Il 21 luglio 1899 nasceva a Oak Park, un sobborgo di Chicago, Ernest Hemingway, autore del capolavoro de Il vecchio e il mare, premio Pulitzer nel 1953 e vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1954.
La sua fu un’esistenza tormentata, terminata tragicamente con il suicidio compiuto con un colpo di fucile all’alba del 2 luglio 1961. Una vita votata alle armi, ma soprattutto agli amori come tra le pagine di uno dei suoi romanzi più celebri Addio alle armi (A Farewell to Arms, Ndr), storia d’amore e di guerra composta febbrilmente tra il 1928 e il 1929 e ispirata alle esperienze dell’autore sul fronte italiano. Tra le righe dei romanzi di Hemingway l’amore emerge sempre come un’aspirazione feroce e disperata, uno dei pochi momenti di felicità strappati alla trama ingarbugliata e contorta della vita.
Ricordiamo tutte le donne della vita di Hemingway, tra amori impossibili e amori ufficiali.
Hemingway e Hadley Richardson
Un ruolo chiave nell’esistenza dello scrittore lo ebbe la sua prima moglie, Hadley Richardson. L’amore devoto di Hadley fece di Hemingway l’autore che oggi noi tutti conosciamo. I due si erano conosciuti appena ventenni durante uno di quei party casalinghi che, negli anni Venti del Novecento, erano soliti animare le serate di Chicago. Hemingway intratteneva il pubblico raccontando storie avventurose e lei, Hadley, una ragazza timida e solitaria, ne rimase affascinata. Anche lui la notò quella sera, forse proprio perché lei a differenza delle altre faceva di tutto per passare inosservata. La corteggiò insistentemente per quasi un anno e, infine, convolarono a nozze e si trasferirono insieme a Parigi; ma, attenzione, non era affatto l’inizio di un idillio. Elizabeth Hadley Richardson non aveva avuto una vita semplice. Da bambina era caduta da una finestra e, a causa della sua fragilità, fu soffocata per tutta l’infanzia dalle attenzioni morbose della madre Florence Wyman Richardson, che era una famosa cantante dell’epoca. Il padre di Hadley, invece, si suicidò per problemi finanziari nel 1903. Alla sorella Dorothea non toccò una sorte migliore: trovò la morte in un incendio, il corpo avviluppato dalle fiamme. Hadley Richardson era stata temprata dalla vita: all’esterno appariva fragile e delicata come uccellino, ma non lo era affatto.
Quando conobbe Hemingway era titubante ad accettare il suo corteggiamento, anche a causa della differenza di età (lei aveva otto anni più di lui, Ndr), e lo fece penare non poco. Infine Hadley capitolò e sperimentò sulla propria pelle cosa significasse amare uno scrittore: capì ben presto che lei sarebbe sempre venuta dopo rispetto alla scrittura. Ciononostante si adoperò con ogni mezzo per sostenere il marito, durante gli anni parigini aiutò finanziariamente Hemingway usando i soldi del proprio cospicuo patrimonio familiare. Fu grazie al supporto - morale, ma soprattutto economico - di Hadley Richardson che Ernest Hemingway poté scrivere. Il marito, però, non ricambiava la sua dedizione. Dopo la nascita del loro primo figlio, Jack, Hadley fu lasciata sola a occuparsi del bambino mentre Ernest proseguiva la propria vita avventurosa, intessendo numerosi flirt e pensando unicamente a sé stesso. I comportamenti del consorte misero a dura prova la sopportazione di Hadley; ma a rompere il matrimonio fu l’arrivo di un’altra donna, Pauline Pfeiffer, che si intrufolò nella vita della coppia dapprima come amica e poi strappò a Hadley l’amore di Ernest. Lo scrittore, però, rimase sempre in debito con la sua prima moglie. In segno di eterno riconoscimento le cedette i diritti del suo primo romanzo, Il sole sorgerà ancora (The Sun Also Rises, 1926), e in una lettera scrisse:
Ogni donna di cui scriverò nei miei libri avrà sempre una parte di te.
Hemingway e Pauline Pfeiffer, la sua seconda moglie
A strappare Hemingway dalle braccia della prima moglie fu Pauline Pfeiffer, una ricca americana che si era trasferita a Parigi per lavorare alla rivista Vogue Paris. Pauline era una donna istruita, laureata all’università del Missouri e cresciuta con la convinzione che dalla vita avrebbe potuto ottenere tutto ciò che avesse desiderato.
Nel tempo libero la bella Pauline si aggirava per la città e sostava a lungo nelle terasse dei cafè parigini bevendo cocktail insieme ad altri americani espatriati. Conobbe Ernest Hemingway grazie a un’intervista per Vogue Paris e, chissà perché, lei così sofisticata rimase affascinata dallo scrittore squattrinato, eterno perdigiorno. Si conobbero nell’estate del 1926, quando Hemingway aveva ventisette anni, e lui non la giudicò per niente bene: Pauline gli appariva come la solita ragazza americana “ricca e viziata”. Lei, però, era determinata a conquistarlo e, poco tempo dopo, iniziò a corteggiarlo sfacciatamente. Pauline Pfeiffer, detta “Fife”, era ben consapevole dell’esistenza di Hadley Richardson e, per meglio riuscire nel suo scopo, divenne amica anche della moglie di Hemingway. La ricca Pfeiffer invitava tutta la famiglia Hemingway in ristoranti costosi, oppure a party rinomati, addebitando ogni costo sul proprio conto. I tre partirono insieme per un viaggio a Pamplona in occasione della festa spagnola di “San Firmin” e, a quel punto, alla povera Hadley fu chiaro che il marito era completamente rapito dalla presenza di Pauline e che tra quei due la relazione era già avviata. Fu la stessa Hadley a proporre un periodo di pausa e, infine, a presentare al marito fedifrago le carte del divorzio.
Ernest e Pauline si sposarono a Parigi nel maggio del 1927. Lui dovette convertirsi al cattolicesimo per celebrare il rito in chiesa, perché lei, Pauline, era profondamente cattolica e non volle sentire ragioni. La coppia ebbe due figli: Patrick e Gregory. Ma a metà degli anni Trenta l’idillio tra Ernest e Pauline si spezzò e il matrimonio andò in rovina, perché Hemingway durante un viaggio in Spagna come inviato aveva conosciuto un’altra donna: il suo nome era Martha Gellhorn.
Hemingway e Martha Gellhorn, la sua terza moglie
Avete presente il celebre libro di Hemingway Per chi suona la campana (For Whom the Bells Tolls, 1940)? È dedicato a lei, Martha Gellhorn, una delle prime corrispondenti di guerra donna, che fu amante e poi terza moglie dello scrittore. L’aspetto più curioso di Martha è che essere stata la moglie di Ernest Hemingway sembra essere il fatto meno interessante della sua vita. Era un’inviata di guerra intrepida, una donna da prima linea, una vera e propria Hemingway in gonnella - forse fu questo a far capitolare lo scrittore. Martha Gellhorn intuì la terribile ascesa di Hitler, ben prima che nel mondo spirassero i venti avversi della Seconda guerra mondiale, e nel 1937 era al fronte accanto ai rivoluzionari della Guerra civile spagnola. I reportage di Gellhorn avevano un denominatore comune: raccontavano la vita dei deboli, non eroicizzavano la guerra, non la rendevano un’impresa epica. In Spagna conobbe Hemingway che di lei si innamorò perdutamente, chiedendo il divorzio da Pauline. Il loro amore sbocciò sotto le bombe e entrambi nutrivano l’identica vocazione: seguivano la guerra ovunque. Ma Martha non era una donna da sposare; era una donna non convenzionale, sempre in viaggio, sempre alla ricerca di qualcosa da scrivere. Il matrimonio con Hemingway non fu felice, malgrado lui stimasse molto la moglie e la sua professionalità. Spesso la coppia si trovò a competere per pubblicare un pezzo sulla prima pagina di un giornale.
Celebre la collaborazione per la rivista Collier’s, che portò anche alla fine del loro matrimonio. Martha era una collaboratrice di lunga data della rivista, ma Hemingway riuscì a ottenere un articolo in prima pagina in occasione dello “Sbarco in Normandia”. Lei però era determinata e riuscì, con la scusa di voler intervistare delle infermiere, a intrufolarsi sulla nave diretta verso la famosa spiaggia. Sarà l’unica corrispondente di guerra donna presente allo sbarco. Soccorrerà i feriti e annoterà tutto; l’articolo di Hemingway sarebbe sì finito in prima pagina, ma lei l’aveva battuto con un reportage dal vivo indimenticabile, narrato da una prospettiva inedita.
Il divorzio avvenne in quello stesso anno, nel 1944. Martha Gellhorn sarebbe stata tra i primi giornalisti a entrare a Dachau, ad assistere al processo di Norimberga e agli accordi di pace nel Palais de Luxembourg di Parigi. Nella sua lunga vita racconterà anche il Vietnam.
Hemingway e Mary Welsh, la sua quarta moglie
E arriviamo infine a Mary Welsh, l’ultima moglie dello scrittore, che Fernanda Pivano definì senza mezzi termini “la moglie geisha”. Anche Welsh era una scrittrice e giornalista, fu corrispondente per Time e Life durante la Seconda guerra mondiale. Nella primavera del 1946 i due convolarono a nozze, dopo aver entrambi ottenuto il divorzio dai precedenti consorti. Mary fu l’ultima musa di Hemingway e colei che lo salvò dal primo tentativo di suicidio.
Insieme si trasferirono a Cuba dove vissero gran parte della loro vita insieme. Mary Welsh è nota per essere rimasta coinvolta insieme allo scrittore nell’incidente aereo in Africa, durante un safari, in seguito al quale Hemingway fu dichiarato morto dai giornali di tutto il mondo. Una delle “fake news” più eclatanti della storia della letteratura. Nello schianto lei perse i sensi e si ruppe tre costole; ma si salvò, proprio come il marito.
Quando a Cuba spirarono i venti della rivoluzione la coppia si trasferì in Idaho nel grande ranch che sarebbe stato l’ultima dimora di Ernest Hemingway. La mattina del 2 luglio del 1961 Mary Welsh fu svegliata da un colpo di fucile e capì che ormai era accaduto ciò che aveva scongiurato per mesi. I due avevano vissuto insieme per più di quindici anni, non avevano avuto figli.
Fu Mary Welsh, nella sua lunga esistenza da vedova, a curare la prima edizione di Festa mobile - di cui epurò in gran parte il contenuto - che sarebbe stato pubblicato postumo; avrebbe curato le edizioni di tutte le opere dello scrittore. Nel 1976 pubblicò la sua autobiografia, dal titolo How It Was in cui narrava la sua vita accanto a Hemingway. Si spense a New York, il 26 novembre 1986, ed ora è sepolta a fianco al marito nel cimitero di Ketchum nell’Idaho.
Hemingway e la passione per Marlene Dietrich
Tra le numerose passioni segrete di Ernest Hemingway, emerse soprattutto dai carteggi ritrovati dopo la morte dello scrittore, ricordiamo quella con la celebre attrice tedesca Marlene Dietrich. Pare che la relazione tra i due rimase platonica, ma la corrispondenza passionale - venuta alla luce solo nel 2003 - testimonia una fortissima intimità e affinità, se non altro, intellettuale. Si scrissero ininterrottamente sino alla morte di lui avvenuta nel 1961.
Si erano conosciuti nel 1934 a bordo del piroscafo Île-de-France in una circostanza decisamente teatrale. Lei apparve sulla cima di una scala, come un angelo azzurro, vestita con un lungo abito da sirena. Scese gli scalini uno ad uno in maniera divina e, una volta giunta al tavolo per la cena, contò i commensali e notò che erano dodici; quindi si congedò platealmente affermando di essere superstiziosa e di non voler fare la tredicesima. A quel punto apparve Hemingway che colse al volo la sua occasione d’oro dicendosi disponibile a essere il quattordicesimo. Nacque un’intesa immediata, come ci testimonia la lunga corrispondenza. Entrambi erano spesso in viaggio e si scrivevano dai luoghi più disparati, da Cuba a New York.
Nelle lettere Hemingway la chiamava “Mia carissima Kraut”, in omaggio alle sue origini tedesche, e le scriveva:
Non ho mai pensato che tu sia una dea, né una puttana, né una stella del cinema: mi sei sempre mancata per quello che sei.
Lui diceva che Marlene “con la sola voce ha il potere di spezzarti il cuore” e nelle sue parole troviamo il ritratto letterario e commovente di una diva senza tempo. L’attrice aveva infatti una voce roca e struggente, come ci testimonia la canzone Lili Marleen divenuta un inno (e un balsamo consolatorio) per tutti i soldati al fronte durante la Seconda guerra mondiale:
Se volessimo, potremmo ritrovarci ancora,
per stare vicino alla lanterna,
come una volta, Lili Marleen.
Hemingway ne ammirava anche le lunghe gambe affusolate e il volto perfetto che sembrava “scolpito per l’eternità”.
Alle lettere dell’americano lei rispondeva di rado, ma le conservò dalla prima all’ultima. Nella sua autobiografia intitolata My life story (1979) scrisse che per lei Ernest Hemingway era stato “un amore puro”, un amore in grado di andare oltre la morte. Una passione del genere del resto, segreta e forse mai vissuta, non poteva che lasciare un’indelebile traccia letteraria.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Tutti gli amori di Ernest Hemingway: da Hadley Richardson a Marlene Dietrich
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