Simonetta Santamaria vive a Napoli e scrive di horror per due motivi: perché è un genere che scava nel profondo della mente umana mettendone a nudo il lato oscuro e per dimostrare che anche le donne lo sanno fare. Ha pubblicato una valanga di racconti in antologie, tra cui “Quel giorno sul Vesuvio”, vincitore del prestigioso Lovecraft, l’e-book “Black Millennium” scaricato in pochissimo tempo da migliaia di persone, la raccolta di racconti “Donne in noir” per Il foglio e, lo scorso anno, “Dove il silenzio muore” per l’editore CentoAutori, selezionato allo Scerbanenco 2008. Nel 2009, è tra gli autori della raccolta "Questi fantasmi" ed è in arrivo in libreria il suo saggio sui vampiri per la casa editrice Gremese...
Simonetta, intanto ti do il benvenuto a quella che non sarà la solita intervista chilometrica, ma solo 4 chiacchiere contate.
- Prima chiacchiera: Qualcuno dice che il vero scrittore sia colui capace di inventarsi una città senza esserci mai stato, altri affermano che non si possa risultare credibili scrivendo di luoghi mai visitati. Considerando che il teatro delle vicende che racconti sia quasi sempre la magica atmosfera partenopea, mi vien da pensare che anche tu sia di quest’ultimo parere. Sbaglio?
No, non sbagli. Ma la mia è solo una modesta convinzione personale, non certo un dogma; c’è chi è bravissimo a narrare di luoghi mai visitati: vedi il grande Bram Stoker che nel suo Dracula ha descritto in maniera splendida e incredibilmente fotografica posti in cui non era mai stato. Inoltre, nel mio caso, io tento di servire al lettore una Napoli che per una volta non sia solo camorra e generalizzata delinquenza di cui questa città è ogni giorno più vittima; una Napoli come solo chi la vive riesce a vedere, con i suoi indubbi lati oscuri ma che dietro celano il sole, quello bello caldo, quello che noi partenopei ci portiamo dentro.
- Seconda chiacchiera: Raramente l’amore va a braccetto con l’horror. In "Dove il silenzio muore", hai voluto sperimentare l’accoppiata: la protagonista si ritrova a combattere il male dell’amuleto e, contemporaneamente, a decifrare i suoi sentimenti per un uomo che l’ha stancata, riscoprendo la passione per un amico d’infanzia. Tu che ami metterti in gioco e spaziare alla scoperta di ambiti letterari all’apparenza così diversi dal tuo (ricordiamo che hai pubblicato anche un racconto umoristico sulla condizione di “casalinga per forza” molto prima della fortunatissima serie “Desperate Housewives”) hai mai pensato di scrivere una storia di sentimenti, il classico romanzo d’amore d’altri tempi?
Per carità! Ma mi ci vedi a scrivere un testo tutto cuoricini e nuvolette rosa? No, grazie, il mestiere di scrittrice “sentimentale” preferisco lasciarlo fare a chi lo sa fare. Io nelle mie corde ho ben altro; qualcosa di macabro che nella maggior parte dei casi non è certo ascrivibile al genere femminile, eppure mi piace essere così diversa. Sai quante volte mi sento dire ma tu non sei normale… Be’, alla fine ho cominciato a crederlo pure io: dev’essere il mio lato mascolino che tenta di emergere in ogni cosa che faccio, dagli esercizi in palestra al guidare la motocicletta con un casco con un bel teschio rosso sangue sopra, allo scrivere horror, un genere che è sempre stato appannaggio maschile. Io sono orgogliosa e divertita di essere una delle poche che fanno la differenza. L’umorismo è cosa diversa, quello mi viene naturale e deriva dalla mia filosofia di non prendermi mai troppo sul serio. Altrimenti sarei una serial killer.
- Terza chiacchiera: Le tue storie lasciano sulla pelle l’inquietudine, quella che ti tormenta a lungo dopo aver chiuso il libro. Io stesso, quando capito in qualche luogo di periferia, un po’ desolato, ho sempre il timore di imbattermi nella serra della tua signora Piccini. Quali sono le paure di Simonetta Santamaria, quelle reali intendo dire?
Bella questa, è un complimento graditissimo! Paure non ne ho molte, devo dirti, forse si tratta più che altro di fobie. Una è il buio: più che altro mi mette angoscia, mi fa pensare alla tomba, luogo in cui conto di ficcarmi il più tardi possibile. Il buio svela ciò che la luce nasconde, dico io, perciò dormo con la persiana semiaperta o con una lucetta accesa. E prego sempre i miei, quando sarà il momento, di seppellirmi con una torcia e un cellulare: hai visto mai… Poi ci sono gli insetti, specie quelli che ronzano e perdono il controllo del volo per i quali ho una vera repulsione. La Paura vera e propria, quella con la P maiuscola, credo di non averla mai provata. Ancora.
- Quarta chiacchiera: Come giudichi la realtà editoriale italiana, in riferimento agli ostacoli che incontrano gli scrittori che tentano di farsi conoscere? Alla luce di questa considerazione, hai un po’ ridimensionato i tuoi sogni?
L’editoria italiana, quella grossa, intendo, non è ancora abbastanza attenta ai nuovi fenomeni. Spesso non rischiano di investire sul nuovo e preferiscono basarsi su bestseller già collaudati all’estero o su nomi famosi che vendono indipendentemente dal contenuto del libro. Noi horrormaniaci, poi, siamo ancora considerati scrittori di nicchia e, nonostante il crescente interesse per il genere, continuiamo a vederci surclassati da firme straniere. Sulle copertine dei libri si tende a non definire più l’horror come tale ma piuttosto thriller o, in alcuni casi, mystery. La parola “horror” spaventa, i lettori (e anche gli agenti letterari: io non ne ho ancora trovato uno disposto a rappresentarmi) sono ancora rimasti legati all’idea dello splatter (che a me non piace, del resto). Vedi la Nord che ha definito thriller Il vangelo secondo Satana di Graham Patrick… Se è così allora io non ho capito niente di quello che scrivo.
La piccola editoria, invece, ci prova ma viene spesso penalizzata dalla distribuzione. In entrambi i casi, chi ne fa le spese siamo noi. Mi viene una rabbia…
E sì, finirò prima o poi col ridimensionare anche i miei sogni. Mi darò un tempo, dopodiché credo che appenderò la penna al chiodo e mi darò al ricamo (no, magari a qualcosa di più trucido). E allora vorrà dire che avrò perso la mia battaglia: Golia avrà sconfitto Davide.
Questa era l’ultima chiacchiera: non mi resta che salutarti e ringraziarti per aver accettato il mio invito.
Sono io che ringrazio te. Queste sono le iniziative che vanno premiate, che danno a noi scrittori del sottobosco la possibilità di avere una voce. Potremmo prendere tutte queste interviste e mandarle ai grandi direttori editoriali: chissà, magari qualcuno si accorge che anche noi esistiamo.
Un saluto speciale va anche a tutti i lettori. E mi raccomando: attenti al buio!
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Simonetta Santamaria
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