La vita è troppo breve per leggere tutti i libri che vorrei leggere. Alzi la mano un lettore che davvero non abbia mai pronunciato questa frase.
Certo, si potrebbe sempre sperare nel “paradiso letterario” auspicato da Virginia Woolf quando scriveva nel suo diario
“Talvolta penso che il paradiso sia leggere continuamente, senza fine”.
Tutti i lettori quando si imbattono in questa riflessione annuiscono severamente, immaginando un ipotetico spazio immateriale non soggetto ad alcuna logica temporale o contingente dove leggere diviene un’attività benefica e necessaria come respirare.
Ma in fondo per ciascun vero lettore la lettura è anche un’attività di sussistenza, motivo per cui procede sistematicamente a svaligiare le librerie come farebbe con gli scaffali dei supermercati in previsione di un’apocalisse imminente.
È un dato di fatto: si comprano più libri di quanti se ne potrebbero leggere nel corso della vita, considerando come minimo un’aspettativa media di ottant’anni. Questa non è una conseguenza della nostra società capitalistica votata al più becero consumismo, ma un bisogno innato, un istinto irrazionale che appartiene all’umanità da millenni.
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Nel 1809 in Inghilterra il chierico e bibliografo Thomas Frognall Dibdin scrisse il testo Bibliomania, or Book Madness: A Bibliographical Romance delineando una sorta di “nevrosi immaginaria” che spinge coloro che ne soffrono a raccogliere ossessivamente libri di ogni genere, alimentando una costosa collezione personale di libri unici o prime edizioni.
L’acquisto di libri tuttavia non è esattamente associabile a una banale attività di shopping compulsivo, sebbene il termine giapponese deputato alla descrizione Tsundoku vi si avvicini molto; in realtà l’accumulo di libri appare maggiormente legato a un fattore psicologico.
Sulla bibliomania o l’accumulo di libri
Una delle ipotesi più accreditate nella contemporaneità è che la gente acquisti più libri di quanti ne possa effettivamente leggere poiché affida a quei volumi “non ancora letti” una promessa di futuro.
In un articolo apparso su The New Republic, lo scrittore William Giraldi affermava che il bello dei libri è averli a disposizione. I testi che vengono accumulati, le pile librose che si innalzano sui nostri comodini sono “letture in potenza”, conservano il valore dell’ignoto, il mistero di qualcosa che è ancora possibile scoprire.
Sulla rivista letteraria Literary Hub la scrittrice Karen Olsson si poneva il medesimo problema: Why I don’t read all my books?. Olsson in particolare si concentrava sulle ragioni dell’accumulo parlando della schiera di libri fantasma che giacciono in perenne attesa nelle nostre librerie.
Quei libri sono promesse, conclude Olsson al termine della sua dissertazione, racchiudono la certezza che nella nostra vita non ci annoieremo mai: che potremo sempre aprire quel libro e sfogliarlo prima o poi, quando arriverà il momento giusto.
L’anti-biblioteca di Umberto Eco
Non è solamente una motivazione psicologica a guidare l’acquisto compulsivo dei lettori, ma anche una ragione culturale. Il motivo intellettuale che ci spinge all’acquisto di libri è stato felicemente descritto dal grande Umberto Eco, noto bibliofilo del nostro panorama nazionale.
Umberto Eco possedeva una libreria sterminata, che contava oltre 30mila volumi. Simpaticamente Eco faceva dell’autoironia su se stesso e sulla sua abitudine con una frase divenuta celebre:
Il bibliofilo è esposto all’insidia dell’imbecille che ti entra in casa, vede tutti quegli scaffali, e pronuncia: “Quanti libri! Li ha letti tutti?"
Eco riusciva a spiegare meglio di chiunque altro le piccole manie, le nevrosi e i vezzi del lettore. La biblioteca per il semiologo italiano era un luogo sicuro, un tesoro personale che gli confermava la certezza socratica del “è saggio chi sa di non sapere”. Il vero lettore è afflitto proprio da questa sensazione: la certezza di non poter leggere ogni cosa, ma la volontà di accumulo che lo spinge ad appropriarsene, ad avere almeno quel libro nella sua collezione come “lettura in potenza” da sfogliare, leggiucchiare, mangiucchiare a metà come una mela e poi riporre sullo scaffale.
Umberto Eco aveva coniato per i “libri acquistati ma non letti” una definizione esemplare: quella di anti-biblioteca.
Si accumuleranno più conoscenza e più libri man mano che si invecchia, e i libri non letti ci guarderanno minacciosamente dagli scaffali. Anzi, più si sa, più lunghe saranno le file di libri non letti. Chiamiamo questa collezione di libri non letti una anti-biblioteca.
Secondo lo studioso e accademico italiano infatti una biblioteca dovrebbe contenere tutti i libri su argomenti sconosciuti che i nostri mezzi finanziari ci consentono di acquistare. Una volta Eco calcolò che non sarebbe mai riuscito a leggere tutti i libri in suo possesso neppure se avesse letto un libro al giorno dall’età di dieci anni sino agli ottanta.
Il vero lettore sa di non leggere abbastanza
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Nel saggio filosofico letterario Il Cigno Nero l’epistemologo di origine libanese Nassim Nicholas Taleb spiega che la funzione dell’anti-biblioteca di Umberto Eco era proprio quella di ampliare potenzialmente la conoscenza dello studioso. I libri accumulati ricordavano al semiologo ciò che ancora non sapeva, che la sua conoscenza del mondo era imperfetta e quindi andava ampliata.
L’accumulo di libri nel saggio di Taleb appare come un’attività nobilitante, una specie di fame di cultura che i lettori non riescono ad appagare in altro modo se non attraverso l’acquisto. Il vero lettore sa di non aver letto mai abbastanza, proprio come il saggio sa di non sapere. Taleb la definisce con una formula intelligente: “umiltà intellettuale”.
Recensione del libro
Il Cigno nero
di Nassim Nicholas Taleb
È tipico delle persone che riflettono molto, del resto, essere piene di dubbi: motivo per cui i lettori riempiono le loro case di libri, sentendosi sempre inadeguati perché non riescono a leggerne abbastanza. È proprio questo processo che sostiene il nostro sistema editoriale e, più nel profondo, l’impalcatura stessa della nostra mente. Sappiamo che c’è un intero mondo là fuori da scoprire, da apprendere, da assimilare: ne siamo affamati, cerchiamo di appropriarcene con ingordigia, ma ci sentiamo sempre a mani vuote e perennemente non saziati. I libri non letti hanno sempre più valore di quelli letti, è un assioma inconfutabile, un labirinto cieco dal quale non possiamo uscire.
I libri sono gli strumenti con cui cerchiamo di colmare le lacune della nostra conoscenza e le pile infinite che si accumulano sui nostri comodini sono forse l’immagine, più spietata e al contempo rassicurante, della nostra intelligenza potenziale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Perché compriamo più libri di quanti ne leggiamo?
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Vero... Pensiero sempre più ossessionante... che non avrò il tempo per leggere tutti i libri che compro ☹️