Tre giorni a Berlino
- Autore: Christine de Mazières
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Edizioni Clichy
- Anno di pubblicazione: 2021
Cercate di farvene una ragione e prenderla per il verso giusto: la caduta del muro di Berlino ha sancito su scala planetaria il disequilibrio della politica mondiale, introducendo di fatto l’avvento della dittatura del Capitale. Qual è stata, in fin dei conti, la libertà raggiunta dai tedeschi dell’est se non quella del libero (?) asservimento a un altro sistema di potere? Il sistema senza più contraltari del liberalismo occidentale, intendo. Voglio credere che la folla di qua e di là dei checkpoint di un muro ormai fittizio, la sera del dissolvimento eutanasico del muro, anelasse ad altro che alla libertà di orientarsi tra i brand, alienandosi a vita per inseguire morgane di un benessere riservato a pochi. In altri termini: la sera del 9 novembre 1989 svaporava senza colpo ferire un mondo indubitabilmente grigio, ma il mondo nuovo instaurato in sua vece maschera altrettanto grigiore sotto lo sfavillio delle vetrine.
La fine del microcosmo “a parte” rappresentato dalla Repubblica Democratica Tedesca comincia dunque a scriversi verso l’ora di cena, con una conferenza stampa seguita alla riunione del Comitato Centrale. Il portavoce del Partito si chiama Gunter Schabowski e sta parlando ai giornalisti davanti alle telecamere dell’unico canale della televisione di Stato. Tutto sembra svolgersi secondo i canoni soporosi della routine.
Shabowski
“ha l’aria congestionata di chi lotta contro la contrazione dei muscoli del volto e del diaframma. Finalmente tira fuori di tasca un foglio e sembra scoprire quello che legge. Dopo poco, un giornalista chiede, a partire da quando? L’uomo grigio esita, gli occhi fissi sul suo foglio, che non gli dà la risposta. Ha la fronte lucida. Perché non gli hanno detto niente? A un funzionario del Partito non piace improvvisare. Tutti gli sguardi convergono su di lui, il respiro sospeso […] A quel punto assume un’aria disinvolta e, dato che non può certo inventarsi una data che non figura sul suo pezzo di carta, risponde, come se fosse una cosa ovvia, ab sofort, ‘da subito’. E aggiunge, con finta sicurezza, unverziiglich, ‘immediatamente’." (pp. 13-14)
L’asserzione improvvisata viene da Tre giorni a Berlino di Christine de Mazières (Edizioni Clichy, 2021, trad. Fabrizio Di Majo) e riguarda la libertà dei tedeschi dell’est di oltrepassare il confine: l’inizio della fine di una nazione (e quella di un mondo con essa) si inaugura in modo grottesco e non voluto, a seguito della semplice pronuncia di un avverbio di tempo: “immediatamente” dice il burocrate abbandonato a se stesso dalla nomenclatura, e il resto è storia. Attirati come i topi del Pifferaio di Hamelin, centinaia e centinaia di cittadini si consegnano senza saperlo ai surrogati consumisti della libertà.
Come cantava il Bennato di una volta (Franz è il mio nome): "Franz è il mio nome e vendo la libertà/ a chi vuol passare dall’altra parte della città […] E come Pinocchio non crederai ai tuoi occhi/ quando vedrai il paese dei balocchi/ West Berlino splendente ti apparirà/ e nella notte la luce ti abbaglierà/ E nelle vetrine aperte ai desideri/ i sogni tuoi proibiti fino a ieri […] Lì tutto è permesso, lì tutto si può comprare/ E ti conviene spendere senza pensare/ e se non avrai più i soldi una mattina/ ti troverai dall’altra parte della vetrina”.
Fine dell’inciso: sappiate ora che Tre giorni a Berlino è il romanzo d’esordio della scrittrice franco-tedesca Christine de Mazières, e gravita attorno a quei giorni, i giorni che illusero il mondo. Avercene di esordi tanto maturi. “Dal monolitico blocco della Germania dell’Est emergono volti, caratteri e storie. Saranno i loro destini, le loro passioni, la loro audacia, la loro viltà a cambiare il corso della Storia e a dare a questa autrice esordiente la materia per un magnifico romanzo”, sintetizza "Le Figaro Littéraire" senza sbagliarsi di una virgola su tesi e contenuti di un libro teso e corale che si divora d’un fiato.
Un po’ come nel Decalogo di Kristoff Kieslowsky i destini dei personaggi di Tre giorni a Berlino si intrecciano, si frammentano, si ritrovano e si dividono in modo circolare, al cospetto delle scelte personali e, nel caso della Mazières, della Storia. Ciascuno partecipe di un destino più vasto, collettivo, carico di aspettative e possibilità. All’ombra vasta di un Muro che dapprima getta la sua ombra opprimente e quindi “implode” senza quasi rumore, c’è Anna la francese con la passione per la Germania, che spera di ritrovare Micha conosciuto una notte di diversi anni prima a Berlino Est. C’è Micha, figlio insofferente di un gerarca comunista, che in passato ha tentato senza riuscirci di fuggire all’Ovest. C’è Niklas dall’aura misteriosa, C’è Cassiel, l’angelo struggente fuggito del wendersiano Il cielo sopra Berlino. Ci sono i gerarchi della nomenclatura e c’è gente che molto semplicemente ci credeva. C’è la moltitudine portatrice di slanci, ferite, dilemmi pubblici e privati, che più o meno verso l’ora di cena di quel 9 novembre, lascia il boccone a mezzo, distoglie lo sguardo dal televisore, alza la testa, e affolla le strade, marciando disarmata verso i posti di frontiera, verso un futuro che sogna diverso. Per molti di loro cambieranno soltanto bandiera e tipo di indottrinamento, ma questo i personaggi ancora non lo sanno, e questo il romanzo non lo dice, interrompendosi liricamente al limitare del Sogno. Dato che non esistono "poteri buoni" (De Andrè) sono io a credere che la solo libertà concessaci, in fondo, è quella di sceglierci la dittatura che meglio si addice alle nostre misere convinzioni.
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