Tra i neologismi che si stanno affermando con sempre maggior frequenza nel vocabolario di uso comune ve n’è uno che sicuramente non vi avrà lasciato indifferenti, il cosiddetto ghosting, spesso citato nell’accezione di “fare ghosting” oppure “subire ghosting”.
Non è necessario essere dei madrelingua anglofoni per cogliere la derivazione dalla parola inglese “ghost”, fantasma.
Cosa vi è di così inquietante e fantasmatico in questo fenomeno? Per quale motivo il “ghosting” è diventato un termine di uso quotidiano, citato nelle situazioni più comuni, persino durante un insospettabile aperitivo tra amici?
La parola ghosting infatti non è più appannaggio esclusivo delle nuove generazioni, ma viene citata anche in libri o articoli di giornale, imperversa sui social network, spesso accompagnata dai relativi hashtag. Insomma è diventata parte integrante, pane quotidiano, della vita nel tecnologico e digitalizzato ventunesimo secolo. Vi sorprenderà sapere che è un fenomeno più diffuso di quanto si pensi: è sufficiente essere muniti di un computer o di un telefono cellulare per incorrere nella spiacevole situazione del “fare o subire ghosting”.
Vi state ancora domandando cosa significhi dunque la fantomatica espressione “ghosting”? Scopriamo insieme l’origine e il significato di questo termine.
Ghosting: origine e significato della parola
La prima attestazione della parola “ghosting” nei testi di lingua italiana viene fatta risalire al 2014, secondo quanto riportato dal sito ufficiale dell’Accademia della Crusca. Il termine all’epoca era ancora circoscritto al linguaggio ristretto e settoriale degli esperti di tecnologie e comunicazione. Iniziò a diffondersi nel parlato nel 2015 diventando in seguito di uso sempre più frequente. Ricordiamo che la presenza della parola nella scheda dedicata alle Parole Nuove dell’Accademia della Crusca
Non promuove né ufficializza l’uso della parola trattata, ma intende fornire strumenti di comprensione e approfondimento.
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La parola “ghosting” fu scritta a grandi titoli in quel periodo dal New York Times per descrivere la fine della relazione tra due star di Hollywood, Sean Penn e Charlize Theron, e in seguito iniziò a rimbalzare su tutte le principali testate anche in lingua italiana.
Il termine rappresenta infatti un prestito integrale dall’inglese: deriva dal verbo “to ghost”, letteralmente traducibile come fare il fantasma, muoversi di soppiatto, e l’aggiunta del suffisso -“ ing” proprio del gerundio.
“Fare ghosting” significa interrompere bruscamente una relazione smettendo di rispondere a messaggi, mail o chiamate.
Il fenomeno si sta diffondendo sempre di più nella nostra era super tecnologica in cui spesso gli apparecchi elettronici rappresentano l’unico punto di contatto con l’altro. Siamo smart e iperconnessi ma questo comporta anche un lato negativo: molte delle nostre conoscenze sono ridotte al mondo dello schermo, al circuito virtuale dei social, alla casella della posta elettronica o alla chat di whatsapp. Se il nostro interlocutore improvvisamente cessa di rispondere a messaggi e chiamate non c’è altro modo per raggiungerlo. Ed è così che, tristemente, si stanno interrompendo molte relazioni - persino sentimentali - negli ultimi anni: uno dei due cessa di rispondere all’altro, si defila diventando letteralmente “un fantasma”.
Le nuove tecnologie ci consentono, del resto, di praticare anche questo sortilegio: diventare invisibili. Possiamo privare l’altro della nostra presenza eliminandolo dai nostri contatti, interrompendo la comunicazione virtuale. Possiamo cancellare una persona dalla nostra vita proprio come faremmo con un numero salvato sulla rubrica del telefono, basta un click e “puff”, ecco svanito. Una pratica liberatoria, oppure un gesto disumano?
Il ghosting: un fenomeno dell’era digitale
Nel nostro universo iperconnesso sta diventando il modo preferito di dirsi addio. Non è più necessario scrivere lettere strazianti piene di giustificazioni, oppure allontanare l’innamorato respinto dal portone di casa; adesso semplicemente ci si può dileguare, far perdere le proprie tracce, diventare una particella invisibile nel mondo complesso della rete. Un modo forse vigliacco di chiudere una relazione, ma senza dubbio più facile. Non dimentichiamo che oltretutto i profili social oggi ci permettono anche di eliminare gli “amici” indesiderati o semplicemente bloccarli con un facile click. Nell’universo post-moderno dell’uomo 2.0 persino i rapporti personali diventano astratti, digitali, composti di spunte blu - il famoso visualizzato di whatsapp - oppure di una spunta sola e addio per l’eternità.
Il ghosting può apparire come un fenomeno diabolico e di certo su questa parola verranno versati fiumi di inchiostro nei prossimi anni; in ogni caso c’è, è presente e si verifica quotidianamente. Lo possiamo testimoniare dalla prova provata dei discorsi con amici e amiche afflitti dalla scomparsa della loro ultima fiamma o di una persona che da qualche tempo stavano “sentendo via messaggio”.
Nel ventunesimo secolo le persone possono sparire nel nulla, e anche l’amore - non più liquido, come direbbe Zygmunt Bauman - si fa volatile, impalpabile, si svuota del suo bisogno - in teoria fondamentale - di presenza e vive soprattutto nella testa.
Lo affidiamo a parole che potrebbero non giungere mai a destinazione, oppure essere rimosse, cancellate con un tocco leggero sullo schermo touch dello smartphone; agli squilli pungenti di un telefono cellulare che suona a vuoto; a un numero che improvvisamente risulta “non più raggiungibile”; al nitido candore di una casella mail che non presenta più alcun messaggio nella posta in arrivo.
Quali sono le conseguenze del ghosting? Le possiamo ravvisare nel linguaggio, in cui ormai la frase “ti ha ghostato” è un ritornello da ripetere tra un sorso di spritz campari e due morsi alle patatine. Sta diventando una parola usata e forse addirittura abusata, perché ormai tutto è diventato “ghosting”, questo fenomeno sembra essere il dramma del ventunesimo secolo. La maggior parte delle relazioni, amorose ma anche di amicizia o semplice conoscenza, si concludono in questo avvilente silenzio. Restano poi gli amici di lunga data da consolare mentre borbottano le loro paranoie e mostrano, con gli occhi lucidi, gli schermi apatici degli smartphone.
La parte più avvilente del ghosting è che non c’è una soluzione, solo un silenzio, un vuoto di comunicazione con cui bisogna imparare a convivere. La diretta conseguenza del fenomeno è che produce in chi lo subisce confusione, tristezza, e addirittura può condurre una persona a mettere in discussione se stessa con gravi danni per l’autostima. Dall’altro lato, invece, può essere decisamente una scelta facile, comoda, liberatoria: chiudere la comunicazione, smettere di rispondere a qualcuno che ci è diventato indigesto, che ci sta - forse suo malgrado - importunando, che d’un tratto non abbiamo più voglia di sentire e sarebbe troppo complicato spiegarne il motivo senza finire risucchiati in un’altra conversazione senza fine.
Il ghosting permette di non dover dare troppe spiegazioni: è una scomparsa che vale più di mille parole e forse proprio per questo motivo è così efficace.
Un recente sondaggio ha rilevato che chi fa ghosting lo fa per “evitare di ferire la persona che sta rifiutando”: che definita così sembra quasi una pratica gentile, consolatoria, però va detto che ci sono silenzi che pesano come macigni nella mente di una persona. Si tratta in ogni caso di un fenomeno complesso, i cui confini sono molto incerti: a mente lucida siamo subito pronti a condannarlo, mentre in certe occasioni potremmo essere i primi a praticarlo senza neppure rendercene conto, semplicemente perché “cosa dico”, “non mi va più di rispondere” oppure la motivazione più plateale: “eddài, tanto se non rispondo più capirà”. Siamo i primi a giustificarci quando non siamo noi a subire in modo diretto il “ghosting”, eppure lo pratichiamo più o meno consapevolmente.
Nel mondo della comunicazione digitale, pensateci bene, è impossibile non essersi trovati invischiati nel fenomeno del ghosting almeno una volta: veniamo letteralmente bombardati, ogni giorno, da una pioggia di messaggini, mail, richieste di amicizia sui social, commenti, notifiche e spesso “sparire”, fare i fantasmi, ci appare come l’unica soluzione accettabile e, di certo, la meno faticosa. Nella rete le relazioni diventano più labili, si reggono unicamente su fili di parole perdendo il contatto umano e vibrante dello sguardo, e interrompere del tutto la comunicazione con una persona è più facile di quanto si pensi.
Ghosting: l’uso nella lingua italiana
In lingua italiana sono stati proposti dei calchi verbali dall’inglese: quali fantasmare o fantasmizzarsi, ma il parlato sembra prediligere la forma inglese “ghosting” senza dubbio più efficace, sintetica e immediata. “Fantasmare” è troppo aulico, poetico, ha quasi una sfumatura letteraria: dire “ghosting” invece rimanda subito all’accezione creepy, inquietante del termine, traduce meglio la sensazione di vuoto e scomparsa. Non c’è nulla che si dilegua lentamente, nessuna nebbia che piano si dirada, alcuna apparizione fantasmagorica all’orizzonte, resta solo un silenzio abbacinante dove prima c’erano parole - e il senso di rottura che ne deriva spesso è percepito solo da una parte.
Nella nostra lingua si sta diffondendo anche nella variante di ghostare, un ibrido tra italiano e inglese che vede il verbo anglofono declinato alla prima coniugazione della nostra grammatica. E chi pratica il ghosting viene ora definito “ghoster”.
La parola dunque è entrata a pieno diritto nel vocabolario d’uso corrente, le sue conseguenze - sociali e psicologiche - non sono tuttavia ancora prevedibili.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Cos’è il “ghosting”: significato e origine del termine in uso
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