Conosciuto per il pessimismo e per l’amarezza di un pensiero “ribelle” che si oppose alla grande costruzione sistematica elaborata negli stessi anni da Hegel, Arthur Schopenhauer (1788-1860) è ancora oggi uno degli autori che maggiormente affascinano neofiti e lettori e che gli studenti prediligono tra gli argomenti filosofici da trattare nella tesina da presentare per superare l’esame di maturità.
Che ci si trovi a studiarlo a scuola o ad affrontarne uno dei testi, è comunque importante aver chiari i concetti chiave che consentono di entrare nella filosofia di questo autore: Arthur Schopenhauer rimane infatti ancora oggi un pensatore non solo affascinante ma anche attuale.
Originario di Danzica e appartenente a una famiglia della ricca borghesia prussiana, Schopenhauer viaggiò molto in gioventù per apprendere le lingue e studiò nelle università di Gottinga e Berlino per poi laurearsi a Jena con una tesi dedicata alla Quadruplice radice del principio di ragion sufficiente (1813). Dopo la rottura dei rapporti con la madre, romanziera, fu a Dresda e a Berlino, dove ottenne la libera docenza e dove si consumò lo scontro con Hegel. Nel 1831 lasciò la capitale tedesca per trasferirsi a Francoforte dove rimase fino alla morte.
Formazione di Arthur Schopenhauer e influenze
Per comprendere la filosofia di Schopenhauer è opportuno porre una necessaria premessa relativa agli autori che lo influenzarono maggiormente e di cui si ritrovano tracce nelle sue opere.
Da Kant, Schopenhauer trasse la distinzione tra fenomeno e noumeno, pur rivisitandola: il fenomeno, che nel filosofo di Konigsberg era l’unica realtà di cui è possibile una conoscenza scientifica e valida, diventa qui pura illusione.
Dall’altra grande influenza di Schopenhauer, ovvero Platone, viene ripresa la concezione delle idee: anche in questo caso si hanno, però, degli adattamenti, dal momento che queste ultime sono intese come forme eterne, non soggette al mutamento e alla caducità, poste in una posizione intermedia tra l’apparenza fenomenica, superficiale e fallace e la Volontà, da intendere come la vera realtà (il nuomeno kantiano), universale ma anche cieca e irrazionale.
Dalla filosofia indiana deriva, invece, la convinzione in base alla quale il mondo sensibile sarebbe essenzialmente ingannevole e deformante.
Arthur Schopenhauer e il mondo come rappresentazione
Da Kant è ripresa anche gran parte della gnoseologia esposta compiutamente ne Il mondo come volontà e rappresentazione (1819) e già in parte anticipata nella Quadruplice radice. Secondo Schopenhauer, infatti, l’uomo non conosce le cose in sé stesse (il noumeno) ma solo le modificazioni che gli oggetti producono su di lui (fenomeni), sensazioni e modificazioni che dipendono dal soggetto e che il soggetto ordina e filtra con tre forme a priori (spazio, tempo e causalità) qui, diversamente da Kant, di matrice fisiologica e non trascendentale.
Spazio e tempo, poste dalla sensibilità, che rendono molteplice l’oggetto e causalità, posta dall’intelletto, forma a priori che rende l’oggetto una totalità conoscitiva e che, a sua volta, assume quattro forme (riprese dall’opera giovanile dedicata al principio di ragion sufficiente):
- causa fiendi (causa del divenire che regola i rapporti causali), fondamento delle scienze naturali;
- causa cognoscendi (che regola i rapporti tra i giudizi), fondamento della conoscenza;
- causa essendi (che regola i rapporti tra le parti del tempo e dello spazio), fondamento delle matematiche;
- causa agendi (che regola i rapporti tra le azioni), fondamento delle scienze morali;
La realtà sensibile è, dunque, fenomeno, ovvero, in questo caso, apparenza fallace illusoria che, come il velo di Maya, avvolge i sensi degli uomini, tenendogli nascosta la realtà.
Arthur Schopenhauer e il mondo come Volontà
Al di là delle apparenze e dell’individuazione esiste un unico principio ontologico, la Volontà, che non è da intendere in senso personale quanto, piuttosto, come un’unica realtà che, poi, individuandosi, si declina anche a livello soggettivo.
Schopenhauer dimostra la Volontà utilizzando differenti argomenti: prima ne afferma l’esistenza a livello individuale, affermando che si ha accesso diretto alla propria volontà attraverso il proprio corpo con la quale fa tutt’uno; poi assimila l’uomo alla volontà di vivere o, meglio, a un impulso prepotente; infine, per analogia, osservando il mondo naturale estende quanto riscontrato in sé stesso a tutto il reale.
La Volontà è, quindi, la realtà prima e noumenica ed è essenzialmente impulso ed energia; per questo viene caratterizzata come inconscia, unica, eterna e astorica, assurda e cieca, essendo al di là del principio di individuazione e delle categorie di spazio, tempo e causalità. La volontà è solo forza irrazionale che non ha ragione, motivazione e scopo.
Pessimismo di Arthur Schopenhauer e implicazioni pratiche
Da queste posizioni, similmente a quanto avviene, negli stessi anni, in Leopardi, ne deriva un pessimismo onnipervasivo che ha anche molteplici risvolti sul piano pratico.
Il pessimismo di Schopenhauer deriva più precisamente dal fatto che l’essenza della realtà (la Volontà) sia una forza cieca e irrazionale che non ha alcuno scopo, se non quello di volere, e che anche l’attività dell’uomo, guidata da un’individuazione di questo stesso principio, non possa realmente avere alcun senso.
Ne consegue il rifiuto delle religioni e della l’idea, connaturata ad esse, di provvidenza, la stessa idea che, sotto mutate spoglie, si ritrova anche nel processo storico posto al centro del sistema hegeliano, rifiutato anch’esso come mera illusione e al quale viene contrapposta una concezione della storia come cieco caso.
Sul piano morale e individuale il pessimismo viene motivato dal fatto che il volere umano è mosso dal bisogno di appagare una mancanza. Anche se uno specifico bisogno viene soddisfatto, tuttavia, l’appagamento è breve mentre i bisogni e la brama di soddisfarli si protrae all’infinito configurando una condizione di tormento e angoscia continui dove l’impulso all’autoconservazione di ogni individuo, soprattutto nel popolare scritto Parerga e Paralipomena (1851), dà luogo un inesauribile conflitto con tutti gli altri.
La liberazione: l’arte, la morale e l’ascesi
Scartata la via del suicidio per raggiungere la liberazione, dal momento che il suicidio stesso è un atto di affermazione, estremo, della volontà stessa che, pur di non negare sé stessa, nega la vita e che il suicidio sopprime soltanto un individuo, ovvero una manifestazione fenomenica della Volontà e non la Volontà stessa, Schopenhauer, nel Mondo come Volontà e rappresentazione prima e, poi, in alcuni scritti successivi (Sulla libertà del volere umano (1839), Sul fondamento della morale (1840), I due problemi fondamentali dell’Etica (1841)) elabora un itinerario di liberazione che prevede vie alternative.
La prima è l’arte, una forma di conoscenza libera, contrapposta alla scienza (che si muove nelle forme, illusorie, dello spazio e del tempo); libera, disinteressata, concentrata sulle idee, intese come forme pure e come modelli eterni degli enti fenomenici. Non essendo mossa da fini pratici, e, quindi, dai bisogni individuali, l’arte è pura contemplazione che consente di vedere il mondo sub specie aeternitatis e di cogliere la Volontà. Schopenhauer tematizzerà anche una gerarchia delle arti, ponendo al livello più basso quelle figurative e, al livello più alto la musica (arte dell’interiorità).
Dopo l’arte Schopenhauer pone la moralità come forma di liberazione più stabile: in tal senso riprende il Kant della Critica della Ragion Pratica, affermando che l’azione morale è quella disinteressata, sebbene il principio di che guida questo tipo di azioni venga posto da Schopenhauer non nella ragione ma nella compassione. Si tratta dell’unico sentimento che conduce ogni uomo a com-patire con gli altri uomini, permettendo di sentire simpateticamente e di spezzare la catena di egoismi e di conseguenti sofferenze nella quali gli uomini sono condannati. Lo stesso amore, nella sua forma più pura, viene assimilato alla compassione da esso vengono dedotte le due virtù della giustizia e della carità.
L’ultima condizione che consente di realizzare pienamente l’itinerario di liberazione proposto da Schopenhauer è l’ascesi: se l’uomo è manifestazione fenomenica della Volontà, allora negare la volontà stessa, sarà la scelta giusta per far cessare la sofferenza connaturata alla vita: l’astensione dalla ricerca del piacere e dal sesso e, per contro, l’espiazione, l’umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio e l’automacerazione, condurranno l’uomo alla noluntas, la condizione estrema di annullamento e mortificazione della volontà ma anche lo stato in cui si riconosce che il mondo fenomenico è nulla e ci si avvicina maggiormente alla verità.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Schopenhauer: 5 cose da sapere per capire la sua filosofia
Lascia il tuo commento