Sono 131 le terzine che compongono la lirica Realtà contenuta nella raccolta Poesia a forma di rosa: la più lunga, non suddivisa in sezioni, e alla maniera dantesca composta da terzine a rime incatenate e con l’uso dell’enjambement.
Essendo complesso il percorso in cui Pier Paolo Pasolini scandaglia ogni anfratto della sua passione ideologica non si può che procedere per flash.
Scopriamo testo, analisi e commento del poemetto.
“Realtà” di Pier Paolo Pasolini: testo e analisi
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Nel quadro dell’auto-analisi, potremmo innanzitutto dirla una sintesi degli argomenti relativi alla vita e all’opera dello scrittore: dalle riflessioni politico-sociali e letterarie a quelle autobiografiche. La musicalità appare le frequenti allitterazioni, mentre non sono assenti ammalianti ossimori.
Costante l’impiego di segni ortografici di carattere enfatico e di apostrofi, annunciati da interiezioni.
I versi dell’incipit sono una testimonianza del fine pratico della poesia che per Pasolini rappresenta una strategia di difesa:
[...] quando / scrivo poesia è per difendermi e lottare, / compromettendomi, rinunciando // a ogni mia antica dignità: appare, / così, indifeso quel mio cuore elegiaco / di cui ho vergogna, e stanca e vitale // riflette la mia lingua una fantasia / di figlio che non sarà mai padre…
Altrove è detto che la scrittura poetica è stata per lui una sorta di rinascita a vita nuova:
E questa fu la via per cui da uomo senza / umanità, da inconscio succube, o spia, / o torbido cacciatore di benevolenza, // ebbi tentazione di santità.
Parla della sua diversità sessuale e culturale Pasolini.
Sulla sua solitudine dice:
Pian piano intanto ho perso la mia compagnia
di poeti dalle facce nude, aride,
di divine capre, con le fronti dure
dei padri padani, nelle cui magre
file contano soltanto le pure
relazioni di passione e pensiero.
Trascinato dalle mie oscure
vicende. Ah, ricominciare da zero!
solo come un cadavere nella sua fossa!
E così, ecco questa mattina in cui non spero
che nella luce…Sì, nella luce che disossa
con la sua felicità primaverile
le giornate di questa mia Canossa.
Eccomi nel chiarore di un vecchio aprile
a confessarmi, inginocchiato,
fino in fondo, fino a morire.
Confida nella passione che l’abbandona al verso col desiderio di:
sudate / comitive di maschi adolescenti, / sui margini di prati, sotto facciate // di case, nei crepuscoli cocenti…
Ecco la sua disperazione: volgere l’attenzione ai “FIGLI” delle madri feroci, additate nella Ballata delle madri, e che dai padri, in retaggio, ricevono del male.
Ne ammira la bellezza e la grazia più che corporea derivante dal loro essere:
dolcemente ribelli, / e, insieme, contenti del futuro dei padri.
Ciò che desidera è l’erotismo naturale e “senza tragedia” di quei giovani proprio perché la sua sessualità è mostruosa e priva di gioia e si ritiene, dandosi una connotazione fanciullesca, d’essere giovane:
In realtà, io, sono il ragazzo, loro / gli adulti. Io, che per l’eccesso della mia presenza, // non ho mai varcato il confine tra l’amore / per la vita e la vita….
Per loro, i miei coetanei, i figli, in squadre / meravigliose sparsi per pianure / e colli, per vicoli e piazzali, arde // in me solo la carne.
Eppure, a volte, / mi sembra che nulla abbia la stupenda purezza di questo sentimento. Meglio la morte // che rinunciarvi! Io devo difendere / questa enormità di disperata tenerezza / che, pari al mondo, ho avuto nascendo. //
Forse nessuno è vissuto a tanta altezza / di desiderio ‒ ansia funeraria / che mi riempie come il mare la sua brezza.
Ciò nonostante, per quanto ardente la sua dimensione erotica, l’amore per la madre-fanciulla, di una purezza che “non dà posto / a ipocrisia e viltà,” è esclusivo:
Il mio amore / è solo per la donna: infante e madre. / Solo per essa, impegno tutto il cuore.
Bellissimi i versi in cui il ricordo della madre è associato alla descrizione del paesaggio di Casarsa, dove la luce contrapposta al buio irradia una materna “felicità primaverile”:
una sera, tra boschi / cedui, chissà, tra macchie indissolubili / di viole sulle prode, tra vigneti o lumi / serali di villaggi, sotto vergini nubi, /
(nell’Emilia del mio destino, nel Friuli dei miei numi).
La seconda parte del poemetto, aperta ai problemi socio-culturali degli anni Sessanta, tra cui quello della decolonizzazione detto “cultura terzomondista” in opposizione alla schiavitù capitalistica, è caratterizzata da riflessioni storico-politico-sociali e giudiziarie (i sentimenti ostili contro i giudici che l’hanno perseguitato).
Attengono anche alla religiosità:
Non conosco // il vostro Dio, io sono ateo: prigione / solo del mio amore, per il resto libero, / in ogni mio giudizio, ogni mia passione.
L’ideale propugnato con toni aspri inneggiano alla rivolta mondiale per la liberazione dei reietti dalla diversità e dall’emarginazione: “Ah Negri ed ebrei, povere schiere di segnati e diversi, / odiate, straziate il mondo degli uomini borghesi ! // Solo un mare di sangue può salvare il mondo dai sogni / borghesi che farebbero del mondo un luogo sempre più irreale!/
Solo una rivoluzione che fa strage dei borghesi / può esorcizzare il male”.
Argomento, questo, così fortemente avvertito da essere comune ad altre due liriche della stessa raccolta: Profezia (soppressa nell’edizione di giugno) e L’Uomo di Bandung.
Alla fine della lirica Pasolini, nelle vesti del Profeta:
che non ha / la forza di uccidere una mosca.
Esorta all’odio di una sanguinaria rivoluzione contro la borghesia.
povere schiere / di segnati e diversi, nati da ventri / innocenti, a primavere // infeconde, di vermi, di serpenti, / orrendi a loro insaputa, condannati / a essere atrocemente miti, puerilmente violenti.
Solo quando il mondo sarà stato liberato dai “poveri razzisti”, i figli nati ciechi potranno soddisfare il loro bisogno di luce passionale e il poeta sarà disposto a
“cominciare / il discorso sopra la realtà”.
L’attenzione cade sulla sua diversità detta degradante anche se già orgogliosamente l’aveva accettata:
Ebbene sono felice della mia mostruosità.
In fondo, l’amore in ogni sua manifestazione, anche nelle cosiddette deviazioni da una presunta normalità, resta l’asse portante di tutto il poemetto.
Pasolini dunque conclude:
Io sono un uomo libero / sesso, morte, passione passione politica sono il semplice oggetto / a cui io do il mio cuore elegiaco. /
La mia vita non possiede altro.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Realtà”: qual è il senso della poesia secondo Pier Paolo Pasolini
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