Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono è uno dei sonetti più famosi di Francesco Petrarca e della poesia italiana del ’300.
Il tema dominante è come sempre quello dell’amore, ma la poesia svolge anche la duplice funzione di prologo e di (amaro) bilancio del Canzoniere, di cui sottolinea l’intelaiatura frammentaria e destrutturata.
L’autore si scusa con i lettori per l’uomo che, in balia dei sensi, era diventato, chiedendo di essere compreso nel nome della comune esperienza (e sofferenza) amorosa.
Il tono di mestizia e rassegnazione che pervade il componimento, la cui conclusione ribadisce la consapevolezza della fugacità di ogni cosa sulla terra e nella vita, lo rendono uno dei più dolorosi dell’intera produzione petrarchesca.
In occasione dell’anniversario della morte di Francesco Petrarca, 19 luglio, vediamo testo, parafrasi e analisi dell’opera.
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono: testo
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,del vario stile in ch’io piango et ragiono
fra le vane speranze e ’l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono: parafrasi
Voi che ascoltate in [queste] poesie sparse il suono di quei sospiri con i quali io nutrivo il cuore al tempo dell’illusione della mia prima giovinezza, quando ero diverso, ma solo in parte, da quello che sono oggi,
spero di trovare comprensione e perdono del mio stile mutevole, con il quale io mi lamento e scrivo fra le inutili speranze e l’inutile dolore, ovunque [vi] sia qualcuno che per esperienza conosca che cos’è l’amore.
Ma ora vedo bene che per molto tempo fui per tutta la gente motivo di dicerie, per cui spesso mi vergogno di me stesso fra me;
e [perciò] il risultato del mio illudermi è la vergogna, e il pentirsi, e il capire chiaramente che tutto ciò che piace nel mondo è fuggevole illusione.
Stile, metrica e figure retoriche del sonetto di Petrarca
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono è un sonetto con schema di rima ABBA, ABBA, CDE, CDE.
Le prime due quartine costituiscono un periodo unico, che si apre con l’allocuzione ai lettori ("Voi ch’ascoltate") e si regge sul verbo finale ("spero trovar"), con anacoluto.
Nel testo sono presenti diverse figure retoriche:
- chiasmo ("piango/ragiono" e "speranze/dolore")
- allitterazioni della f, della m e della v ("favola fui", "me medesmo meco mi" e "vaneggiar vergogna")
- polisindeto ("et... e... e...").
Il componimento è chiaramente diviso in due parti distinte.
Nella prima, costituita dalle quartine, il poeta, rivolgendosi direttamente al lettore, enuncia quello che sarà l’argomento centrale del Canzoniere, ovvero la passione per Laura e chiede perdono nel nome della comune esperienza e sofferenza amorosa; la seconda, che si riscontra nelle terzine, è una dichiarazione di pentimento per l’errore che quasi lo ha reso uno zimbello agli occhi della gente e, allo stesso tempo, l’espressione dell’acquisita presa di coscienza di come nella vita tutto ciò che si desidera non sia altro che mera illusione.
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono: analisi del sonetto
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono è l’incipit del sonetto che fa da proemio al Canzoniere di Petrarca.
La datazione è ancora oggi incerta: secondo alcuni fu composto nel 1347, pertanto poco prima della morte di Laura, avvenuta nel 1348, per altri invece nel 1350.
Ad ogni modo è sicuro che l’autore lo inserì in apertura della raccolta solo nella sua seconda stesura, sostituendone un altro contenente l’invocazione ad Apollo, quindi di argomento decisamente più tradizionale.
Una delle peculiarità di Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono è che esso costituisce sì il prologo del Canzoniere, di cui illustra la tematica centrale, ma ne rappresenta anche, in un certo senso, la conclusione ideologica, poiché insieme supera e a volte persino rinnega questa stessa tematica, ovvero la passione amorosa.
Da qui il tono eccessivamente autocritico di Petrarca, che ormai da tempo ha riconosciuto l’errore e recuperato la moralità persa in passato attraverso il pentimento e la consapevolezza, propria della visione cristiana dell’esistenza, della vanità e dell’insensatezza di ogni cosa terrena.
Il poeta presenta il Canzoniere come il risultato dell’illusione dovuta al sentimento in precedenza provato, alla quale però si è ormai sottratto e, ai lettori, a cui si rivolge direttamente, chiede di perdonarlo, certo che sappiano cosa sia l’amore e che proprio per questo avranno compassione di lui.
Per comprendere appieno il senso del sonetto, è di fondamentale importanza ribadirne la netta distinzione in due parti, separate anche linguisticamente dal "ma" al verso 9, che svolge una funzione fortemente avversativa.
Le quartine si riferiscono alla giovinezza del poeta, quella dell’errore, cioè del traviamento amoroso, mentre le terzine corrispondono all’età matura, quando ormai, con una consapevolezza ben diversa, il furore di un tempo lascia il posto alla vergogna e al pentimento.
L’intero componimento è giocato su questa dicotomia: la disillusione che subentra all’illusione, la richiesta di pietà e perdono ai lettori che corrisponde alla vergogna e al sincero pentimento di chi scrive.
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