L’onda marina prende vita attraverso le parole di Gabriele D’Annunzio.
Il poeta simbolo del Decadentismo italiano ha ritratto il movimento delle onde con la maestria di un pittore, aggiungendovi però il tocco di maestria che solo uno scrittore sa dare: l’armonia sonora.
Lo scroscio dell’onda, lo sciabordio, il suo lento gorgogliare e infine il suo plateale schianto sulla riva diventano una sinfonia attraverso i versi di D’Annunzio che ci restituiscono tutta l’intensità dello scenario marino.
Il poeta vate plasma le parole a immagine e somiglianza del mare facendone un vero e proprio manifesto poetico. Ciò che inizialmente al lettore pare una mirabile descrizione dell’onda è in realtà un elogio profondo della poesia: D’Annunzio compone l’ode della “strofa lunga” e la dedica infine alla sua Musa d’elezione, la Poesia.
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La lirica è contenuta nella più celebre raccolta del poeta vate, l’ Alcyone - il terzo libro delle Laudi pubblicato nel 1903. A questo proposito è necessario dire che l’ Alcyone si articola in una serie di ottantotto componimenti che celebrano l’estate e, in particolare, il valore simbolico di questa stagione. E cos’è l’onda del mare se non un simbolo cardine della stagione estiva?
La poesia, scritta nell’agosto del 1902, tuttavia non nacque da una contemplazione svagata “en plein air” della limpida superficie marina, ma fu composta a tavolino da D’Annunzio in un’operazione di scrittura attenta, ragionata e meditata.
Pare che durante l’elaborazione del testo l’autore consultasse, con la minuziosa precisione di un filologo, il Vocabolario marino e militare di Alberto Guglielmotti, pubblicato dall’editore Voghera (Roma, 1889). La fonte dannunziana fu scoperta dallo studioso Mario Praz che rilevò l’abbondante uso fatto dal poeta di termini specifici e tecnicismi nella strutturazione della lirica.
L’onda non fu dunque originata da un’ispirazione spontanea e improvvisa, ma frutto di una composizione metodica che mirava a sondare i limiti estremi dell’espressività poetica. Non a caso, D’Annunzio conclude la lunga lirica - di novantanove versi - con un distico che ricalca l’ode alla Musa della tradizione classica.
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia.
“L’onda” di Gabriele D’Annunzio: testo e analisi
Per facilitare l’analisi, data la lunghezza del testo, scomponiamo la poesia nelle sue parti più significative seguendo una struttura tripartita.
Nella cala tranquilla
scintilla,
intesto di scaglia
come l’antica
lorica
del catafratto,
il Mare.
Sembra trascolorare.
S’argenta? s’oscura?
A un tratto
come colpo dismaglia
l’arme, la forza
del vento l’intacca.
Non dura.
Nasce l’onda fiacca,
subito s’ammorza.
Il vento rinforza.
Altra onda nasce,
si perde,
come agnello che pasce
pel verde:
un fiocco di spuma
che balza!
Ma il vento riviene,
rincalza, ridonda.
Altra onda s’alza,
nel suo nascimento
più lene
che ventre virginale!
Palpita, sale,
si gonfia, s’incurva,
s’alluma, propende.
Il dorso ampio splende
come cristallo;
la cima leggiera
s’arruffa
come criniera
nivea di cavallo.
Il vento la scavezza.
L’onda si spezza,
precipita nel cavo
del solco sonora;
spumeggia, biancheggia,
s’infiora, odora,
travolge la cuora,
trae l’alga e l’ulva;
s’allunga,
rotola, galoppa;
intoppa
in altra cui l’vento
diè tempra diversa;
l’avversa,
l’assalta, la sormonta,
vi si mesce, s’accresce.
Di spruzzi, di sprazzi,
di fiocchi, d’iridi
ferve nella risacca;
par che di crisopazzi
scintilli
e di berilli
viridi a sacca.
Nella prima parte della poesia, sino al sessantaduesimo verso, D’Annunzio si concentra sulla descrizione del moto dell’onda. Il linguaggio è ricco di allitterazioni - che rimandano al movimento e alla sonorità dell’onda - e di metafore. Insieme alle rime interne e alle assonanze le allitterazioni consonantiche di v, r, s, l sembrano riprodurre la sinfonia melodica del ritmo ondulatorio del mare, dello scroscio, del flusso continuo delle acque. Il campo semantico della natura lascia presto spazio a quello della guerra che fa il suo ingresso metaforico nella poesia attraverso il riferimento alle corazze e alle armi: il mare infatti si incaglia nella cala proprio come la corazza (l’antica lorica, Ndr) indossata dal guerriero armato a cavallo (catafratto, Ndr). L’anticipazione del movimento burrascoso dell’onda viene data proprio da questa associazione semantica che annuncia la preparazione di un conflitto: vi è la progressiva ritirata delle acque che si ingrossano sino a formare la grande onda che attraversa il mare impetuosa.
L’onda viene via via paragonata a diversi animali tramite analogie e similitudini: dapprima è l’agnello placido al pascolo, poi si trasforma nel cavallo imbizzarrito che corre al galoppo facendo a gara con il vento.
Parallelamente al movimento dell’onda D’Annunzio infatti descrive il soffio del vento che la incalza: l’assalta, la sormonta, infine si fonde in un tutt’uno con lei. Tramite una personificazione il poeta suggerisce che il vento sia il cavaliere che monta quel cavallo focoso e ingestibile che è il moto marino.
O sua favella!
Sciacqua, sciaborda,
scroscia, schiocca, schianta,
romba, ride, canta,
accorda, discorda,
tutte accoglie e fonde
le dissonanze acute
nelle sue volute
profonde,
libera e bella,
numerosa e folle,
possente e molle,
creatura viva
che gode
del suo mistero
fugace.
Nella seconda parte della poesia, dopo aver descritto il movimento dell’onda, D’Annunzio passa a narrarne il suono. L’onda ha infatti una voce, una propria “favella”, che ride e canta attraverso i continui schiocchi e scrosci. Pare di sentire la sonorità impetuosa dell’onda mentre riprende continuamente la sua infaticabile corsa verso la riva. Proprio la voce dell’onda la rende una creatura viva agli occhi del poeta, completando la sua personificazione. Libera e bella nel suo canto sprofondato nel cuore degli abissi l’onda racchiude il suo mistero, il senso del suo moto inesausto.
Attraverso l’accostamento di più elementi attraverso l’uso dell’asindeto (scroscia, schiocca, schianta/romba, ride, canta, Ndr), senza utilizzare dunque delle congiunzioni verbali, D’Annunzio dà un ritmo veloce e impetuoso all’intera lirica che pare ricalcare il tumulto incessante e senza pace dell’onda.
E per la riva l’ode
la sua sorella scalza
dal passo leggero
e dalle gambe lisce,
Aretusa rapace
che rapisce le frutta
ond’ha colmo suo grembo.
Súbito le balza
il cor, le raggia
il viso d’oro.
Lascia ella il lembo,
s’inclina
al richiamo canoro;
e la selvaggia
rapina,
l’acerbo suo tesoro
oblía nella melode.
E anch’ella si gode
come l’onda, l’asciutta
fura, quasi che tutta
la freschezza marina
a nembo
entro le giunga!
Nella terza parte della poesia Gabriele D’Annunzio introduce il tema del mito attraverso la figura della ninfa Aretusa. La ninfa corre scalza sulla riva, con le sue gambe giovani e agili, incantata dallo spettacolo del mare. Il poeta vate la descrive come “la sorella dell’onda” in riferimento al mito metamorfico che vede infine Aretusa trasformata in una fonte d’acqua nell’isola di Ortigia, a Siracusa. Nella lirica avviene di fatto questa fusione tra la fanciulla e l’onda: la freschezza dell’onda entra nel grembo della giovane, sembra congiungersi a lei in una furia selvaggia, mentre ella si china ad ascoltare rapita il canto del mare.
La figura di Aretusa permette a D’Annunzio di dare inoltre una continuità tematica alle liriche dell’Alcyone dove la poesia si intreccia con il mito classico: il paesaggio si fonde con lo spazio mitico, rievocando figure appartenenti al mondo cantato dagli autori greci e latini, che consente a D’Annunzio di inserirsi nel solco della tradizione dei grandi poeti. Aretusa era stata nominata anche in una poesia precedente, L’ippocampo , in cui veniva analogamente descritta una “mutevole Aretusa dal viso d’oro”. Le poesie della raccolta appaiono quindi legate da una continuità tematica inscritta nel solco del mito.
Musa, cantai la lode
della mia Strofe Lunga.
Il solenne distico finale ribalta infine il significato dell’intera lirica. La descrizione dell’onda si interrompe bruscamente e fa il suo ingresso la voce chiara del poeta che elogia la sua Musa. L’intero componimento appare quindi come un esercizio letterario, in cui D’Annunzio si è divertito a plasmare le parole adattandole a suoni e movimenti precisi facendo un ampio uso della terminologia classica di derivazione latina. Molti vocaboli utilizzati dal poeta sono infatti desueti, arcaici, persino anacronistici: ad esempio il termine “lorica” (la corazza degli antichi legionari romani, Ndr) utilizzato in sostituzione del più comune “corazze”.
Tutto pare ridursi a un compiaciuto esercizio di stile e l’onda - che il poeta ci ha fatto sentire nel suo richiamo gorgogliante, ci ha fatto toccare nella sua limpida freschezza - in fondo non è altro che la metafora, la più riuscita ed efficace, della poesia stessa.
L’onda può essere letta, in questo senso, come una ardita esaltazione della capacità creativa del poeta e come un elogio della poliedricità metamorfica della parola stessa.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “L’onda”, il mirabile esercizio di poetica di Gabriele D’Annunzio
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