: è sempre troppo tardi per tornare indietro, ma non per “servire da cattivo esempio”, portare la propria testimonianza affinché altri non facciano i nostri stessi errori.
Oltre ad avere questa funzione, però, il romanzo autobiografico della Samson è scritto in maniera incredibilmente poetica; parole, frasi, descrizioni dialoghi e caratteri sono resi benissimo, trasudano emozioni reali, profonde, che vengono trasmesse al lettore con eguale intensità. È un libro forte come un pugno dello stomaco, che fa piangere, riflettere, ma anche sperare… E poi la domanda, quella che è impossibile non farsi, leggendo la triste vicenda di Barbara: come può, un essere umano, essere così irresponsabile, cattivo o soltanto menefreghista da contagiare consapevolmente la propria partner con il virus più letale del secolo scorso? È una domanda cui nemmeno la Samson è in grado di dare una risposta. Probabilmente, conclude, c’è gente talmente vuota da non riuscire nemmeno a capire ciò che fa.
Quando il primo amore uccide
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