L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica
- Autore: Walter Benjamin
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2014
Il saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, pubblicato nel 1936 (in Italia solamente nel 1966), appartiene all’ultima fase della produzione del filosofo tedesco, morto suicida nel 1940. Il libro analizza il problema del significato dell’opera d’arte nell’epoca contemporanea, caratterizzata dall’esistenza di mezzi di riproducibilità tecnica che consentono di creare più copie di uno stesso manufatto, a discapito dell’unicità.
Secondo Walter Benjamin, l’arte è sempre stata riproducibile, perché qualsiasi prodotto umano deve poter essere ricostruito dagli uomini stessi; si pensi al caso degli allievi dei grandi pittori, che per esercitarsi copiavano le opere dei maestri. Tuttavia, la riproduzione tecnica, quale capacità di creare copie tutte perfettamente uguali, è una conquista relativamente moderna. Nell’epoca antica, ad esempio, solo i bronzi e le terrecotte erano tecnicamente riproducibili; successivamente, con l’avvento della stampa, il concetto si è esteso alla scrittura. La riproducibilità tecnica è divenuta la regola nell’età contemporanea, unitamente allo sviluppo di nuove forme di arte, quali la fotografia e il cinema. La riproduzione visiva abbatte definitivamente il confine tra originale e copia, in quanto quest’ultima ha la stessa identità dell’originale, divenendo essa stessa un fenomeno artistico.
Fatte queste debite premesse, il saggio si concentra sul punto nodale della ricerca filosofica di Benjamin: la perdita dell’aura. Il manufatto artistico riprodotto, anche nel caso dei fac-simile più perfetti, tende a perdere l’hic et nunc, che costituisce il criterio della sua autenticità. L’hic et nunc indica l’esistenza irripetibile dell’opera nel luogo in cui si trova, nella sua unicità ed originalità. Ciò porta con sé un immediato vantaggio: l’ampliamento delle possibilità di fruibilità. Si pensi ad un film, che può essere visto contemporaneamente da milioni di persone in migliaia di luoghi diversi, senza che la sua consistenza intrinseca venga mutata. Scompare però l’aura, la quintessenza magica di un’opera d’arte, la valenza trascendentale che solo l’unicità di spazio e tempo può garantire.
La visione di Benjamin non è tuttavia critica, né tanto meno elitaria. Il filosofo tedesco è infatti convinto che la riproducibilità tecnica favorisca il mutamento del rapporto tra le masse e l’opera d’arte, in senso profondamente educativo. Se prima le masse erano tenute distanti dai manufatti artistici, che di fatto erano conosciuti e goduti solo da una ristretta élite, la riproducibilità favorisce l’ampliamento del pubblico e l’accrescimento culturale degli uomini. Epocale in tal senso la rivoluzione portata dal cinema, in cui qualsiasi persona può recitare anche come semplice comparsa, diventando di fatto parte integrante dell’opera. Il maggior beneficio della riproducibilità tecnica è così il mutamento di rapporto tra valore culturale e valore espositivo del manufatto artistico. Mentre in passato prevaleva il valore culturale, per cui la portata magico-rituale dell’opera non richiedeva che la stessa venisse necessariamente ammirata, oggi il processo è inverso. La riproducibilità aumenta le occasioni di visibilità dei prodotti, riducendo il valore rituale dell’aura, ma accrescendo quello divulgativo ed educativo dell’esposizione.
“L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, anche a distanza di molti anni dalla sua prima apparizione, è un saggio davvero interessante e ricco di spunti, che ha il pregio di uno stile colto ma scorrevole. Con l’avvento di internet, poi, la problematica si amplia ulteriormente, tanto che viene da domandarsi: che ne sarà dell’arte nell’epoca della sua riproducibilità digitale?
L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica
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