Infanzia berlinese intorno al millenovecento
- Autore: Walter Benjamin
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2007
Nel caleidoscopio di prose brevi ed estemporanee che compongono l’ Infanzia berlinese – rapidi schizzi che descrivono un luogo, un ricordo, un componente della famiglia o anche un oggetto – trovano posto, più che semplici ricordi di un passato, quegli elementi che, dal passato del grande critico berlinese, riescono a prefigurare e ad alludere all’epoca storica successiva.
Si tratta non solo e non tanto dell’osservazione di quelle novità che, di lì a poco (basti pensare che Benjamin nacque nel 1892), introdurranno le ultime scoperte della tecnica – come le voci che si sentono con il telefono paragonate a quelle che potrebbero venire dall’al di là – nella vita di tutti i giorni, ridisegnando il volto di una società, quanto piuttosto di immagini che riescono a mettere in una prosa rapida e metaforica alcune tra le più interessanti idee filosofiche di Walter Benjamin.
Le figure dell’Infanzia berlinese, come spiega lo stesso Benjamin in un passo, poi espunto dalle versioni definitive del testo, vanno intese come deja vu o, se vogliamo ricorrere a una definizione sonora, come delle eco:
Non si dovrebbe parlare di circostanze (...) il cui suono originario sembri essere stato emesso nella vita anteriore? (...) lo shock, con cui un’istante si presenta alla nostra coscienza (...) è una parola, un fruscio o una vibrazione, ai quali è stato conferito il potere di rapirci nel gelido avello del passato, la cui volta sembra rimandarci il presente solo come un’eco. (...) vi sono parole e silenzi che ci fanno pensare a quell’invisibile estranea: il futuro che li dimenticò presso di noi.
Benjamin, quindi, come chiarisce Szondi nella sua fondamentale nota al testo, nel passato cerca il futuro e nella sua rammemorazione un ricordo dell’infanzia che è gravido del futuro perché in qualche modo allude ad esso e lo presagisce.
A che serve, allora, ricordare il Tiergarten e le logge di Berlino, i libri d’infanzia e lo scrittoio sul quale Benjamin, bambino, svolgeva i compiti, l’universo familiare e la vita della società alto borghese a cui appartenevano i Benjamin? A che serve, in definitiva, rinnovare il vecchio, collezionando ricordi? Come scriverà Adorno, uno dei primi e più acuti lettori di Benjamin:
L’aria intorno ai luoghi che, descritti da Benjamin, sono sul punto di risvegliarsi, è esiziale. Su di essi cade lo sguardo del condannato
Nelle due direttrici su cui si snoda il libro – l’infanzia e la storia della Germania fin de siècle – nei luoghi, negli oggetti, in una parola, nelle rammemorazioni di Benjamin si realizzano quelle immagini di pensiero (Denkbilder) che, nella loro materialità e nella loro soggettività, non fanno altro che esibire, in forma letteraria e non saggistica, come avviene nelle ultime opere del critico tedesco, la stessa concezione della storia di Benjamin. Contrapponendosi allo storicismo che vuole il decorso storico come un continuum votato al progresso – concezione tanto più debole alla luce del nazismo – le figure dell’Infanzia berlinese sono metafora del rapporto tra un futuro foriero di distruzione e un passato che, seppur spazzato via, manifesta la speranza della redenzione. Anche se non c’è alcuna omogeneità tra il futuro a cui rimandano i ricordi dell’infanzia e il presente che Benjamin vive nel momento (1932-1938) in cui scrive e perfeziona quest’opera è proprio la riattualizzazione che passato la modalità con cui le immagini dialettiche possono riuscire a scompaginare il corso della storia.
Infanzia berlinese intorno al millenovecento
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