Venivamo tutte per mare
- Autore: Julie Otsuka
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Bollati Boringhieri
- Anno di pubblicazione: 2012
Venivano dalla campagna, venivano dalla città. Erano figlie di contadini, di pescatori, di artigiani. Partivano con speranza, con paura, con rassegnazione, con curiosità. Partivano dal Giappone, all’inizio del secolo scorso e affrontavano un lungo viaggio in nave per raggiungere i loro sposi, in America. Con loro, pochi oggetti personali, le foto e le lettere dei mariti. Dentro di loro, dubbi, domande, rimpianti, ma anche impazienza. Occhi malinconici che nascondevano raccomandazioni e consigli ricevuti dalle madri, e che ne cercavano di nuovi e più utili in quelle più esperte di loro.
Sicuramente, sull’argomento delle spose emigrate dal Giappone in America all’inizio del Novecento, così come su quello della pulizia etnica contro i Giapponesi praticata negli Stati Uniti, esisteranno già diversi e autorevoli saggi storici. Ci sono però molti modi di raccontare un pezzo di storia: si può farlo anche dal punto di vista di coloro che l’hanno vissuta, e usando non la pura e semplice testimonianza, ma la vera e propria poesia. Non c’è altro modo di definire la scrittura di Julie Otsuka se non come una lunga e palpitante poesia a mille voci, quasi un canto corale, vibrante, accorato, dolce e disperato, che scorre nella mente e nel cuore del lettore come un torrente.
Pubblicato da Bollati Boringhieri a gennaio 2012, Venivamo tutte per mare di Julie Otsuka è un romanzo corale (questa è sicuramente la definizione più adatta per questo libro). Non esiste un singolo protagonista, non c’è un nome che si ricordi in particolare dopo la lettura, ma solo decine e decine di nomi menzionati solo una volta o due, minuscole tessere di un imponente mosaico, ciascuna con la sua unicità e la sua indispensabilità dentro la composizione, ma nessuna preponderante rispetto alle altre tanto da meritarsi attenzione particolare. Ogni singola frase è espressa alla prima persona plurale, a significare un senso di appartenenza anche nella storia personale di ciascuno dei protagonisti, ciascuno unico ma in fondo uguale per storia e destino.
La storia, semplice eppure così importante, banale ma significativa, inizia con il lungo viaggio per mare delle spose, con lunghi giorni che si susseguono nell’ingenua certezza di quello che sarà. Una volta arrivate in America, la prima delusione: gli sposi non sono i bei ragazzi delle foto, e neppure gli uomini di successo che hanno millantato. Incredibilmente crudo e incredibilmente poetico è il capitolo dedicato alla prima notte di nozze, probabilmente il migliore di un libro che, in ogni caso, appassiona e coinvolge dall’inizio alla fine. Una volta consumato il matrimonio, le spose si trovano a lavorare duramente nei campi con i mariti, oppure come operaie, in lavanderie, come cameriere. Poi arrivano le gravidanze e i figli. Si tira avanti con ottimismo o stringendo i denti, fino a quando le leggi sulla pulizia etnica non squarciano in pochi giorni il velo di serenità che aveva comunque, fino a quel momento, ammantato le vite di tutti, regalando l’illusione di un nuovo inizio.
Gli ultimi due capitoli sono visti dall’esterno, con gli occhi dei cittadini americani che, di punto in bianco, vedono i giapponesi partire per una destinazione ignota, soffrono la mancanza di coloro che, ormai, consideravano di casa, e infine pian piano li dimenticano, come sempre succede e così come è stata quasi dimenticata questa oscura pagina della storia. Ricordarla attraverso i pensieri e i sentimenti dei protagonisti è un’esperienza allo stesso tempo dolce e forte, che lascia il segno.
Venivamo tutte per mare
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