Gabriele d’Annunzio fu sempre un inesausto cantore dell’amore. Il Vate non poteva contemplare di vivere una vita che non fosse ravvivata dal fuoco ardente della passione: voleva bruciare, anzi di più, voleva ardere tra le fiamme sino a esserne consumato. In questa concezione troviamo lo slancio vitalistico del Superuomo, proteso unicamente all’affermazione di sé, libero da qualsiasi vincolo o costrizione sociale, che vive una vita votata all’arte e alla realizzazione esclusiva della propria opera.
Il superomismo e l’estetismo d’annunziano trovano concreta affermazione nei versi di Voglio un amore (conosciuta con questo titolo, ma in originale è Sopra un “erotik” di Edvard Grieg, Ndr), che sorprendono il lettore nello svolgimento: “voglio un amore doloroso” afferma il Vate sancendo, nel finale, la dicotomia complementare tra “amore” e “morte”.
D’Annunzio non può concepire eros senza thanatos, dunque l’amore inteso nella sua concezione primordiale di desiderio che trova compimento nella sete d’assoluto. L’aspetto singolare di questi versi è che non si rivolgono a una donna in carne e ossa né a una musa astratta, il poeta canta il desiderio che si avvera nel sublime, nella grandezza e, infine, nell’Infinito inteso come “senso perfetto”, verità assoluta e inoppugnabile di tutte le cose. La poesia d’amore di D’Annunzio traduce, in ultima istanza, una ricerca di assoluto che non ha nulla da invidiare alle liriche più rappresentative del Romanticismo, il quale vedeva nell’amore una forza trascendentale in grado di ricongiungere l’umano con una forza spirituale superiore. Il tutto però, in questi versi, è avvolto da una patina decadente ammantata di crepuscolarismo.
In questa lirica il Vate esalta il desiderio nella sua pura potenza vitalistica, facendone non un fine ma un mezzo di conoscenza ulteriore della realtà, in grado di portare l’anima a un livello supremo, sovrumano, a una percezione di Infinito così totalizzante da sfiorare l’eternità della morte.
La poesia, il cui titolo originale è Sopra un “erotik” di Edvard Grieg (in riferimento al compositore e pianista norvegese Edvard Grieg, Ndr), fu ultimata a Pescara attorno al 1891, rappresenta il più perfetto esempio della prima fase della poetica d’annunziana: il D’Annunzio esteta, che andava volgendosi verso il poeta superomista delle laudi. La lirica è contenuta in Poema paradisiaco (1892), nella prima sezione dal titolo Hortus conclusus.
Vediamone testo, analisi e significato.
“Voglio un amore”: la poesia di Gabriele d’Annunzio
Voglio un amore doloroso, lento,
che lento sia come una lenta morte,
e senza fine (voglio che più forte
sie della morte) e senza mutamento.Voglio che senza tregua in un tormento
occulto sien le nostre anime assorte;
e un mare sia presso a le nostre porte,
solo, che pianga in un silenzio intento.Voglio che sia la torre alta granito,
ed alta sia così che nel sereno
sembri attingere il grande astro polare.Voglio un letto di porpora, e trovare
in quell’ombra giacendo su quel seno,
come in fondo a un sepolcro, l’Infinito.
“Voglio un amore” di Gabriele d’Annunzio: significato
L’individuale, in D’Annunzio, si afferma nell’ideale: la vita del singolo si compie nella visione estetica dell’arte e non nella concezione puramente introspettiva. Ne consegue che anche il canto d’annunziano dell’amore assume una dimensione universale, ideale, svincolata dal soggettivismo: Gabriele d’Annunzio canta l’amore per l’amore, l’amore fine a sé stesso. Il centro focale della sua poesia non è la donna amata, ma l’eros, il desiderio, inteso in quanto tale, percepito nella sua potenza divorante. La dicotomia amore e morte è fondamentale per comprendere il senso di questa poesia. D’Annunzio non può percepire le due pulsioni originarie, gli impulsi dominanti nella psiche umana, disgiunte: ecco spiegato perché il poeta dichiara di volere un “amore doloroso”. L’affermazione, posta al principio della poesia, suscita sempre un certo smarrimento nei lettori, ma il suo significato è da porre in relazione alla poetica d’annunziana e alla sua concezione superomistica.
Il vitalismo di D’Annunzio non può concepire un amore che sia disgiunto dalla morte: da qui il significato del verso finale della poesia in cui troviamo gli amanti che giacciono in un letto “come in un sepolcro”, segno che la ricerca di assoluto si è conclusa. Ciò che il Vate ricercava nell’esperienza amorosa era il compimento che gli permettesse di cogliere un frammento di infinito: in questo senso per lui amare era “come morire”.
Il protagonista del Poema paradisiaco d’annunziano era un uomo soggetto alla prigionia dei sensi che cerca una via di salvezza attraverso la purificazione. Questa poesia era collocata nella prima parte del poema, denominata “Hortus conclusus”, in cui ancora a predominare era il senso di insoddisfazione, incompletezza e languore dell’io lirico, che probabilmente D’Annunzio mutuò dai poeti del Decadentismo francese. Il desiderio del protagonista del Poema paradisiaco è provare, di nuovo, la purezza e l’innocenza della fanciullezza; solo così considererà la sua ricerca conclusa.
Non possiamo quindi scindere la poesia dal suo contesto, dal poema in cui è inserita, per comprendere il suo valore formale ed estetico: Voglio un amore, con questo titolo infatti oggi è maggiormente conosciuta, è la prova della assidua ricerca artistica, dell’estetismo d’annunziano.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Voglio un amore”: poesia e passione in Gabriele d’Annunzio
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