Esattamente un anno fa, nella notte tra il 6 e il 7 Dicembre 2023, un raid israeliano a Gaza uccideva, fra gli altri, anche Refaat Alareer, poeta palestinese, scrittore, professore universitario, attivista e grande appassionato di Shakespeare, e sette dei suoi familiari.
L’ultima struggente poesia di Alareer, scritta in inglese il 1° Novembre, poco più di un mese prima della tragedia, ci appare oggi come un triste presagio e, al tempo stesso, come un testamento spirituale che ci colpisce dritti al cuore.
Si intitola “Se dovessi morire”: ecco testo, analisi e significato della poesia.
“Se dovessi morire”: testo della poesia
Se dovessi morire,
tu devi vivere
per raccontare
la mia storia
per vendere le mie cose
per comprare un po’ di carta
e qualche filo,
per farne un aquilone
(fallo bianco con una lunga coda)
cosicché un bambino,
da qualche parte a Gaza,
guardando il cielo
negli occhi
in attesa di suo padre che
se ne andò in una fiamma
senza dare l’addio a nessuno
nemmeno alla sua stessa carne
nemmeno a se stesso
veda l’aquilone, il mio
aquilone che tu hai fatto,
volare là sopra
e pensi per un momento
che un angelo sia lì
a riportare amore.
Se dovessi morire,
fa che porti speranza
fa che sia un racconto!
“Se dovessi morire”: analisi e significato della poesia di Refaat Alareer
Se dovessi morire contiene il lascito artistico e spirituale di Refaat Alareer.
L’ultimo pensiero di Refaat Alareer prima di morire è stato per i bambini di Gaza.
Nell’inferno in cui questa terra martoriata è sprofondata da un anno a questa parte, il maggior numero di vittime si registra proprio fra i più piccoli e il poeta palestinese conosceva fin troppo bene questa realtà.
Consapevole della gravità della situazione e della possibilità concreta di non uscirne vivo, Alareer desiderava continuare ad essere un faro di speranza per i più giovani anche dopo la sua morte.
In Se dovessi morire, egli dà a un interlocutore forse immaginario, o forse no, istruzioni precise su come vorrebbe che si comportasse dopo la sua eventuale scomparsa.
Gli dice di vendere ogni suo bene per comprare un po’ di stoffa e del filo per realizzare un aquilone, il suo aquilone, e che poi lo lasci librare nel cielo, in alto, per essere avvistato da un bimbo che invano attende il ritorno del padre ammazzato, così che possa scambiarlo per un angelo giunto sulla Terra a riportare amore.
L’ultimo pensiero del poeta è “Se dovessi morire fa che io sia un racconto”: se dovesse morire vuole essere speranza, dare conforto, desidera che la sua morte venga raccontata come se fosse una fiaba.
Meglio che l’aquilone sia bianco, infine, il colore della pace e della luce.
Pochi, bellissimi e sentiti versi, che illustrano con estrema delicatezza tutta la drammaticità di una vicenda che l’autore prova sulla propria stessa pelle.
Perché a Gaza, quando i bambini non sono vittime, quasi sempre sono orfani.
Un’ingiustizia intollerabile per chiunque abbia in sé un briciolo di umanità, figuriamoci per un poeta e scrittore nato e cresciuto in quei territori e impegnato in prima persona nella difficile battaglia per il riconoscimento e il rispetto dei diritti della sua gente.
L’arte, la bellezza, l’amore, la cultura e la poesia restano le armi più efficaci a nostra disposizione per contrastare la violenza e gli orrori della guerra e adesso che Refaat Alareer non c’è più, spetta a noi fare in modo che la sua voce non cada nel vuoto.
Lo dobbiamo non soltanto a lui, ma all’intero popolo palestinese e a tutti i popoli che lottano, e spesso muoiono, per la libertà.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Se dovessi morire fa che io sia un racconto”: l’ultima poesia di Refaat Alareer, poeta palestinese
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