Eugenio Montale scrisse una delle sue poesie più celebri, I limoni, nel 1921, quando aveva appena venticinque anni.
La lirica fu inserita nella prima raccolta dell’autore Ossi di seppia: faceva seguito alla poesia In limine, posta come introduzione, e decretava una vera e propria dichiarazione di poetica.
I limoni dunque appartiene alla prima stagione montaliana, eppure presenta uno stile sorprendentemente nitido e maturo. Nonostante appartenga agli esordi del poeta, la lirica è divenuta l’emblema della poesia di Montale perché in essa l’autore afferma la propria volontà di raccontare una realtà comune che si discosta da quella nobile narrata da poeti affermati come Carducci e D’Annunzio.
L’immagine dei limoni assume quindi un connotato risolutivo e simbolico: tramite quei frutti aspri e gialli Montale intende identificare la realtà nuda e aspra, ma anche viva e colorata, di cui vuole rendere testimonianza.
È indispensabile leggere questi versi per comprendere le tematiche chiave trattate dal poeta premio Nobel per la Letteratura nel 1975.
Scopriamo testo e analisi della poesia.
I limoni di Eugenio Montale: testo
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il sussurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
I limoni di Eugenio Montale: analisi
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La lirica si apre con un’autentica dichiarazione di poetica. Montale si rivolge subito al lettore con un tono imperativo e confidenziale e dice “Ascoltami”. Quindi stabilisce in modo programmatico la netta differenza tra la sua poesia e quella dei poeti “laureati” (coloro che sono stati investiti dall’alloro simbolo della gloria poetica, Ndr) che sono soliti adottare un linguaggio aulico e sublime chiamando in causa piante dai nomi poco noti.
Da parte sua Montale afferma di voler fare una poesia minore, più prosaica che trova diretto riscontro nella realtà aspra e selvaggia del paesaggio ligure fatto di presenze vive e concrete come gli alberi dei limoni.
Dopo aver indicato il percorso della sua poesia, che non si basa sulla parola indeterminata ma sulla “poetica dell’oggetto”, Montale fa quindi riferimento proprio nell’ultimo verso della prima strofa ai “limoni”, correlativo oggettivo delle sensazioni del poeta.
I frutti gialli e aspri vengono presentati come l’emblema stesso della poesia, il sussurro dei rami dei limoni sembra anticipare la rivelazione che essi promettono.
Nel mezzo dell’amato paesaggio ligure, circondato dai rami che sente “amici”, Eugenio Montale sembra vivere un’autentica epifania. In una vera e propria sinestesia l’odore dei limoni sembra calmare il conflitto delle passioni dell’animo umano e, come per miracolo, mettere a tacere persino la guerra concedendo un’esperienza ai confini della realtà quotidiana.
È proprio qui infatti che le cose finalmente sembrano rivelarsi per quello che sono e svelare l’intimo segreto che racchiudono: solo allora sembra possibile scoprire finalmente “il punto morto del mondo”. Montale fa riferimento all’“anello che non tiene” rifacendosi alla metafora della catena che con le sue ferree leggi sembra governare il mondo. La volontà del poeta è quella di spezzare la concezione puramente scientifica e positivista opponendovi un significato ulteriore, che va oltre la pura apparenza delle cose. In certi rari momenti il poeta sembra cogliere una presenza spirituale nella natura aspra e selvaggia: una presenza che la modernità con la sua smania di controllo sta ricacciando.
Proprio nell’“anello che non tiene” secondo il poeta è racchiusa la chiave che, se scoperta, darebbe senso e scopo all’intera esistenza.
Ma l’illusione infine si rivela ingannevole. La rivelazione tanto attesa non giunge al poeta. Con la preposizione avversativa che dà inizio all’ultima strofa “Ma l’illusione manca”, Montale fa riferimento allo svanire di ogni speranza.
L’autore ligure non narra nessuna delle epifanie decantate dai poeti laureati, si ferma appena un passo indietro, dimostra che la rivelazione metafisica è impossibile.
La lirica non si chiude tuttavia con un presagio nefasto, ma con un insolito spiraglio di luce.
Nei limoni, da lui definiti le “trombe d’oro della solarità”, Montale mantiene vivo un messaggio di speranza. È in quei frutti poveri e umili che è racchiusa la poesia, e dunque la possibilità di evadere da una realtà soffocante. Tra le maglie della rete cittadina è possibile vedere il giallo del colore dei limoni che getta una nuova luce tutto attorno e scioglie il gelo dell’anima.
L’identità stessa del poeta sembra liquefarsi dinnanzi alla presenza dei limoni, che sembrano annunciare una visione epifanica quasi divina.
È proprio quello il varco, la via di fuga indicata da Montale, per evadere dalla realtà soffocante e trovare finalmente il “senso” che spiega ogni cosa.
I limoni di Eugenio Montale: figure retoriche
- Apostrofe: v.1 “ascoltami”; v. 22 “vedi”;
- Metafore v.1 “i poeti laureati”; v. 17 “piove in petto una dolcezza inquieta”; vv. 47-49 “e in petto ci scrosciano / le loro canzoni / le trombe d’oro della solarità.”;
- Ossimoro v. 17 “dolcezza inquieta”;
- Allitterazioni vv. 6-9 di “s”, “z”, “g” “le strade che riescono agli erbosi / fossi dove in pozzanghere / mezzo seccate agguantano i ragazzi / qualche sparuta anguilla” vv. 11-13 di “z”; “r”; “s” “Meglio se le gazzarre degli uccelli / si spengono inghiottite dall’azzurro: / più chiaro si ascolta il sussurro”;
- Climax vv. 4-10 “amo le strade, […], tra gli alberi dei limoni” (discendente); vv. 38-42 “nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra / soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase. / La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta / il tedio dell’inverno sulle case, / la luce si fa avara – amara l’anima.” (ascendente);
- Chiasmi v. 42 “la luce si fa avara – amara l’anima.”;
- Paronomasia v. 42 “avara – amara”;
- Asindeti vv. 27-28 “il punto morto del mondo, l’anello che non tiene, / il filo da disbrogliare”; v. 31 “la mente indaga accorda disunisce”;
- Antonomasia: v. 36 “Divinità”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “I limoni” di Eugenio Montale: testo e analisi della poesia
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