Sapete che la celebre tragedia di Giacomo Puccini, Madama Butterfly, fu ispirata al racconto di un autore americano?
La storia di Madame Butterfly fu scritta dall’avvocato e giornalista John Luther Long e pubblicata per la prima volta sul Century Magazine nel 1889, insieme ad altri racconti dello scrittore. Era stata ispirata da un reale fatto di cronaca raccontato a Long dalla sorella, Sara Jane Correll detta “Jennie”, di ritorno da un viaggio in Giappone.
Puccini tuttavia fu stregato dall’ adattamento teatrale, andato in scena nel luglio del 1900 presso il Duke of York’s Theatre di Londra. Il dramma del drammaturgo portoghese David Belasco che riaccese l’ispirazione del compositore italiano si basava proprio sul racconto di Long.
Puccini non sapeva l’inglese e della rappresentazione non capì una parola, tuttavia rimase affascinato dall’ambientazione esotica e dalla bravura della protagonista, interpretata in quell’occasione dall’attrice Evelyn Millar. Capì che la sua futura opera, dopo il successo di Tosca, doveva essere ambientata nell’orientale Nagasaki che non aveva mai visto e non avrebbe mai visitato.
Del resto ritornava il suo leitmotiv prediletto; dopo Mimì della Bohème e Tosca tornava il tema della donna vittima della passione amorosa. A cambiare, ancora una volta, dopo Parigi e Roma, era il luogo in cui la vicenda era ambientata.
Non a caso nel libretto realizzato da Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, Madama Butterlfy venne definita una “tragedia giapponese in tre atti”. L’insolita cornice geografica tuttavia non edulcorava in alcun modo l’oscurità del dramma rappresentato.
Madama Butterfly: dal racconto alla tragedia
Madama Butterfly è la tragedia della solitudine e dell’attesa. Puccini dona alla sua protagonista una profondità psicologica che nel racconto di Long è assente: lo scrittore americano rappresentava il carattere della geisha, anche nella sua frivolezza e nel desiderio di imitare le abitudini straniere, mentre il compositore mette in luce il dramma umano vissuto dalla donna giovane, fragile e innamorata che attende invano il ritorno dell’amato. Ma non è une tema secondario, nel dramma, il contrasto tra razze e culture: la vera tragedia di Madama Butterfly è il suo pensarsi occidentale, “americana”, quasi subisse il fascino dell’esotico in senso contrario. La mitizzazione della realtà compiuta dalla protagonista, però, si rivela illusoria e, alla fine, il velo di Maya si lacera rivelando che nessuno può rinnegare completamente sé stesso e le proprie origini, neppure in nome dell’amore.
Come molte altre opere di Puccini la tragedia si apre con toni leggeri, con un amoroso duetto e si conclude con la catastrofe.
La prima rappresentazione ebbe luogo il 17 febbraio 1904 presso Il Teatro alla Scala di Milano con Rosina Storchio nei panni della protagonista; ma, contrariamente alle aspettative, non fu un successo, anzi, fu un fiasco terribile. L’opera fu accolta di gridi, boati, grugniti, risa. Puccini tuttavia non si diede per vinto, poiché conosceva il valore dell’opera:
La mia Butterfly rimane qual è, l’opera più sentita e suggestiva ch’io abbia mai concepito. E avrò la rivincita, vedrai, se la darò in un ambiente meno vasto e meno saturo d’odi e di passioni.
Tre mesi dopo, il 28 maggio, la ripropone al Teatro Grande di Brescia in una versione rivista, in cui molte parti erano state eliminate, redendola più agile ed equilibrata. Nei panni della geisha stavolta troviamo Solomiya Krushelnytska; Madama Butterfly, l’opera fiasco di Puccini, inizia così la sua seconda vita, la rinvincita attesa dal compositore si è finalmente compiuta.
Vediamo più nel dettaglio la trama di Madama Butterfly e il racconto di John Luther Long cui si è ispirata.
Madama Butterfly: la trama
Siamo in Giappone, a Nagasaki, all’inizio del 900. L’ufficiale della marina americana Benjamin Franklin Pinkerton viene convinto, su suggerimento dell’amico Sayre, a prendere moglie e casa durante la sua permanenza sul suolo giapponese. La prescelta è la giovane geisha, la bellissima Cho-Cho San, di soli quindici anni.
Prima delle nozze tuttavia Pinkerton la costringe a un accordo: qualora si fosse innamorato di una donna americana e avesse deciso di risposarsi avrebbe avuto tutto il diritto di divorziare immediatamente dalla consorte nipponica. Nonostante le non benevole premesse Cho-Cho San è molto felice delle nozze e non teme di rinnegare le tradizioni familiari sposando un americano. Sui novelli sposi però incombe la maledizione dello zio di lei (Yakusidé, Ndr) che non accetta il fatto che la nipote abbia tradito con leggerezza i precetti e le usanze della propria cultura.
Dopo le nozze Pinkerton torna in America, abbandonando così Madama Butterfly, che da sposata ha deciso di farsi chiamare con un nome più americano. Da questo momento lei aspetta, aspetta e aspetta confidando con fede irriducibile nel ritorno di lui. Nel frattempo Cho-Cho San ha dato alla luce un bimbo, il figlio di Pinkerton, che nel racconto originale di Long porta un nome emblematico: si chiama “Trouble”, problema.
Intanto Pinkerton, in patria, è convolato a nozze con una donna americana di nome Kate (nel racconto di Long ha nome di Adelaide, Ndr) e chiede al console americano in Giappone, il signor Shapeless, di dare la notizia alla moglie nipponica.
Nel racconto di Long è invece Goro, un mediatore matrimoniale, a proporre alla donna di divorziare da Pinkerton, dicendole che anche se l’uomo tornasse, la lascerebbe e porterebbe con sé il bambino. Le propone quindi un marito giapponese che si occupi di lei, il principe Yamadori, che ha anche vissuto a lungo in America. Madame Butterfly finge di pensarci e di voler organizzare un incontro con Yamadori; in realtà continua a sperare che, scoprendo di aver un bel bambino riccioluto e biondo e americano, il marito decida di tornare da lei.
Arriviamo dunque al gran finale, quando le illusioni di Madame Butterfly crollano miseramente. Anziché ritrovare l’amato e atteso Pinkerton, Cho-Cho San è costretta a confrontarsi con la sposa americana di lui, l’algida e bionda Kate, venuta per portarle via il bambino e condurlo con sé in America. La verità delle cose troneggia nella stanza come un macigno, ormai la dolce e ingenua geisha non può più evitarla.
Ogni sogno di felicità è svanito per sempre. Cho-Cho San, posta dinnanzi al dramma, afferma di voler consegnare il figlio solo al marito in persona.
Così, ponendo fine al tragico dilemma che l’aveva attanagliata (sposare Yamadori o morire), la donna sceglie la strada più temibile. Benda gli occhi al bambino, dopo avergli dato un ultimo bacio, e quindi si getta sul pugnale del padre che reca sul dorso la scritta: “Con onor muore chi non può serbar la vita con onore”. La geisha si uccide secondo la pratica tradizionale giapponese dell’harakiri, con un pugnale sacro, come in un ultimo, tragico, ritorno alle proprie origini prima ripudiate.
Sipario. Si conclude così la tragedia di Madama Butterfly.
Madama Butterfly: il diverso finale del racconto di Long
Nel racconto di John Luther Long il finale di Madame Butterfly è meno scenografico e più sofferto. Cho-Cho San, dopo aver lasciato il bambino alla sua domestica Suzuki, si chiude nella propria stanza per uccidersi con il pugnale del padre. Dopo il primo colpo tuttavia la donna ha un ripensamento: esita, si tocca il sangue con le mani, la ferita non è ancora mortale.
Mentre la donna riflette, la cameriera Sukuzi fa irruzione nella stanza con il bambino in braccio, scoprendo la scena. Subito Suzuki dà un pizzicotto al bambino per farlo piangere. Sconvolta dalle lacrime del piccolo Madame Butterfly lascia cadere il pugnale. Il bambino lentamente le gattona in grembo e la abbraccia. Intanto la cameriera cerca di medicare la ferita che Cho-Cho San si è inferta.
La storia di Long si conclude con queste esatte parole:
Quando il giorno dopo la signora Pinkerton si presentò alla casetta sulla collina di Higashi, era abbastanza vuota.
Secondo alcune ricostruzioni la storia originale fu raccontata a John Luther Long dalla sorella, Sara Jane “Jennie” Correll, di ritorno da un viaggio in Giappone con il marito diplomatico. Il fatto narrato da Correll era ispirato alla madre naturale di Tomisaburo, il figlio adottivo britannico-giapponese di Thomas Blake Glover, e di sua moglie giapponese, Awajiya Tsuru. Jennie disse a Long che la vera madre di Tomisaburo era in realtà Maki Kaga, una geisha che lavorava nel quartiere del piacere di Nagasaki. Fu lei a utilizzare per la prima volta per Maki Kaga il nome di Cho-Cho San: dando così origine a colei che sarebbe diventata Madama Butterfly.
Madama Butterfly: Long e l’ispirazione di Pierre Loti
Nella scrittura Long fu ispirato anche da Madame Chrysanthème, un romanzo del francese Pierre Loti pubblicato per la prima volta nel 1887 e presentato come il diario autobiografico di un ufficiale di marina americano.
Il libro di Loti in Francia era stato un autentico successo, ristampato in più di venticinque edizioni e tradotto in diverse lingue, tra cui anche il giapponese in cui il titolo proponeva solo il nome della sua protagonista: la geisha Kikusan, detta “Crisantemo”. Long avrebbe poi trasformato il nome di un fiore in “farfalla”, americanizzando così la geisha triste che un giorno di luglio, non molto lontano, avrebbe rubato il cuore a Giacomo Puccini.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il racconto che ispirò la Madama Butterfly di Puccini
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