Andrea Appetito nato a Roma nel 1971, insegna filosofia e storia in un liceo della provincia di Roma. Ha pubblicato “Cluster Bomb” (Altrastampa edizioni, 2002) e partecipato a un’antologia di racconti sulla città di Roma intitolata “Allupa allupa” (DeriveApprodi, 2006). Ha scritto L’eredità, un testo teatrale tradotto in portoghese e messo in scena a Rio de Janeiro (2006). Ha realizzato, con Christian Carmosino, alcuni cortometraggi e il film-documentario L’ora d’amore, in concorso al III Festival Internazionale del Film di Roma (2008). Con Gianluca Solla ha scritto Senza nome, un breve saggio tradotto in spagnolo e pubblicato nel libro collettivo El impasse de lo político (Bellaterra, 2011). È autore, con Cosimo Calamini e Christian Carmosino, della sceneggiatura Emma e Maria finalista del Premio Solinas (2014). È presente nell’antologia “Sorridi: siamo a Roma” (Ponte Sisto, 2016). Esce oggi 19 gennaio “Tomàs” (Effige Edizioni 2017, collana Stellefilanti, pp. 170, euro 15,00), romanzo d’esordio dell’autore romano, protagonista una nave che un lunedì mattina qualsiasi appare all’orizzonte di una città senza nome il cui porto era stato chiuso da anni. Una nave che assomiglia a un miraggio, capace di cambiare il destino dei personaggi in un avvincente volume scritto con sentita partecipazione.
“Era un cargo? Una portaerei? Un peschereccio? Cosa poteva essere? La nave se ne stava immobile di fronte alla nostra Città. Ci prese un’eccitazione incredibile”.
Abbiamo intervistato l’autore.
- “Lunedì mattina Tomàs mi citofonò. Non lo aspettavo”. Andrea, chi è Tomàs?
Tomàs è un ragazzo che scompare all’improvviso dopo l’apparizione misteriosa di una nave. La nave, come ha sottolineato lei nella presentazione del romanzo, è un simbolo fondamentale che è all’origine della storia, ma il centro attorno a cui tutto ruota è proprio Tomàs, il ragazzo scomparso. Sette personaggi lo raccontano con prospettive diverse, ambigue, contrastanti. In ognuno di loro Tomàs ha lasciato una traccia profonda. Anzi possiamo dire che ognuno di loro, in un certo senso, è innamorato di Tomàs. Lui incarna tutto quello che loro avrebbero voluto avere o essere. Eppure questa solarità ha un’ombra che si staglia su tutta quanta la storia… chi è veramente Tomàs? La sua identità, la risposta alla sua domanda iniziale, va ricercata dentro la trama. Va rintracciata attraverso gli indizi, i particolari, le contraddizioni. È un lavoro di ricerca, di investigazione che le lettrici e i lettori possono fare. Anzi io vorrei proprio invitarli a fare questo “gioco”. Una verità di fondo c’è e può essere ricostruita, ma quante versioni possono coesistere della stessa storia?
- Per quale motivo ha deciso di non dare un nome alla Città descritta nel testo?
Volevo che fosse una dimensione realistica, ma al tempo stesso profonda. Una dimensione storica, ma anche psicologica. I personaggi possono essere letti anche come sub-personalità di una psiche individuale o collettiva, protagonisti di una crisi individuale e sociale al tempo stesso. La Città inoltre ha il nome che ognuno di noi può dargli. Roma, Atene, Berlino, Parigi, Barcelona, Bogotà… oppure Io… o Noi. Certamente lo sfondo della narrazione, cioè la Città, è lo sfondo della grande crisi che attraversiamo e non mi riferisco solo alla crisi economica…
Come per molti altri aspetti della storia, ho cercato di non saturare la narrazione, di lasciare cioè spazio ai lettori, perché leggendo possano proiettare sulla storia il loro immaginario, i loro desideri, le loro inquietudini e riconoscerli.
- Che cosa rappresenta la nave misteriosa?
La nave rappresenta proprio il grande contenitore o il grande schermo su cui possiamo proiettare i nostri desideri, ma anche le nostre paure. Cinque anni fa ho cominciato a scrivere questa storia proprio partendo dalla lettura di un’opera di Luciano di Samosata, uno scrittore greco del II secolo dopo Cristo: in una città sul mare appare all’improvviso una nave e gli abitanti della città cominciano a domandarsi cosa possa contenere la stiva della nave… così ho proiettato anch’io nella stiva di quella nave la mia storia. Questo romanzo, cinque anni di intenso lavoro di cui sono debitore a Luciano di Samosata. Lui ha dato l’abbrivo a questa storia e mi ha permesso di dare una forma, una trama ai miei desideri e alle inquietudini di questi ultimi anni. Invito i lettori di sololibri.net a curiosare nella pagina Facebook del romanzo ed eventualmente a seguirla.
- Desidera descrivere la copertina del volume disegnata dal celebre illustratore e disegnatore satirico Massimo Bucchi?
Un caleidoscopio, con i personaggi della storia trascinati in un gorgo o in una vertigine... Ho letto una volta in uno scritto del filosofo Derrida una cosa che mi sembra bellissima: la vertigine è il cielo a terra. Dopo che Massimo ha letto il romanzo mi ha scritto una cosa illuminante per me, una sua intuizione sulla storia che poi ha tradotto in immagine con la geniale capacità sintetica che lui ha:
“Io ci sento un precipitare degli eventi immodificabile, fino alla soluzione finale inconsciamente prevista da tutti”.
- Un Paese come il nostro, famoso per la sua cultura, è anche un Paese dove la maggior parte delle persone ammette di non aver letto un libro nell’ultimo anno. Qual è il motivo e cosa potrebbe fare la scuola per invogliare gli studenti al piacere della lettura?
Come dice una mia cara amica, il problema principale è la mancanza di tempo. Eppure abbiamo molto tempo. Forse il vero problema è la gestione del tempo. Forse il nostro tempo non ci appartiene più davvero, per questo ci manca. Anche il tempo è stato largamente mercificato. Lo usiamo spesso in attività ludiche che ci servono per compensare le frustrazioni di una vita che sentiamo depressa. Giochiamo senza alcun coinvolgimento, temiamo la responsabilità e l’incontro. La lettura ci mette in relazione, richiede tempo, ascolto, attenzione, partecipazione, responsabilità, coinvolgimento. Qualità preziose. La lettura è un movimento verso “dentro”, l’opposto del movimento che ordinariamente e meccanicamente facciamo verso “fuori”. Un fuori che però non sono gli altri, né il mondo... un fuori che è spesso vuoto e senza orizzonte. La scuola può intensificare e migliorare le attività che già svolge e crearne di nuove per insegnare alle ragazze e ai ragazzi queste preziose qualità. Per impararle occorre praticarle, insieme. Oltre quindi a valorizzare lo sforzo per conseguire risultati positivi occorre anche educare al piacere della lettura (parole che lei ha usato nella sua domanda e che mi sembrano fondamentali). I ragazzi e le ragazze devono sperimentare il piacere di leggere. Emozionarsi. Nella scuola italiana io vedo molte e molti insegnanti che fanno da questo punto di vista un lavoro prezioso. Occorre che anche le istituzioni lo facciano, in questa direzione.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Tomàs”: intervista all’autore Andrea Appetito
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