La moderna Odissea di Umberto Saba ci trascina nel cuore dell’umano. Nella poesia Ulisse (1946) il poeta triestino si identifica nell’eroe omerico componendo un inedito ritratto in versi che, attraverso la descrizione esteriore del paesaggio, esplora la tempestosa interiorità dell’io.
La chiave di lettura della lirica è indicata nel titolo che riporta il nome di “Ulisse”, lasciandoci intuire il personaggio nel quale l’autore si identifica, il suo alter ego, la sua maschera tragica; ma il riferimento all’opera di Omero si ferma lì, non sarà più ripreso con ulteriori citazioni o rimandi, eppure pervade l’intero componimento trascinandoci in un viaggio esistenziale che somiglia a una visione marina.
Nel riprendere il sottotesto omerico Saba compie un’operazione analoga a quella svolta da Costantino Kavafis in Itaca, in cui il poeta greco si serve della città natale di Ulisse come allegoria per descrivere la condizione esistenziale umana, che può essere letta alla stregua di una metafora del viaggio dell’eroe. Se Kavafis si concentra sul senso effimero della meta, che non è tanto nel giungere all’approdo ma nell’esperienza accumulata (già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare, Ndr), Saba invece nella sua lirica dà voce proprio all’insaziabile fame di conoscenza del protagonista dell’Odissea, cui si sente profondamente affine. Sotto questo punto di vista l’Ulisse citato dal poeta triestino si discosta dalla figura omerica e ricorda più l’Ulisse di Dante che si spinge oltre le colonne d’Ercole e ammonisce i compagni con la celebre frase: Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza. Questa formula, a ben vedere, è il faro guida del pensiero del poeta e ciò che rende “doloroso” il suo amore per la vita: l’animo di Saba, proprio come quello di Ulisse, non è fatto per essere domato ma per essere preda dell’inquietudine e dibattersi nel continuo desiderio di un altrove.
La poesia Ulisse fu pubblicata per la prima volta su L’Unità il 15 settembre 1946, in seguito inserita come conclusione della raccolta Mediterranee di Umberto Saba, che uscì nel dicembre dello stesso anno. Nel 1948 avrebbe chiuso l’edizione del Canzoniere.
Scopriamone testo, analisi e commento.
“Ulisse” di Umberto Saba: testo
Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d’alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l’alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore.
“Ulisse” di Umberto Saba: analisi e commento
Ulisse è un componimento in endecasillabi piani, che si legge in un continuo fluire come trascinati dalla forza di un’onda. La bellezza della poesia di Saba risiede nella sua capacità di trascinarci in una visione marina, facendoci sentire l’odore salmastro del mare che punge le narici e il tocco viscido, scivoloso delle alghe sui piedi nudi a contatto con la ruvidezza degli scogli corrosi dall’acqua salata. Leggere questa poesia significa immergersi in un paesaggio estivo, assolato, essere trasportati lontano, in mare aperto; ma anche sprofondare negli abissi della nostra anima, che non sono meno insidiosi o inesplorati dei fondali marini.
Posto in chiusura della raccolta poetica di Saba, Ulisse può essere letto come un testamento poetico. In questa lirica l’autore riversa uno degli insegnamenti chiave della propria produzione poetica: l’invito a guardare oltre la superficie, a non accontentarsi della realtà così come appare ma ad andare nel cuore delle cose. Questa ricerca dell’altrove ha sempre guidato Umberto Saba come osserva nella chiusura della lirica: il “non domato spirito” è ciò che lo accomuna all’eroe omerico, ovvero la sete di scoperta, l’inquietudine e la capacità di compiere scelte coraggiose che lo spingono sempre al di là del porto sicuro alla scoperta di un nuovo mondo.
Ogni elemento evocato da Saba nel suo canto è un’allegoria: le coste dalmate sono il profilo della natia Trieste, gli isolotti che emergono a fior d’onda rappresentano i primi ostacoli incontrati nella vita e infine ci sono le vele spiegate sottovento (la parola “vele” è una sineddoche per indicare le barche, Ndr) che evocano l’idea di libertà che soffia impetuosa nel cuore dell’autore.
Nel finale possiamo cogliere l’autoritratto del poeta già reso noto in Trieste, in cui Saba definisce la propria vita “pensosa e schiva”. La solitudine è la caratteristica propria dell’eroe e viene ripresa anche nella lirica Ulisse che si conclude facendo riferimento a una “terra di nessuno” abitata soltanto dal poeta (“il mio regno”, dice), e al “doloroso amore per la vita”.
Impossibile non cogliere nel “non domato spirito” di Saba un rimando a Ugo Foscolo e a Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge descritto nella meravigliosa Alla sera.
L’inquietudine, l’insidiosa ricerca dell’altrove è una dolorosa smania a cui certe anime, tra le quali figurano senz’altro quelle dei poeti, non sanno rinunciare. Una vocazione a spingere “al largo” il nostro bisogno di sentire, tentando di infrangere un limite, alla costante ricerca di un senso che forse non vuole davvero essere trovato. Il senso non è nella meta, ma nel viaggio, ci diceva Kavafis; Umberto Saba questo viaggio ce lo descrive in tutto il suo doloroso splendore, dimostrandoci che quella corsa sfrenata verso l’ignoto e l’altrove in realtà è la vita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Ulisse” di Umberto Saba: testo e analisi della poesia
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