Un incrollabile ed assoluto pessimismo accompagna Giacomo Leopardi nel corso della sua breve vita e costituisce il fulcro della sua poetica.
Quello del pessimismo leopardiano è un concetto profondo, non filosofico in senso stretto in quanto non elaborato attraverso uno schema concettuale razionale e sistemico, ma intimamente connesso alla sua stessa concezione della vita, dell’umanità e della natura.
La critica ne distingue tre diverse fasi, che afferiscono ad altrettanti periodi della vita e del pensiero del poeta di Recanati:
- il pessimismo individuale
- il pessimismo storico
- il pessimismo cosmico
a cui si aggiunge una quarta fase di pessimismo eroico.
La convinzione dell’esistenza intesa come dolore, già presente nel Leopardi adolescente, si fa man mano più radicata e profonda, fino a investire la natura stessa e l’umanità in quanto tale, in un crescendo disperato di cupezza e di angoscia che non lascia scampo.
Rapporto uomo/natura, senso della vita, concetto di felicità e pessimismo
Il rapporto fra uomo e Natura è al centro della poetica leopardiana e non può essere disgiunto dal suo pessimismo.
Che senso ha la vita?
La felicità e il piacere esistono e, se sì, appartengono anche al genere umano?
Perché siamo condannati alla sofferenza e alla morte?
Qual è, in sostanza, il significato ultimo e vero della nostra esistenza?
Furono questi, principalmente, gli interrogativi ai quali Leopardi tentò sempre di dare una risposta, arrivando infine a una conclusione amara e senza appello.
Da "benigna" come gli apparve in un primo momento, quando credeva ancora nel potere delle illusioni, le sole in grado di regalare una seppur ingannevole forma di gioia e appagamento, il poeta, in seguito, arrivò alla convinzione che fosse proprio la Natura, invece, la sola responsabile della nostra disperante condizione.
Divenuta "matrigna" in conseguenza del progresso della ragione e della scienza, corrotta dallo stesso operare dell’uomo, essa crea sì speranze e illusioni, ma solo per il gusto sadico di disilludere, ingannare, ferire.
E se non è cattiva, al massimo la Natura si mostra del tutto indifferente alla nostra sorte, così come Leopardi fa dichiarare a essa stessa nel Dialogo della Natura e di un Islandese.
Dunque la felicità in sé, in quanto tale, non esiste e ciò nonostante l’uomo sia fatto per inseguirla; dal desiderio di raggiungerla e dall’impossibilità di poterci riuscire, scaturisce l’inevitabile miseria del nostro stato.
La gioia quindi, altro non è che la cessazione del dolore, mentre la noia, che spesso affligge il poeta recanatese facendogli compagnia nelle giornate più tristi, spegne il desiderio di vivere.
Le tre fasi del pessimismo leopardiano
Per quanto sia difficile, se non impossibile, condensare in maniera schematica il pensiero e la poetica di Giacomo Leopardi, i critici sono soliti distinguere tre fasi del suo pessimismo, corrispondenti ad altrettanti periodi della sua vita e, conseguentemente, della sua poetica.
Pessimismo individuale
La prima fase del pessimismo leopardiano è quella del pessimismo individuale.
Riguarda il Leopardi più giovane, appena adolescente e pertanto da poco fuori dalla fanciullezza, l’unica parte della vita nella quale, per sua stessa ammissione, si sentì sereno, allegro, amato.
La precoce consapevolezza della realtà fu uno spartiacque senza ritorno per il recanatese, che da quel momento in poi non avrebbe fatto altro che acuire il proprio incrollabile e veemente pessimismo.
Ancora giovanissimo, il poeta si convinse di essere l’unico destinato alla sofferenza e all’angoscia continue, il solo uomo a cui fosse preclusa la possibilità di essere felice.
Come unica consolazione, la contemplazione della natura (un tratto tipico del Romanticismo) e delle sue straordinarie meraviglie.
Probabilmente i problemi di salute che si affacciarono presto e poi lo afflissero sempre (una grave forma di rachitismo, scoliosi, problemi respiratori ecc.), contribuirono a tale convinzione, ma la maggior parte dei critici concorda sul fatto che essi furono del tutto marginali e che il pessimismo in Leopardi fosse già, fin dall’inizio, un tratto imprescindibile e forse quello preponderante, della sua indole.
Pessimismo storico
In quella che i critici individuano come seconda fase del pessimismo leopardiano, detto pessimismo storico, il poeta considera l’uomo come causa della propria infelicità.
L’uso eccessivo della ragione e il progresso della scienza, hanno fatto sì che esso si allontanasse dallo stato primitivo, fantasioso e ingenuo in cui si trovava agli albori della civiltà, acquisendo una consapevolezza che ormai gli impedisce di sognare e illudersi.
L’uomo moderno quindi, può essere felice solo nell’infanzia, quando l’inconsapevolezza e la naturalezza proprie della tenera età, gli consentono di avere aspettative positive per il domani.
Da qui il continuo e nostalgico ritorno di Leopardi alla sua fanciullezza, allietata dallo stretto legame instaurato con i fratelli Carlo e Paolina, suoi inseparabili compagni di giochi e di quotidianità.
Pessimismo cosmico
La terza fase del pessimismo leopardiano, il pessimismo cosmico, è bene espressa e sintetizzata nei versi finali del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia:
Forse in qual forma, in quale
stato che sia, dentro covile o cuna,
è funesto a chi nasce il dì natale.
Nel Canto, composto a Recanati fra il 1829 e il 1830, in un tardo e solitario colloquio con la luna, dopo essersi posto e aver posto alla muta interlocutrice le domande che più gli stanno a cuore sul senso della nostra esistenza, un arrendevole e disingannato Leopardi conclude che nessun essere vivente può essere felice in quanto la Natura, che ora vede come matrigna e causa di ogni male, fa soffrire tutti, uomini e animali.
Siamo all’approdo definitivo del pensiero leopardiano.
La Natura dà all’uomo il desiderio di felicità solo per il gusto sadico di negarglielo costantemente.
La ragione, che adesso viene rivalutata, è la sola risorsa che abbiamo per capire e svelare l’inganno.
La forza cieca della Natura, che altro non è se non un eterno ciclo di creazione e distruzione, travolge ogni essere vivente, del cui dolore si disinteressa totalmente.
Comprenderlo, vivere con lucidità e razionalità, oltre che con il coraggio che la ragione può dare, fa sì che non si cada nell’infido tranello di abbandonarsi ad illusioni e desideri che sarebbero immancabilmente delusi.
Pessimismo eroico
Alla classica suddivisione del pessimismo leopardiano in tre fasi, alcuni critici ne aggiungono una quarta, detta del pessimismo eroico (o titanico).
Essa corrisponde, in pratica, al pensiero e alla poetica espressi ne La ginestra, composta nel 1836 durante il soggiorno a Villa Ferrigni a Torre del Greco e considerata il testamento spirituale di Leopardi.
La semplice osservazione dei cespugli di ginestra fioriti lungo le pendici del Vesuvio, offrì al poeta lo spunto per una riflessione profonda sul rapporto fra la Natura e la condizione umana.
Nel Canto, la ginestra, che cresce dove tutto intorno è arido e spento, assurge a simbolo della resistenza e della lotta che ogni uomo deve combattere per continuare a vivere e a credere nei propri sogni.
E se è vero che il singolo non può farcela da solo, la solidarietà fra esseri umani può dare ad ognuno la forza necessaria per superare i colpi terribili che il destino ci riserva.
Tutti insieme, uniti come se fossimo anelli della stessa catena, consapevoli della sorte comune, gli uomini diventano abbastanza forti da poter contrastare la malignità della Natura.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il pessimismo di Giacomo Leopardi: fasi, significato e differenze
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Finalmente un articolo scritto bene!chiaro,completo e coinvolgente!!
Complimenti all`autrice.