Shangri-La
- Autore: Lawrence Osborne
- Genere: Letteratura di viaggio
“… quei cappelloni lobati li portano in onore di noi turisti.” (Pag. 17)
Nel dubbio di non riuscire a raggiungere il paradiso dopo il nostro trapasso, per colpa dei nostri tanti peccati o per paura che non esista, molti si gettano alla ricerca di un più nostrano eden terrestre. Di mondi immaginari e mitici è piena la storia, abbiamo solo l’imbarazzo della scelta. Nel tempo si sono aggiunti tutta una serie d’inesistenti irrealtà: è l’estasi del fantasy come la terra di mezzo del Signore degli anelli.
Lo scrittore Lawrence Osborne, in un divertente libretto pubblicato dalla Adelphi (2008) nella collana Biblioteca minima intitolato Shangri-La, ci racconta la senza speranza ricerca della mitica Shangri-La. Dell’esistenza di questo luogo favoloso, Osborne come tutti noi ne è a conoscenza per l’opera di due autori, molto dissimili. Studiosi, storici, archeologici ignorano invece questa città. Sarebbe come partire per iscriversi alla scuola di maghi di Hogwarts. Le fonti dell’esistenza di Shangri-La sono Joseph Rock e lo scrittore James Hilton. Joseph Rock è un botanico, il quale scrisse degli articoli per il National Geographic durante il suo viaggio nel Tibet. James Hilton narra nel libro Orizzonte perduto di essersi recato in un monastero cinese fra le alte e sperdute montagne dell’Himalaya. Entrambi raccontano di un luogo remoto – Shangri-La – poi diventato famoso in tutto il mondo. Confidare della sua esistenza riempiva un vuoto umano. Franklin Delano Roosevelt chiamò Shangri-La la residenza estiva dei presidenti americani ora conosciuta come Camp David. Il regista Frank Capra diresse un film intitolato Orizzonte Perduto ambientato nella fantastica Shangri-La. Il governo tedesco di Hitler finanziò diverse spedizioni su Tibet alla ricerca forse di Shangri-La? Se queste sono le basi storiche, i dubbi già manifestati inizialmente da Osborne sono del tutto legittimi. Egli organizza una piccola spedizione composta da una variegata compagnia, tra cui una cinese cristiana traduttrice (“… che essendo una fondamentalista cristiana si era scelta un nome di battaglia già in sé preoccupante: Mary.” (Pag. 11) e l’autista cinese La, un devoto buddista, problematico e sornione nei confronti dell’esplorazione. La, infatti, esprime le incertezze sulla ricerca, nella consapevolezza di essere di fronte a una discutibile verità scientifica condivisa alla fine da tutti. Il mondo di Osborne e quello di La si confrontano. Di fronte al desiderio dello scrittore di andare alla ricerca del botanico, La schiettamente gli domanda:
“Ma se è morto, perché vuoi che lo cerchiamo?” (Pag. 11)
I sospetti capitalizzano un fondo ironico quando Osborne gli conferma il mestiere di Rock:
“Non era uno stregone, La, era un botanico.”
E la guida, a ragione e senza timore, risponde
“È la stessa cosa.” (Pag. 14)
Questa è l’ambientazione del racconto di Osborne. Velocità, immediatezza, ironia, sarcasmo, anche della letteratura di viaggio interessante sono le qualità del rapido libro. Fa venire voglia di andare in Tibet per ripercorrere il percorso di Osborne, invece di cercare Shangri-La. Innanzitutto andrei nella città di “Laoshui, che passa per la capitale cinese del libero amore.” (Pag. 20).
Poiché la realtà supera la fantasia, nel paese che ha concepito ufficialmente, durante il XIV congresso del partito comunista l’ossimoro più provocante della storia “economia socialista di mercato”, non potevano lasciarsi sfuggire all’opportunità spietata di accontentare i tanti fessi in circolazione. Perciò, i furbacchioni cinesi hanno preso una città già esistente, gli hanno cambiato nome in Shangri-La: turisti fessacchiotti di tutto il mondo unitevi. E da dove proviene l’intelligente e acuto cinese La?
“… veniva da una città, Zhongdian, che di recente il governo cinese ha deciso di ribatezzare «Xianggelila», o Shangri-La. Ce l’aveva anche scritto sulla patente: luogo di residenza, Shangri-La.” (Pag. 15)
L’atteggiamento cinese e la colonizzazione culturale e stilistica del Tibet sono soggetti al sarcasmo spietato di Osborne. Non potendo o non volendo attaccare direttamente, usa un simbolismo, si lancia in un ironico e cattivo dileggio contro gli alberghi della regione. Soprattutto le grandi costruzioni moderne cinesi:
“Gli alberghi erano senza eccezioni cinesi, cioè moderni, cioè di ispirazione carceraria.” (Pag. 27)
“A quanto pare, dorature e dismisura sono due requisiti che chi viaggia in Cina pretende.” (Pag. 42)
“A colazione si poteva scegliere fra una tazza d’acqua calda e un bicchiere di birra Snow.” (Pag. 49)
E ovviamente non risparmia gli avventori di questi hotel:
“Gli altri clienti, tutti tipi da hedge funds …” (Pag. 28)
Il cinismo derisorio dello scrittore non fa prigionieri, si sfoga contro un idiota sudafricano che sbraita contro la panna cotta di scarsa qualità sempre in un hotel da cinque stelle cinese. È perfido anche contro la cinese cristiana Mary:
“Sentiva l’integrità della propria fede messa a repentaglio.” (Pag. 43)
mentre una simpatia maliziosa è manifestata con La. L’autore ammette il distacco:
“Inutile negarlo, venivamo da due pianeti diversi, da due sfere non comunicanti.” (Pag. 48)
ma gli riconosce l’onore delle armi, avere capito immediatamente quale farsa era quella spedizione grottesca, alla ricerca di un morto.
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