

La letteratura ha consacrato i personaggi canini, a partire dal celebre Argo che nell’Odissea omerica attende il ritorno a casa dell’eroe Ulisse divenendo l’emblema della fedeltà più assoluta.
Gli scrittori però sembrano preferire i gatti e in compagnia di felini vengono spesso ritratti in numerose immagini di repertorio. In occasione della Giornata internazionale del cane che si celebra ogni anno il 26 agosto, vogliamo tuttavia sfatare il tradizionale accostamento scrittore-gatto per mostrarvi anche i cani amati dagli scrittori.
Lord Byron dedicò al proprio amato Terranova, Boatswain, un epitaffio destinato a diventare immortale; Charles Dickens impazziva per il cagnolino Timber e Virginia Woolf scrisse un libro dedicato a un cocker, Flush.
Scopriamo tutte le storie degli scrittori e dei loro amici a quattro zampe.
1. Lord Byron e Boatswain
Lord Byron era affezionatissimo al suo Terranova, Boatswain. Quando il cane contrasse la rabbia il poeta lo curò sino alla fine, esponendosi al rischio di contrarre lui stesso la malattia. Il cane morì il 30 novembre del 1808 e lo sconsolato Byron dedicò alla sua memoria la celebre poesia Epitaffio per un cane che ora è situato sulla tomba dell’animale, a Newstead Abbey, in Inghilterra.
Ne riportiamo l’incipit:
In questo luogo/ giacciono i resti di una creatura/ che possedette la bellezza ma non la vanità/la forza ma non l’arroganza/ il coraggio ma non la ferocia/ E tutte le virtù dell’uomo/senza i suoi vizi.
2. Charles Dickens e il cane Timber
Charles Dickens era affezionato a Timber, un cocker spaniel bianco. Lo scrittore acquistò il cagnolino in America, nel 1843, e lo portò con sé in Inghilterra. Timber divenne un amico inseparabile per i figli di Dickens.
In una lettera lo scrittore parlava con adorazione del proprio amato cane, affermando di avergli cambiato nome in “Smittle Timber” perché più sonoro ed espressivo.
Nei libri di Dickens i cani spesso appaiono in qualità di personaggi, come nel caso di Bull’s Eye, il bull terrier di Bill Sikes in Oliver Twist.
3. Arthur Conan Doyle e Toby
Un altro scrittore amante dei cani era sir Arthur Conan Doyle che affiancò un segugio al suo personaggio più iconico, il detective Sherlock Holmes.
Il cagnolino Toby compare per la prima volta nel secondo romanzo di Doyle, Il segno dei quattro (1890), e sarà un alleato indispensabile di Holmes aiutandolo a scovare gli indizi, come un commissario Rex ante-litteram.
Sherlock addirittura afferma di preferire l’aiuto di Toby a quello di tutta la polizia londinese. Che sia Toby il vero Watson?

Il segno dei quattro
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4. Anton Čechov e la cagnolina Quinine
Allo scrittore russo Anton Čechov furono regalati due cuccioli di bassotto dal suo editore, Nicolas Leykin.
Al maschio fu dato il nome di Bromine, mentre la femmina fu chiamata Quinine e divenne la preferita dello scrittore. La pigra indolenza di Quinine conquistò Čechov che amava tenere la cagnolina in braccio o sulle ginocchia mentre scriveva. Si racconta che fu Quinine a ispirare all’autore russo la scrittura del racconto La signora col cagnolino (1898).
Nel corso degli anni, Bromine e Quinine ebbero numerose cucciolate e, vent’anni dopo, uno dei loro cuccioli fu regalato a un altro famoso scrittore russo, Vladimir Nabokov. Nabokov infatti utilizzò i bassotti come personaggi in diversi suoi romanzi, tra cui il celeberrimo Lolita.

La signora con il cagnolino
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5. Virginia Woolf e il cane Flush
La poetessa inglese Elizabeth Barrett Browning aveva un cane, un cocker spaniel di nome Flush. Curiosamente Flush è diventato famoso attraverso il romanzo di Virginia Woolf, Flush. Biografia di un cane pubblicato nel 1933.
Attraverso il punto di vista di questo cocker spaniel con il pelo fulvo, la scrittrice racconta la vita di Elizabeth Barrett Browning: del matrimonio con Robert Browning, della malattia della poetessa, della fuga in Italia, e della nascita a Firenze del suo unico figlio.
Woolf in seguito disse di aver scelto di narrare la storia dal punto di vista del cane poiché quest’ultimo “rappresentava il lato più privato e intimo della vita, il lato del gioco”.

Flush
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6. John Steinbeck e il cane Charley
Non possiamo dimenticare il cane di John Steinbeck, che diede il titolo a un libro dello scrittore americano. Del cane Charley lo scrittore racconta in Viaggio con Charley. Alla ricerca dell’America che narra le avventure di Steinbeck, ormai sessantenne, lungo la Statale 66, a bordo della roulotte “Ronzinante”, in compagnia proprio dell’inseparabile barboncino.
Il libro che è oggi ritenuto il testamento spirituale di Steinbeck.
Lo scrittore, premio Nobel nel 1962, era un grande amante dei cani: il suo Setter irlandese Toby fu protagonista di un incidente occorso al primo manoscritto di Uomini e topi. In una lettera alla sua editrice Elizabeth Otis un trentaquattrenne John Steinbeck scrisse:
Una piccola tragedia mi ha perseguitato. Non so se ve l’ho detto. Il mio cucciolo di setter, lasciato solo in casa una notte, ha fatto coriandoli di circa metà del mio libro. Due mesi di lavoro da rifare.
Va detto che Steinbeck all’epoca aveva appena incassato 94 dollari per la consegna di quella prima parte del manoscritto. Immaginiamo la disperazione dello scrittore. Il cucciolo Toby, da parte sua, fu presto perdonato e se la cavò soltanto con una sculacciata con lo “scacciamosche punitivo” usato da Steinbeck all’occorrenza.
Nella conclusione della lettera lo scrittore si scusava di nuovo e garantiva di completare la stesura del manoscritto entro due mesi.

Viaggi con Charley alla ricerca dell'America
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7. I cani di Pablo Neruda
Il poeta cileno Pablo Neruda dedicò numerose poesie ai suoi cani, tra cui la celebre Ode al cane, contenuta nella raccolta Navigazioni e dintorni (1959).
Tra i cani preferiti di Neruda c’era Kuthaka, che gli aveva salvato la vita; quando il cane morì, Neruda gli dedicò una struggente poesie dal titolo Un cane è morto.
Foto in bianco e nero ritraggono il poeta in compagnia dei suoi numerosi cani, Kuthaka, Nyon, Chu Thu sino al piccolo Calbuco, un altro dei suoi preferiti.
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8. Gertrude Stein e il cane Basket
Si racconta che nel 1932 l’iconica scrittrice modernista Gertrude Stein guardando il suo barboncino Basket mentre beveva l’acqua dalla ciotola ebbe un’illuminazione. L’autrice disse che dal rumoreggiare del suo cane con l’acqua riusciva ad acquisire il ritmo della scrittura, distinguendo tra paragrafi e frasi brevi.
Stein aveva una passione per i barboncini bianchi. Lei e la compagna Alice B. Toklas ne ebbero ben tre, tutti di nome Basket.
Questa passione era condivisa anche da un amico della coppia, il noto critico Alexander Woollcott. Sul finire del 1935, Stein gli scrisse un aggiornamento sulle condizioni di Basket numero uno, un cane molto viziato e coccolato che lei e Toklas acquistarono a un’esposizione canina di Parigi nel 1929 e a cui facevano il bagno in acqua sulfurea ogni mattina. Basket era nutrito a pane e zucchero e si racconta che la stessa Stein gli lavasse i denti ogni mattina e ogni sera usando un apposito spazzolino.
Nella lettera all’amico Woolcott, Stein ritrasse un simpatico aneddoto di vita quotidiana che ebbe per protagonista il cane:
Ma voglio parlarvi di Basket. Basket ha fatto una cosa adorabile quando siamo tornate dalla campagna. Non aveva una cesta in cui dormire, in America era così infelice che ha strappato la sua cesta, così quando siamo arrivate a Parigi ho messo a terra una coperta e lui ci ha dormito sopra non troppo infelicemente e poi dopo un paio di giorni, mentre mi capitava di guardarlo, ha deliberatamente cercato di entrare nella cesta del piccolo cane messicano. Ha provato solennemente a sporgersi prima da un lato e poi dall’altro senza mai guardarmi, ma cercando solennemente di infilarsi nella minuscola cesta, è stata una delle cose più comiche e più riprovevoli che abbia mai visto. (...) Insomma è uno sciocco felice, e un grande conforto, e un giorno vi incontrerete. Ora è tutto bianco e pulito, disteso sul tappeto e vi augura il migliore, il più felice dei Natali, come voi lo state augurando a tutti.
Soltanto Gertrude Stein poteva trasformare i capricci di un barboncino viziato in una pagina di letteratura facendone un breve racconto.
9. I cani di Elizabeth Von Arnim
Elizabeth Von Arnim era una donna fuori dal comune che nei suoi libri esibì un humor gustoso e brillante. Anticonformista è anche la sua autobiografia, narrata da un punto di vista unico: quello dei suoi cani, fedeli compagni di una vita. Si intitola I cani della mia vita, fu edita per la prima volta nel 1936; in queste pagine la scrittrice raccontava la propria esistenza dal punto di vista dei quattordici cani che l’avevano accompagnata dalla giovinezza alla vecchiaia: da Cordelia a Coco, dai cani danesi Ingulf, Ingo e Ivo, sino ai suoi sei Fox terrier.
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Pare che gli scrittori non fossero immuni da queste “ispirazioni canine”. Quante incredibili storie celate in questi simpatici amici quattrozampe divenuti protagonisti di avventure di vita vera, alcune persino degne di un romanzo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Scrittori e scrittrici che amavano i cani (e le loro storie)
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