Il 10 aprile si celebra la Giornata mondiale dei Fratelli, istituita nel 1997 da Claudia Evart dopo la prematura scomparsa di suo fratello Alan e di sua sorella Lisette. Come vengono celebrati i fratelli in letteratura? Le poesie più celebri, a partire dallo straziante Carme 101 di Catullo, sono dedicate alla scomparsa di questa figura nella quale si coglieva un alleato nel corso del tortuoso cammino della vita e con cui si è, in qualche modo, condiviso un destino. Il tema del compianto di Catullo fu poi ripreso da Ugo Foscolo nel celebre sonetto In morte del fratello Giovanni, composto nel 1803, in memoria del fratello morto suicida.
Il tema della morte del fratello in letteratura tornò nel tardo Novecento quando Montale incluse nella raccolta Satura la lirica Tuo fratello morì giovane, dedicata alla moglie Drusilla detta “Mosca”, nella quale emerge il tema di una memoria condivisa.
Le poesie dedicate ai fratelli tuttavia non parlano solo di perdita e di rimpianto, ma anche di condivisione e riconoscenza, come le parole di Pascoli dedicate alla sorella Maria e i versi che Alda Merini dedicò al fratello Ezio. Si passa infine a una dimensione di fratellanza più universale con le poesie di Ada Negri e di Kahlil Gibran che celebrano soprattutto il concetto spirituale dell’essere fratelli, anche al di là dei legami di sangue.
Scopriamo nel dettaglio le più belle poesie dedicate ai fratelli.
“Il carme 101” di Catullo
Condotto per molte genti e molti mari
sono giunto a queste (tue) tristi spoglie, o fratello,
per renderrti l’estrema offerta della morte
e per parlare invano alla (tua) muta cenere,
poiché la sorte mi ha portato via proprio te, ahimè,
infelice fratello ingiustamente strappatomi via!Ora questi pegni, che secondo l’usanza degli avi
sono stati consegnati come triste omaggio funebre,
accettale, stillanti di molto pianto fraterno,
e per sempre, o fratello, ti saluto e ti dico addio.
Tra le poesie di Catullo, del suo famoso libellum dedicato all’amico Cornelio Nepote, non troviamo solo l’amore per Lesbia (alias Clodia). Uno dei carmi più memorabili del Liber catulliano è infatti il Carme 101, dedicato alla memoria del fratello scomparso. L’inizio, nell’originale latino, è straziante in quanto il poeta ripercorre il lungo viaggio da lui affrontato per giungere a piangere le spoglie fraterne:
Mùltas pèr gentès et mùlta per aèquora vèctus
àdvenio hàs miseràs, fràter, ad ìnferià.
Catullo si recava infatti in Bitinia e decise di fermarsi nella Troade per un ultimo saluto alla tomba del fratello. Le parole che gli dedica sono parole d’addio e un omaggio funebre, secondo la tradizione che voleva fosse posta un offerta votiva agli Dei sulle tombe dei defunti. Il dialogo, del resto, è impossibile, come sottolinea l’evocativa espressione “cenere muto”, poi ripresa da Foscolo. Catullo narra soprattutto il suo dolore, il suo strazio personale e privato per quel fratello che, come sottolinea, gli fu ingiustamente strappato via - immaginiamo da una morte precoce.
“In morte del fratello Giovanni” di Ugo Foscolo
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentili anni caduto.La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quïete.Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.
Uno dei sonetti più celebri di Foscolo, composto nel 1803, è dedicato alla memoria del fratello Giovanni e ricalca in parte lo schema catulliano con il quale presenta forti analogie a partire dall’incipit “di gente in gente”.
Come Catullo, anche Foscolo fa riferimento alle “ceneri mute” (in latino mutam cinerem, Ndr) del fratello ma, a differenza del poeta che si reca in visita sulla tomba, Foscolo in esilio è consapevole di non poter fare altrettanto. Ritorna il tema dei sepolcri, caro a Foscolo, per esprimere il colloquio tra i vivi e i morti. La morte viene descritta come un porto di quiete, una meta da raggiungere; mentre il carme catulliano si conclude con un addio, il sonetto di Foscolo si chiude con un’apostrofe e invocazione indignata alla speranza. Il poeta si augura che al fratello, morto suicida in circostanze misteriose, forse per debiti di gioco, sia data una degna sepoltura sulla quale la madre addolorata possa finalmente piangerlo.
“Sorella”, la poesia di Pascoli per Maria
Io non so se più madre gli sia
la mesta sorella o più figlia:
ella dolce ella grave ella pia,
corregge conforta consiglia.A lui preme i capelli, l’abbraccia
pensoso, gli dice, Che hai?
a lui cela sul petto la faccia
confusa, gli dice, Non sai?Ella serba nel pallido viso,
negli occhi che sfuggono intorno,
ah! per quando egli parte il sorriso,
le lagrime per il ritorno.Per l’assente la madia che odora
serbò la vivanda più buona;
e lo accoglie lo sguardo che ignora,
col bacio che sa, ma perdona.Ella cuce; nell’ombra romita
non s’ode che l’ago e l’anello:
ecco, l’ago fra le agili dita
ripete, Stia caldo, sia bello!Ella prega: un lungo alito d’ave-
marie con un murmure lene…
ella prega; ed un’eco soave
ripete, Sia buono, stia bene!
Maria è una delle figure centrali nella poetica di Giovanni Pascoli, per cui la sorella maggiore fu come una seconda madre. In questa poesia, intitolata proprio Sorella ma conosciuta anche come A Maria, ce la presenta, evidenziando i contrasti insiti nella sua persona: è una donna umile, dedita a lavori domestici e preghiere, tuttavia possiede un’incomparabile grazia e purezza. Maria si preoccupa degli altri più di sé stessa, il suo volto è pallido e attraversato da un’ansia costante. Viene messa in luce, in questi versi, la profonda dipendenza su cui si regge il loro rapporto. Maria si prodiga, consiglia, perdona e dona un sorriso di conforto a chiunque le stia attorno. La sorella di Pascoli viene presentata dal poeta come una figura edificante, una donna pia e silenziosa sulla quale pare riversarsi una sorta di aurea di santità religiosa. La bellezza di questa poesia è che l’autore riesce a togliere una figura semplice dall’anonimato che la contraddistingue facendone brillare e risplendere la tacita umanità.
“Tuo fratello morì giovane” di Eugenio Montale
Tuo fratello morì giovane; tu eri
la bimba scarruffata che mi guarda
«in posa» nell’ovale di un ritratto.Scrisse musiche inedite, inaudite,
oggi sepolte in un baule o andate
al màcero. Forse le riinventa
qualcuno inconsapevole, se ciò ch’è scritto è scritto.L’amavo senza averlo conosciuto.
Fuori di te nessuno lo ricordava.
Non ho fatto ricerche: ora è inutile.Dopo di te sono rimasto il solo
per cui egli è esistito. Ma è possibile,
lo sai, amare un’ombra, ombre noi stessi.
Nella sezione della raccolta Satura intitolata Xenia, in riferimento alle offerte votive agli Dei, Montale inserisce Tuo fratello morì giovane nella quale rende omaggio a Silvio Tanzi, il fratello dell’amata moglie Drusilla detta “Mosca”. Silvio curiosamente era anche lo zio di Natalia Levi, meglio nota come Natalia Ginzburg, figlia di Lidia Tanzi, l’altra sorella, la minore.
Silvio Tanzi era un musicista di talento, “scrisse musiche inedite, inaudite” scrive Montale, morì suicida a trent’anni. In questa lirica il poeta lo fa rivivere attraverso il ricordo della moglie, rendendo omaggio a una memoria ormai divenuta comune, come condivisa. Nel finale Montale giunge a una conclusione metafisica, tipica delle sue ultime poesie, in cui riflette sulla fragile trama dell’esistenza umana e conclude che noi stessi siamo “ombre”. Raccolta in Xenia, questa poesia voleva essere appunto un dono, un omaggio, alla moglie scomparsa e, attraverso lei, rievoca anche le sue memorie familiari, tra cui il fratello Silvio.
“Un fratello” di Ada Negri
Ti fui compagna per le ignote strade
del mondo e all’ombra dei crocicchi, in una
vita lontana che fu mia, fu mia
come questa non già che s’attorciglia
al mio collo e al mio cor, segni imprimendo
di ferro e corda nelle nude carni.Avevi, come adesso, una giacchetta
logora, un viso a lama di coltello,
una bocca di fame e di sarcasmo;
e andavi senza meta, e andavi senza
dolore, solo con la tua miseria,
e gran signore della libertà.Lo so. Per te non c’era e non c’è posto
nel mondo disegnato a quadratini
ben distinti, con cifre di classifica
ben chiare. V’è qualcuno che ti crede
un barbaro e ti esecra ed ha paura
di te. Non io, che son della tua razza.
Non mi conosci più?... Forse ti sembro
più bella adesso, flessuosa nella
sottil guaina di velluto fulvo
che mi fa somigliare a una pantera.So pettinarmi a onde, con la grazia
delle dame che passano in carrozza;
e fingere il sorriso, anche nell’ore
dello strazio, e mentire una promessa,
e offrir la mano e il thè, soavemente,
a chi, se volga il dorso alla mia soglia,
fa la mia vita ed il mio nome a brani.
Ho braccialetti d’oro; ma mi pesano
ai polsi. Ho una collana di rubini,
ma non la metto, chè mi par la riga
vermiglia incisa dal capestro al collo
d’un «sospettato» del Novantatrè.Sono rimasta zingara, nel fondo
del cuore. Non si mente al proprio sangue.
E t’invidio.... Tu sei libero e forte:
non hai padre, nè madre, nè fratelli
che vivano di te, che al tuo destino
s’aggrappino: il tuo letto è nell’Asilo
Notturno: la tua casa è tutto il mondo.Domani puoi senza rimorso ucciderti,
per compiere una tua vendetta oscura
contro la vita. Amare anche tu puoi,
una donna o un’idea perdutamente
amare; e viver per l’amor tuo grande,
poi che intatto ti resta il tempo e il sogno.
Forte e libero tu fra tanti schiavi,
addio. Colei che passa è tua sorella;
ma la folla l’inghiotte e ognun va solo
col mistero di sè, fino alla morte.
Anche la poetessa Ada Negri aveva un fratello. Nel volume Stella mattutina (1921) lo rievoca come un fratello, ovvero figlio della sua stessa madre, che pure non le somiglia. Nella raccolta Dal profondo, pubblicata nel 1910 dai Fratelli Treves, è presente la poesia Un fratello che pure sembra celebrare una fratellanza universale con tutti i popoli e tutte le razze. La casa di suo fratello, osserva Ada Negri che era anche chiamata “La vergine rossa” per la sua adesione alle nascenti idee socialiste, era in tutto il mondo. La poesia di Negri spesso era un inno all’appartenenza sociale, in questa lirica sembra parlare di un fratello spirituale - non reale. La poetessa sente fratello colui che gli altri chiamano “barbaro” o “straniero”, ne conclude che ognuno vive nel proprio mistero, senza riconoscersi, smarrito nel suo personale sogno di libertà.
“A Ezio”, la poesia di Alda Merini per il fratello
Fratello, perché chiamarti fratello
se eri soltanto un amico,
un amico piccino piccino
che tenevo per mano.
Abbiamo perso insieme
il cuore più grande del mondo:
nostra madre che cantava
nei giorni di primavera.
Ti ho ritrovato uomo,
con le dita operose che suonavano
il mio cuore.
Ogni tanto adesso mi prendi sui ginocchi
e mi baci la fronte
come fossi tua madre.
Ezio Merini era il fratello minore di Alda Merini, più piccolo di lei di dodici anni. Ancora oggi Ezio tutela la memoria delle poetessa, di cui conserva un irresistibile ritratto umano e non cessa mai di raccontarlo a chiunque voglia sentirlo. A lui la poetessa dei Navigli dedicò la tenera poesia A Ezio, in cui rammenta la loro amicizia di bambini, “un amico piccino piccino”, e il ricordo comune della madre che li lega in un dolore struggente e condiviso. La poetessa sente di essere diventata a sua volta madre del fratello minore e in questi versi ci consegna un commovente ritratto famigliare.
“Preghiera con il fratello” di Khalil Gibran
Sei mio fratello: siamo figli dello stesso spirito universale.
Sei mio simile: siamo prigionieri di due corpi fatti della stessa argilla.
Prendi da me ciò che vuoi, non ruberai se non la parte a cui hai diritto e le cose che ho preso per avidità.
Ti amo quando ti prostri nella tua moschea, quando t’inchini nella tua chiesa, quando preghi nella tua sinagoga.
Tu ed io siamo figli della stessa fede: lo Spirito.
E quelli che vengono posti a capo dei suoi molti rami sono come le dita della mano di una divinità che addita la perfezione dello Spirito.
Ti amo per amore della tua verità, che emerge dalla mente di tutti gli uomini; verità che ora non vedo a causa della mia cecità, ma che ritengo sacra perché appartiene alle cose dello spirito.
La tua verità incontrerà la mia nel mondo che verrà: ecco si fondono l’una con l’altra come il profumo che sale dai fiori, diventano una sola che in sé tutto comprende, immortale nell’immortalità di amore e bellezza.
Raggiungiamo il vertice spirituale della fratellanza con la poesia Preghiera con il fratello di Khalil Gibran, nel quale l’autore de Il Profeta compone un inno alla tolleranza affermando che siamo tutti “figli dello stesso spirito universale”. In questo brano Gibran annulla le differenze di razza, di fede e di religione, ribadendo un’idea di appartenenza: siamo tutti parte, di fatto, di qualcosa di più grande di noi, di uno spirito universale. Il messaggio che spesso noi occidentali percepiamo come cristiano, “siamo tutti fratelli”, riflette in realtà un insegnamento e un valore più grande che non appartiene a una precisa cultura, ma alla dimensione umana.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le più belle poesie per i fratelli: da Catullo a Pascoli a Gibran
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