Una grafia fitta, minuta, ordinata spicca su una pagina ingiallita dal tempo. I secoli non l’hanno sbiadita e sembra restituirci, con perfetta aderenza, l’impronta della mano che tracciò quelle lettere una dopo l’altra. Se solo fosse in grado di restituircene anche i pensieri. La scrittura di Giacomo Leopardi torna quindi a parlarci da remote lontananze, rivelandosi improvvisamente vicina e ancora contemporanea grazie a questa straordinaria scoperta che ci riconduce nell’universo “matto e disperatissimo” del giovane Conte di Recanati.
Il manoscritto è stato intercettato dagli studiosi Marcello Andria e Paola Zito, curatori del Fondo Leopardiano della Biblioteca Nazionale di Napoli e ci restituisce un nuovo, prezioso tassello dell’opera del poeta di Recanati.
L’autografo, con ogni probabilità datato 1814, fu scritto da un Giacomo Leopardi appena sedicenne.
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Lo studio di Andria e Zito Leopardi e Giuliano imperatore. Un appunto inedito dalle carte napoletane (Le Monnier Università, 2022) sarà presentato oggi 3 maggio alle ore 16 presso la Sala Rari della Biblioteca Nazionale di Napoli con interventi di Maria Iannotti, Giulio Sodano, Francesco Piro, Lucia Annicelli e Rosa Giulio.
Oltre che investigare le finalità dell’operazione, i contributi del volume si prefiggono lo scopo di focalizzare il senso del binomio Giacomo-l’Apostata declinandolo in una prospettiva interdisciplinare.
Scopriamo in cosa consiste il manoscritto ritrovato di Giacomo Leopardi e quale contributo potrà fornire agli studi sull’opera del poeta.
Cosa aggiunge questo ritrovamento inatteso alla sconfinata grandezza dell’infinito Leopardi?
Il manoscritto ritrovato di Giacomo Leopardi
Si tratta di semplice un “quadernetto” formato da quattro fogli, ripiegati nel mezzo in modo da ottenere otto facciate, recanti una lunga e fitta lista alfabetica di autori antichi e tardo antichi, ciascuno dei quali seguito da una serie di riferimenti numerici (oltre 550 nel complesso, Ndr).
Il manoscritto ci restituisce un momento dello “studio matto e disperatissimo” del poeta dell’Infinito, che soltanto un anno prima aveva iniziato a studiare il greco da autodidatta nella biblioteca paterna.
Leopardi e lo studio di Giuliano Imperatore
Nel testo ritrovato Leopardi studia la figura di Flavio Claudio Giuliano, l’ultimo sovrano latino dichiaratamente pagano, meglio noto con l’appellativo affibbiatogli dall’inappellabile condanna della storia: Giuliano l’Apostata. L’accurata compilazione del quadernetto rivela il metodo di studio attento e curioso del Leopardi sedicenne che procede attraverso l’analisi dell’Opera omnia di Giuliano imperatore, ricorrendo all’autorevole edizione di Ezechiel Spanheim, apparsa a Lipsia nel 1696.
Queste pagine provenienti da un tempo remoto ci restituiscono dunque l’immagine del poeta chino sulle “sue sudate carte”, rivelandoci quella che sarà una caratteristica fondamentale del metodo Leopardiano. Nello scritto Leopardi attua un percorso innovativo di rivalutazione della figura dell’Apostata, condannata dagli studiosi illuministi dell’epoca.
Lo studio segna una tappa fondamentale nell’evoluzione del pensiero leopardiano. Richiami all’opera di Giuliano l’Imperatore ricorreranno in seguito in altre opere: in particolare nella quindicesima delle Operette morali, Detti memorabili di Filippo Ottonieri, composta a Recanati tra il 29 agosto e il 26 settembre 1824 e aggiunta all’edizione ventisettana delle Operette.
Dallo studio di Giuliano l’Apostata alle Operette morali
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Nei Detti memorabili di Filippo Ottonieri Giacomo Leopardi narra in stile biografico la vita immaginaria di Filippo Ottonieri, filosofo che in vita non ha mai offeso o recato danno a nessuno, ma è tenuto in scarsa considerazione dai contemporanei. Possiamo intuire nell’Ottonieri una delle tante maschere dietro le quali si nasconde il poeta. Tramite la voce del suo personaggio d’invenzione, Leopardi infatti rivela alcuni elementi cardine del suo pensiero: sopra tutti la visione della vita come ricerca costante, ma vana, della felicità; la casualità della sorte, l’egoismo radicale degli uomini che perseguono solamente il proprio interesse.
I “Detti” - chiaro rimando alla pratica dei memorabilia, le frasi da memorizzare come insegnamento di vita - sono suddivisi in sette capitoli connotati da una struttura frammentaria e aforistica, nei quali Leopardi riprende alcuni pensieri precedentemente illustrati nello Zibaldone.
Sappiamo che il personaggio di Filippo Ottonieri riflette, in parte, il pensiero di Giuliano l’Apostata. E ora le “sudate carte” che il tempo e l’encomiabile perizia degli studiosi ci hanno restituito ci permettono di fare nuova luce su quell’officina in continuo fermento che fu la mente straordinaria di Giacomo Leopardi.
Gli spunti, i richiami invisibili e le note che strutturarono, scritto dopo scritto, la sua mirabile opera attraverso un processo costante e metodico di studio “matto e disperatissimo”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Un manoscritto inedito di Leopardi sedicenne ritrovato a Napoli
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