Lucrezia Borgia l’avvelenatrice, la femme fatale, la stratega senza scrupoli, abile sobillatrice di uomini, nobili e regnanti. Grande protagonista della storia rinascimentale, sulla sua figura sembra stendersi un eterno enigma: chi era veramente, una vittima o una carnefice?
Innanzitutto, a onor del vero, fu una figlia illegittima e questa condizione di semi-clandestinità l’avrebbe accompagnata per tutta l’esistenza. Fu quello il primo veleno iniettato in una vita che la storia avrebbe lentamente trasformato in una leggenda nera, quella di Lucrezia la Sanguinaria.
Ma chi era davvero Lucrezia Borgia? Ce ne offre uno splendido ritratto Maria Bellonci nel suo romanzo d’esordio dedicato proprio alla ricostruzione storica della figura femminile più controversa e affascinante del Rinascimento italiano.
Lucrezia Borgia: la vita
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Lucrezia emise il suo primo vagito il 18 aprile 1480. Nasceva a Subiaco, una piccola cittadina in provincia di Roma, ed entrava nel mondo in sordina: era la figlia illegittima di papa Alessandro VI (all’epoca ancora cardinale Rodrigo Borgia) e dell’amante di lui Vannozza Cattanei. La nobile discendenza consentì alla bambina il privilegio di una vita agiata, ma su di lei si stendeva anche la macchia indelebile della colpa e, per tutta la vita, Lucrezia Borgia avrebbe scontato l’azione immorale di essere venuta al mondo divenendo pedina nelle mani del padre, prima, e del fratello amatissimo Cesare Borgia, detto “Il Valentino”, poi.
Durante l’infanzia Lucrezia Borgia fu cresciuta e allevata da una cugina del padre, Adriana Mila, vedova di Ludovico Orsini, che più che una tutrice divenne la sua guardiana.
Fu data in sposa per la prima volta a soli tredici anni al nobile Giovanni Sforza, duca di Pesaro. Il matrimonio, abilmente architettato dal padre stratega, durò soltanto quattro anni perché Alessandro VI non era soddisfatto della posizione del genero, poco incline a sottomettersi alla sua volontà. I matrimoni di Lucrezia Borgia erano giochi di potere che il Papa manovrava a suo piacimento a seconda delle sue mire politiche. Alessandro VI, con un abile complotto, dichiarò nulla l’unione tra la figlia e Giovanni Sforza adducendo come pretesto l’impotenza di lui. Il fatto naturalmente non fu gradito al duca, ma non aveva gli strumenti per fronteggiare un rivale così potente.
La “figliola del Papa”, così la definivano alcuni comunicati dell’epoca, tornò quindi sotto l’ala della protezione paterna: fu reclusa in un convento domenicano, poi in una stanza del Vaticano. Mentre Lucrezia cresceva e, forse, intrecciava amori clandestini (il più chiacchierato quello con Pedro Calderon), Alessandro VI e il figlio Cesare soppesavano una ad una le richieste dei pretendenti che la volevano in sposa.
Il miglior pretendente fu identificato in Alfonso d’Aragona, duca di Bisceglie, figlio illegittimo del Re di Napoli. Con il nuovo marito Lucrezia trova subito un’intesa, ma l’idillio non è destinato a durare. Dopo la nascita del primogenito, Rodrigo, il matrimonio iniziò ad apparire indigesto alle mire espansionistiche del fratello di Lucrezia, Cesare Borgia, che trovava d’intralcio una parentela con la Spagna. Si racconta che sia stato proprio il Valentino, con la complicità di un sicario, Michelotto da Corella, a eliminare il cognato. Il delitto fu poi insabbiato sotto il pretesto di legittima difesa: nessuno ne parlò più, ma la sanguinosa morte del marito inseguì Lucrezia come uno spettro.
Lucrezia Borgia e la corte estense
La giovane Borgia, appena ventiduenne, il 2 febbraio 1502 fu quindi data in sposa ad Alfonso d’Este e fece il suo ingresso trionfale alla corte di Ferrara. Le terze nozze furono inaspettatamente un trionfo e alla corte estense Lucrezia brillò come una stella, mettendo a tacere le malelingue sul suo conto. Tutti la rispettavano e la ammiravano, persino i poeti tessevano le sue lodi. Matteo Maria Boiardo la definì “una perla in questo mondo” e il veneziano Pietro Bembo se ne innamorò perdutamente.
L’abilità politica e il fascino di Lucrezia spensero ogni voce di scandalo: nel 1506, alla morte del duca Ercole d’Este, divenne ufficialmente duchessa di Ferrara e seppe amministrare con perizia una corte colta e indipendente che, sotto il suo controllo, rifiorì e venne celebrata in tutta Europa. La corte di Lucrezia era un nucleo a sé stante, “un’isola” da lei stessa amministrata che si contrapponeva a tutto ciò che riguardava il mondo esterno in cui imperversavano quegli abusi di potere che le avevano rovinato la vita.
La morte di Lucrezia Borgia
Negli anni estensi Lucrezia si dedicò in particolare alla cura dello spirito, dedicandosi a opere religiose, atti di devozione e penitenza. Su di lei gravava il peso, sin dalla nascita, di una colpa da espiare e Lucrezia Borgia la portò sulle proprie spalle sino all’ultimo respiro, quando proferì le famose parole:
Sono di Dio per sempre.
Era il 24 giugno 1519, Lucrezia moriva a soli trentanove anni poco dopo aver dato alla luce la sua ultima figlia, Isabella Maria.
Si era liberata da tempo dal giogo paterno: per un curioso caso del destino, nel 1503, Alessandro VI ed il figlio furono avvelenati contemporaneamente; il Papa perse la vita, mentre Cesare Borgia si salvò, sarebbe morto nel 1507 dopo essere stato fatto prigioniero in Spagna. I lutti provarono duramente Lucrezia, senza tuttavia offuscare la sua figura luminosa abilmente ritratta in vari quadri e dipinti che ce la restituiscono nella sua essenza radiosa di “delicata fanciulla bionda” dagli occhi fiordaliso, come la ritrasse il Pinturicchio.
La verità sul suo conto ce la dice, infine, la stessa Maria Bellonci:
Lucrezia non ha mai avvelenato, mai ucciso, mai fatto uccidere: eppure, contro tutti i documenti, contro tutte le testimonianze, contro la logica stessa, la leggenda di una Lucrezia erinni, portatrice di veleni mortali, resiste come una sentenza.
Fu infine la letteratura a redimerla, così come fu la letteratura a condannarla gettando sulla sua figura l’ombra lunga che tuttora la avvolge. I poeti rinascimentali cantarono la sua bellezza e la sua grazia senza pari, mentre gli autori dell’Ottocento la trasformarono in una donna assettata di vendetta alimentandone così la “favola nera”.
Lucrezia Borgia nella rappresentazione letteraria
La fama di Lucrezia Borgia come donna spietata e seduttrice si deve a Victor Hugo che, nel dramma in tre atti a lei dedicato Lucrèce Borgia (1833) ispiratore dell’opera omonima di Donizetti, la ritrasse come una femme fatale avvelenatrice, una donna preda di sentimenti passionali e incontrollabili.
Pochi anni più tardi lo scrittore Alexandre Dumas nella raccolta di racconti Delitti celebri (1865) la dipinse come una libertina impenitente e una novella Messalina. In seguito a queste opere nel XIX secolo si moltiplicarono le leggende che narravano di Lucrezia come di figura vendicatrice e malvagia.
A smentire queste voci oggi permangono le testimonianze dei suoi contemporanei, i poeti che alla corte estense la definivano una “donna di buona indole” e “di gran cervello, astuta”.
Pietro Bembo, che per anni intrattenne con lei una fitta corrispondenza epistolare, conservò una ciocca dei suoi capelli in una teca di vetro; quel ricciolo d’oro tuttora ci dà testimonianza della vera essenza di Lucrezia Borgia, che forse fu “femme fatale” suo malgrado, ed era soltanto, come testimonia Ercole Strozzi in una lettera a Francesco Gonzaga, una donna desiderosa di essere amata.
Amatela, che non vuole da voi altra cosa.
Sarebbe stata la penna di Maria Bellonci, unita a un’accurata indagine storica, a riscattare Lucrezia Borgia da secoli di ingiurie, restituendoci l’immagine pura di una donna disarmata e mansueta, divisa tra tenerezza e religiosità, preda di sentimenti contrastanti - ma smisuratamente umani.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Lucrezia Borgia, la vera storia della “femme fatale” del Rinascimento
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