Camilla Cederna, nata a Milano il 21 gennaio 1911, ha lasciato un segno indelebile nel mondo del quinto potere.
Giornalista e scrittrice indomita, Cederna smascherò le trame politiche del suo tempo e pubblicò inchieste che hanno fatto la storia del giornalismo italiano.
La soprannominarono "Donna coraggio" perché fu una pioniera, capace di aprire al femminile la pista del racconto di cronaca e della testimonianza civile. Camilla Cederna è stata interprete della cosiddetta “rivoluzione rosa” in un’epoca in cui ancora nelle redazioni dei giornali non esistevano le toilette per signore.
La sua vita si divideva tra i salotti borghesi e la rabbia delle pagine di cronaca in una curiosa ambivalenza: era la dama milanese con il filo di perle al collo, raffinata e all’apparenza innocua, e al contempo la giornalista in prima linea che nascondeva dentro di sé la fiamma irriducibile della vocazione letteraria.
Non si sposò mai. Mantenne fino alla fine dei suoi giorni accesa quella naturale propensione per la critica e l’indignazione.
Morì il 5 novembre 1997 nella sua elegante casa milanese, colma di libri e di cuscini con gatti ricamati, all’età di ottantasei anni, per cause naturali.
La sua vita e la sua penna affilata hanno lasciato un’impronta indelebile nel Novecento, tanto che oggi figura insieme ad Oriana Fallaci (che detestava, Ndr) tra le donne italiane che hanno fatto la storia del giornalismo internazionale.
Camilla Cederna: la vita
Nacque a Milano il 21 gennaio 1911, figlia di Giulio Cederna - celebre industriale e socio fondatore del Milan - e di Ersilia Gabba. Camilla apparteneva alla stirpe dei Cederna, imprenditori valtellinesi dell’industria del cotone che a Milano avevano trovato fortuna.
Sua madre, Ersilia, era stata una delle prime donne italiane a conseguire una laurea in Germanistica. Camilla ereditò da lei la propensione per lo studio delle Lettere e si laureò in letteratura latina con una tesi dal titolo sferzante: Prediche contro il lusso delle donne dai filosofi greci ai Padri della Chiesa.
Meno di un anno dopo cominciò a scrivere sul quotidiano milanese L’Ambrosiano. Dedicò il suo primo articolo alla Pasticceria Motta in Piazza Duomo, di cui descriveva particolari e atmosfere con il talento di una scrittrice navigata. Poi, sempre sulle pagine del giornale milanese, scaglia una bomba che le costerà cara: scrive l’articolo Moda nera, in cui deride lo stile dei fascisti. Quel pezzo le varrà una minaccia d’arresto e di reclusione, ma in compenso rivelerà al mondo di che pasta era fatta Camilla Cederna.
La carriera nel giornalismo
Camilla cominciò la sua carriera nel mondo del giornalismo occupandosi, come all’epoca si confaceva a una donna, di moda e costume. Dal 1945 al 1955 fu redattrice presso il noto settimanale italiano di attualità L’Europeo. Nel 1956 venne assunta come inviata speciale dall’Espresso, per il quale gestisce la rubrica di costume "Il lato debole" fino al 1976. Cederna intravedeva nella moda la possibilità di parlare dell’“evoluzione sociale, economica, ideologica e culturale del paese”. Molti articoli e interventi scritti in quegli sulla rubrica furono raccolti in tre volumi dal titolo omonimo Il lato debole (Milano, 1977),
Ma la svolta nella vita di Camilla Cederna venne il 12 dicembre 1969, quando alle 16.37 scoppiò la bomba di piazza Fontana. In quel momento Cederna fece una scelta che avrebbe modificato tutto il corso della sua vita. Da quel 12 dicembre la sua rubrica Il lato debole assunse una nuova piega, facendosi portavoce della cronaca feroce di quei giorni.
Scrive Cederna il 21 dicembre 1969:
Sangue che cola sul marciapiede. I volti angosciati dei feriti. I parenti chiamati a riconoscere le salme. E qualcuno dice che sembra la guerra.
È chiaro che non si tratta più di una rubrica di moda e di costume, ma a quel primo articolo ne seguiranno molti altri. E Camilla Cederna non si fermerà più: dalla moda passa ad analizzare l’attualità politica italiana, con lo stesso sguardo acuto e spesso impietoso.
Camilla Cederna e l’inchiesta Pinelli
A fine 1969 Camilla Cederna pubblicò su L’Espresso un’inchiesta sulla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, fermato per accertamenti nell’ambito delle indagini e morto precipitando da una porta-finestra.
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Sempre su quella vicenda scrisse anche un libro dal titolo Pinelli. Una finestra sulla strage (ora edito da Il saggiatore, Ndr).
Iniziava a diventare una voce scomoda, fastidiosa, autrice di inchieste pericolose che mostravano il lato oscuro di personaggi allora santificati.
Nel 1971 Camilla Cederna fu la principale ispiratrice della lettera aperta pubblicata sul settimanale L’Espresso contro il commissario Calabresi e i magistrati che, secondo la giornalista, lo avevano tutelato durante l’inchiesta sul caso Pinelli. Quando Calabresi fu freddato di fronte alla sua abitazione, Cederna stessa si ritrovò al centro di un’indagine. La accusavano di essere stata la mandante morale dell’omicidio.
Per lei iniziò il primo di molti processi da cui in seguito fu assolta. Anni dopo i fatti Cederna chiese un risarcimento danni per 100 milioni di lire, che non le fu mai riconosciuto.
Camilla Cederna e le accuse al presidente della Repubblica
La verve polemica di Camilla tuttavia non si era affatto spenta.
Negli anni successivi continuò a essere protagonista di violente polemiche. La campagna critica condotta sulle colonne dell’Espresso nel 1975 contro l’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone costò a lei una condanna per diffamazione, e al giornale il pagamento di una multa onerosa.
Ma lei non si fermò. Il suo libro del 1978 Giovanni Leone: la carriera di un presidente vendette oltre ottocentomila copie e costrinse il presidente della Repubblica alle dimissioni.
Cederna proseguì irriducibile, malgrado la società intellettuale del tempo iniziasse ad allontanarla perché troppo polemica e fastidiosa.
Fecero discutere anche le sue accuse a Enzo Tortora su La Domenica del Corriere.
Camilla Cederna riteneva il presentatore colpevole e non si tirò indietro, lo accusò con parole al veleno in cui critica anche la sua professionalità: "E non mi piaceva il suo Portobello: mi innervosiva il pappagallo che non parlava mai e lui che parlava troppo, senza mai dare tempo agli altri di esprimere le loro opinioni."
Parole, parole, parole, che Camilla Cederna batteva instancabile sulla sua Olivetti Ico nera. La accusavano di essere un’anarchica, la insultavano apertamente con insulti anche volgari. Ma lei non si arrese, d’altronde un soprannome impegnativo come “Donna coraggio” bisogna meritarselo.
Scrisse fino alla fine, battendo sui tasti nello studio della sua casa milanese che affacciava su un giardino di alberi secolari.
Nessuno, comunque, osava attaccare il suo talento di giornalista. E lei non rimpianse una parola di quel che aveva scritto.
Negli ultimi anni della sua vita dichiarò:
"Ho capito da sola in questi anni com’è scomodo essere in una minoranza specialmente quando si ha ragione, quando si è d’estrazione borghese e, soprattutto, si è donne. L’importante è combattere una battaglia giusta e non avere la stima dei soliti benpensanti".
Camilla Cederna si era autoassolta da sé da tutte le accuse. Sapeva di essere dalla parte dei giusti che dovevano solo rimproverarsi l’audacia di aver creduto in un mondo migliore, purificato dai giochi del potere. L’importante era scrivere sempre la verità "anche se si corre il pericolo di condanne".
Del resto lei non si faceva un cruccio, sapeva che “il mestiere di scrivere sui giornali espone più di ogni altro alle critiche”.
Nel 2011 Rizzoli ha pubblicato una raccolta degli scritti della grande giornalista in un libro dal titolo Il mio Novecento che raccoglie i suoi articoli maggiori, a partire da quel Moda nera scritto nel 1943 che incendiò le polemiche dell’epoca fascista. Lo sguardo fulmineo e attento di Camilla Cederna è ancora lì, vive tra quelle pagine, e nell’intelligenza trasparente, senza tempo, della sua scrittura.
Il mio Novecento
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Camilla Cederna, la Donna Coraggio del Novecento
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