Sale di Sicilia
- Autore: Mariacristina Di Giuseppe
- Anno di pubblicazione: 2014
Mi sono chiuso in casa e ho finito di leggerlo in due giorni, malgrado il respiro lungo della prosa. E poi, volete saperne un’altra? Credo abbia ragione Neri Marcorè quando accenna - in prefazione - alla danza come possibile mitopoiesi del rapporto autore-lettore:
“Anche nel rapporto scrittore-lettore si innesca una sorta di corteggiamento, e se il respiro ha lo stesso ritmo e i passi sono ben intrecciati, alla fine si potrà dire di aver ballato bene insieme”.
“Sale di Sicilia” (Navarra Editore, 2014) è un romanzo che balla e suona come suonava una volta la moneta sonante. Suona di climi, suona nei tratti, suona di musica, suona negli umori e nelle insistite descrizioni questo “giallo interiore” congegnato come meccanismo a “orologeria emotiva” (perché non si pensi alla fredda meccanica da orologeria) da Mariacristina Di Giuseppe, frequentatrice onnivora di fotografia, musica, teatro (si vede e si sente), qui al suo esordio narrativo. E badate di non assumerle come parole grosse: “Sale di Sicilia” è un primo passo letterario tanto potente quanto “desueto” (nel tratto stilistico), la trama “mistery” – traffico internazionale di opere d’arte sullo sfondo di una Palermo come metafora - è posta, a ben guardare, come pretesto: l’indagine in cui si impelaga l’io narrante – il giornalista Vittorio De Luigi - prima ancora che relativa alla vicenda di contraffazioni e ruberie di dipinti d’autore, risulta, infatti, un’indagine tra i chiaroscuri interiori che ne costringono l’anima. Così che anche la Palermo controversa, ipotesi geografica dove è possibile smarrirsi e ritrovarsi di continuo (ma tra i "contesti” del romanzo figurano anche Roma, Parigi e Marsiglia) finisce col rimandare, in fondo, ai diversi "irrisolti" del protagonista. Una stazione geografica in grado, forse persino, di curarne insieme il mal d’amore e il mal de vivre. Roba di un certo peso, ragazzi miei, roba che striminzisce finanche il movente e la prassi di genere (denuncia civile), per cui alla fine quasi non importa nemmeno di sapere, "chi è stato" e perché.
Che si soffermi sulle toponomastiche urbane o su quelle interiori, che si concentri sui viluppi portanti del plot o sugli ammennicoli culinari di una ricetta siciliana, l’incedere narrativo adottato dalla Di Giuseppe è posato/ponderato, digressivo, elegante. Un’architettura stilistica (tra i pregi più evidenti e principali del romanzo) che lascia intravvedere un’idea forte di scrittura e il coraggio delle parole impiegate per affermarla. In evidente controtendenza con gli esordi narrativi al tempo del romanzo 2.0.
Sale di Sicilia
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La recensione è davvero intrigante....
Elegante, precisa senza dire troppo, sentita....
Complimenti.
L’augurio è che il libro sia davvero lo specchio
di quanto suggerito....