Nel giorno del 125° anniversario della nascita di Eugenio Montale, rileggiamo insieme la poesia Spesso il male di vivere ho incontrato, pubblicata per la prima volta nel 1925 nell’omonima sezione della raccolta Ossi di Seppia.
In quello che è sicuramente uno tra i suoi più celebri componimenti, Montale esprime apertamente sia la sua concezione della vita sia quella della poesia; per il poeta la vita è un accumularsi di dolori e la poesia non può far altro che raccontare questa sofferenza, senza avere la possibilità di porvi rimedio in alcun modo. La soluzione esistenziale definitiva non c’è e, in questi versi, ciò viene espresso anche grazie al linguaggio, essenziale e scarno.
Testo di Spesso il male di vivere ho incontrato di Eugenio Montale
Spesso il male di vivere ho incontrato
era il rivo strozzato che gorgoglia
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
Spesso il male di vivere ho incontrato: la parafrasi
Spesso ho visto la sofferenza che vivere procura. Era il faticoso fluire di un ruscello secco che, come lamentandosi, gorgoglia, era l’accartocciarsi di una foglia bruciata dal sole, era il cavallo spezzato dalla fatica.
Non ho potuto trovare conosciuto altro bene, altra salvezza, se non nell’eccezionale condizione di distacco superiore: era la statua del meriggio, e la nuvola, e il falco che vola lontano e in alto.
Analisi metrica e retorica
La poesia è composta da due quartine di endecasillabi, escluso il verso finale composto da due settenari (il primo dei quali sdrucciolo). La rima della prima strofa è incrociata (ABBA), la seconda stravolge lo schema prestabilito (CDDC) riportando all’ultimo verso la rima A. Il sistema complessivo è dunque: ABBA, CDDA.
La rottura data dalla rima finale spezza, insieme ad altri piccoli accorgimenti, la struttura simmetrica delle due quartine. Mentre identici sono la struttura complessiva (enunciazione a cui seguono tre esempi) e l’enjambement presente in entrambe le strofe tra terzo e quarto verso ("foglia / riarsa" e "sonnolenza / del meriggio"), diverso è, oltre allo schema delle rime, la distribuzione nei versi (l’enunciazione iniziale occupa nella seconda strofa due versi anziché uno) e la successione dei tre elementi presi ad esempio (nella seconda strofa scompare l’anafora di "era" e gli elementi costituiscono una climax ascendente).
Sintetizzando:
- Aspetti simmetrici: struttura complessiva del discorso ed enjambement
- Aspetti che rompono la simmetria: rima e distribuzione degli aspetti del discorso.
Dando uno sguardo più attento alle figure retoriche, si possono individuare:
- Anafora: "era" (vv. 2, 3 e 4)
- Climax ascendente: "statua", "nuvola" e "falco" sono disposti in modo che il distacco dalla terra sia sempre maggiore (la statua vi si poggia, le nuvole sono inconsistenti e statiche, il falco può volare libero)
- Anastrofe: "bene non seppi" (v. 5)
- Metafora: "divina Indifferenza"
- Allitterazioni e richiami sonori: la prima strofa, incentrata sulla sofferenza, è percorsa da lettere e nessi aspri (es. s, r, rg, tr, str, rt, rs...); la seconda, invece, è caratterizzata da una maggiore apertura e insiste sempre più sulle vocali (specie nella chiusa: "falco alto levato")
Commento
Questa poesia esprime perfettamente il correlativo oggettivo montaliano, cioè quel rapporto che la parola intesse con gli oggetti che nomina.
Stabilito ciò, è facile capire come la sofferenza di vivere sia rappresentata in maniera emblematica dal ruscello che fluisce faticosamente, dalle foglie che si accartocciano perché riarse dal sole, dal cavallo che, esausto, stramazza.
Tutte queste vivide immagini vengono riproposte come aspetti della realtà e di un quotidiano segnato dalla sofferenza degli uomini. Il senso di fatica e quello di dolore sono espressi magistralmente da Montale con l’accurata scelta dei vocaboli, crudi e duri nell’espressione del disagio (es. stramazzato, strozzato). Il fatto che siano parole in cui le lettere s e r si ripetono costantemente non fa altro che accentuare ancor di più l’asprezza.
Una volta snocciolati i modi in cui il male si manifesta in tutto ciò che ci circonda in maniera costante, Eugenio Montale propone un’unica soluzione: la “divina Indifferenza”. La i maiuscola non è, come facilmente intuibile, posta a caso. Lo scopo è quello di deificare il distacco e la freddezza, rappresentati in questa poesia da tre elementi: la statua (perché insensibile), la nuvola (perché impalpabile e lontana) e il falco (perché libero nel cielo).
L’atmosfera, caratterizzata da immobilità ed estraneità, è percepibile anche attraverso il meriggio, momento sospeso tra torpore e stupore e caro a Montale e presente in altre due opere, come ad esempio Meriggiare pallido e assorto.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Spesso il male di vivere ho incontrato” di Montale: parafrasi e analisi del testo
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l male di vivere è esperienza comune di tutto ciò che è animato e si manifesta nell’impossibilità a soddisfare il proprio scopo vitale.
Il bene si ha nell’indifferenza, nel distacco, nel mantenersi “sopra” le cose, ma questa è esperienza rara eccezionale, non propria dell’uomo o dell’essere animato, ma piuttosto della divinità o di chi non ha mai vissuto (statua).
Il tema della lirica è la contrapposizione tra il male di vivere, condizione esistenziale di tutti gli esseri e perfino degli oggetti e il distacco, l’indifferenza che appaiono al poeta l’unico bene possibile, ma nello stesso tempo ne mette in luce la fondamentale disumanità.
Solo per ringraziarvi per le vostro bellissime proposte, per le precise analisi e gli eccellenti commenti.