La commistione tra reale e sogno è uno dei temi fondanti della poesia di Fernando Pessoa, la voce più poliedrica ed enigmatica del Novecento letterario.
Pessoa nasceva il 13 giugno 1888 alle 15 e trenta del pomeriggio in un piccolo appartamento che affacciava proprio davanti all’Opera di Lisbona, il Teatro Nacional de São Carlos. La sua venuta al mondo doveva già lasciar presagire un futuro artistico, mentre quel primo pianto di neonato si accordava al suono attutito delle prove dell’orchestra.
Il 13 giugno, dunque, è la data di nascita ufficiale del grande poeta portoghese, ma di certo non la sola. Il suo Io lacerato e, per certi versi, post-moderno si è dipanato come un gomitolo attraverso molteplici “vite immaginarie”, i cosiddetti eteronimi.
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Fernando Pessoa nel corso della sua esistenza ha vissuto mille vite: è stato Álvaro de Campos, Ricardo Reis, Alberto Caeiro e Bernardo Soares. Non tutti i suoi “doppi” morirono con lui, per esempio l’anno della morte di Ricardo Reis è ancora incerto. Questa identità sdoppiata si trasfigurava nella lingua stessa usata dal poeta: di madrelingua portoghese, Pessoa trascorse l’infanzia e la giovinezza in Sudafrica, a Durban, dove ebbe l’opportunità di approfondire l’inglese letterario di Milton e Shakespeare. Arrivò in Africa all’età di otto anni senza conoscere una sola parola d’inglese, ma quella che apprese con fatica, la sua lingua acquisita, divenne per lui la lingua letteraria attraverso cui riprodurre i versi degli autori che tanto ammirava.
Il bilinguismo divenne quindi una delle cifre stilistiche della sua poetica: con sorprendente destrezza Pessoa scriveva le sue opere in inglese, così come in portoghese, con una continuità narrativa disarmante.
Ne è la prova la raccolta postuma The Mad Fiddler, tradotta in italiano come Il violinista pazzo (Passigli, Firenze, 2004) che contiene le poesie scritte in lingua inglese tra il 1910 e il 1917. In questi componimenti Pessoa adotta la maschera di uno dei suoi primi eteronimi, l’inglese Alexander Search, da lui creato durante i nove anni di permanenza in Sudafrica. Questa prima raccolta dell’autore è intrisa di romanticismo, e vi si può avvertire l’influenza dello studio dei grandi poeti inglesi come Blake, Shelley e Yeats. È un laboratorio sperimentale del suo processo di maturazione poetica, nel quale già si possono trovare alcuni dei capolavori come la meravigliosa Elsewhere, tradotta in italiano come L’altrove che narra di una fuga possibile.
È forse una delle opere più rappresentative di Fernando Pessoa e della sua inquieta ricerca letteraria, sempre in bilico tra il reale e l’immaginario.
Scopriamone testo, analisi e traduzione.
L’altrove di Fernando Pessoa: testo
Andiamo via, creatura mia,
via verso l’Altrove.
Lì ci sono giorni sempre miti
e campi sempre belli.La luna che splende su chi
là vaga contento e libero
ha intessuto la sua luce con le tenebre
dell’immortalità.Lì si incominciano a vedere le cose,
le favole narrate sono dolci come quelle non raccontate,
là le canzoni reali-sognate sono cantate
da labbra che si possono contemplare.Andiamo via, creatura mia,
via verso l’Altrove.
Lì ci sono giorni sempre miti
e campi sempre belli.Il tempo lì è un momento d’allegria,
la vita una sete soddisfatta,
l’amore come quello di un bacio
quando quel bacio è il primo.Non abbiamo bisogno di una nave, creatura mia,
ma delle nostre speranze finché saranno ancora belle,
non di rematori, ma di sfrenate fantasie.Oh, andiamo a cercare l’Altrove!
L’altrove di Fernando Pessoa: testo originale
Let us away my child,
Away to Elsewhere.
There days are ever mild
And fields are ever fair.The moon that shines on whom
There wanders happy and free
Hath woven its light and gloom
Of immortality.Seeing things there is young,
Told tales sweet as untold,
There real dream-songs are sung
By lips we may behold.Let us away my child,
Away to Elsewhere.
There days are ever mild
And fields are ever fair.Time there’s a moment’s bliss,
Life a being-slaked thirst,
Love like that in a kiss
When that kiss is the first.We need no boat, my child,
But our hopes while still fair
No rowers but fancies wild
O let we seek Elsewhere.
L’altrove di Fernando Pessoa: analisi
La fuga poetica di Fernando Pessoa prende le forme di una canzone malinconica, che nell’originale inglese riproduce il suono dolce della nostalgia come il canto interiore di una conchiglia. Elsewhere, come suggerisce il titolo, è una poesia di trascendenza che invita ad andare oltre le categorie umane di spazio e tempo invitando allo smarrimento del sogno. Tutto si annulla in un momento di estrema tensione metafisica, assoluto come l’incanto eterno di un bacio.
Possiamo ritrovare nelle parole usate dall’autore l’influsso decisivo di William Butler Yeats, la cui poesia travolge il lettore come un’onda mistica che, una volta terminata, richiede di essere letta daccapo per poterla riassaporare.
Pessoa nella sua lirica fa proprio questo movimento ondivago, giocato su segrete assonanze, che oltre a dare ritmo all’intero canto sembra cullare la mente in uno stato di ipnosi. Non viene posta alcuna domanda in Elsewhere, tuttavia l’intera poesia riflette una strana inquietudine nel suo narrare il passaggio recondito di un’anima. È come se si avvertisse che il mondo reale - così come è - non basta al cuore dell’uomo che necessariamente ricerca un’altra dimensione capace di acquietare il desiderio inesausto di felicità.
Molte liriche contenute nella raccolta The Mad Fiddler sono state interpretate nell’ottica di una ricerca religiosa. Ancora una volta l’autore sfrutta la tecnica del paradosso affermando e, al contempo, negando l’esistenza di Dio in un continuo esercizio del dubbio. Elsewhere può dunque essere interpretata come la ricerca di un senso, il tentativo di risolvere il contraddittorio mistero della vita, pur sapendo che esso si trova al di fuori della portata dell’umano celato in un orizzonte remoto.
È da subito chiaro che l’Altrove evocato da Pessoa non esiste, è un prodotto della fantasia, un parto dell’immaginazione più sfrenata: una dimensione dell’anima e non del corpo in cui tutti noi vorremmo vivere. La poesia quindi si fa beffe del tempo e dello spazio e dalla mortalità stessa dell’essere umano. Fernando Pessoa, il “poeta fingitore”, ci trascina nell’incanto del suo sogno lucido dove si smarriscono i confini reali delle cose. È un sentire amplificato, un caleidoscopio di percezioni ed esperienze, che annullano il confine tra interiorità ed esteriorità. L’Altrove del poeta è tutto penetrato nella mente, una scheggia di utopia letteraria.
C’è sempre un “oltre” nella poesia di Pessoa, come se l’autore utilizzasse la parola come strumento di ricerca in grado di scavare la superficie delle cose. Pessoa conduce per mano nella realtà come attraverso un quadro, mostrandoci il paesaggio che si nasconde al di là del visibile. La poesia diventa simile a un’opera di Magritte dove tutto si scompone e la linea dell’orizzonte si smarrisce. Navighiamo senza orientarci, consapevoli di aver improvvisamente travalicato il limite della nostra mortalità.
Narrando il sogno dell’Altrove, Fernando Pessoa dà voce alla speranza, che di fatto si fa concreta nel ritratto di un paradiso possibile. Come tutti i luoghi irraggiungibili quel misterioso “elsewhere” ci ispira una nostalgia senza scampo.
La vita sognata appare a un passo dalla vita reale; ma ecco che svanisce come un fantasma, un miraggio e ci lascia l’emozione impalpabile del sogno, la certezza indicibile di aver toccato un’altra dimensione di cui non possiamo provare in alcun modo l’esistenza, che tuttavia esiste. Sentiamo, oscuramente, che la nostra anima tende alla dimensione dell’altrove con quel senso di inquietudine costante proprio dell’umano.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “L’altrove”: il sogno lucido in poesia di Fernando Pessoa
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