Quanti oggi festeggiano gli onomastici? Un tempo la scuola curava l’aspetto letterario degli allievi anche con l’uso della poesia dedicata a giornate particolari. L’11 novembre, san Martino, veniva celebrata anche con la poesia San Martino di Giosuè Carducci (diventata poi famosa con la canzone di Fiorello), che per i bambini degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso era una sorta di tappa obbligata: la poesia veniva letta, spiegata e imparata a memoria.
Ecco allora gli irti colli, il maestrale, il rosseggiar dei tini, i ceppi accesi. Si faceva esperienza di termini poco usati, di pratiche poco note, in un paesaggio che per i bambini di città era davvero inusuale: la nebbia che sale, il mare che biancheggia, l’odore aspro del vino, gli uccelli neri che volteggiano in un cielo gravido di pioggia.
Ricordo la mia emozione nell’ascoltare la voce della maestra, mentre mi domandavo perché i colli fossero “irti” e come funzionassero le rime (sale/maestrale; tini/vini; scoppiettando/fischiando; mar/rallegrar/rimirar/ migrar).
L’amore per la poesia, per le suggestioni interne che evoca a livello inconscio, per la costruzione sapiente dei versi, per la ricchezza del lessico, ricordo sia nata in me, inconsapevolmente, proprio imparando faticosamente a memoria San Martino, quell’11 novembre di circa sessanta anni fa...
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le poesie a scuola servono? Un ricordo di “San Martino” di Carducci, imparata l’11 novembre di sessant’anni fa
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