Ai morti si dice arrivederci
- Autore: Luigi Guicciardi
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2021
Cataldo Vincenzo, commissario capo, sessant’anni o giù di lì, da venti nella Questura di Modena, protagonista di altrettanti romanzi polizieschi. Tanti. Certo, Maigret ne vanta settantacinque, ma che vuol dire? Luigi Guicciardi non è Simenon, ma nemmeno l’ultimo arrivato nel pianeta gialli di classe. Ai morti si dice arrivederci è dunque il ventesimo dei mystery del commissariato pubblicati da vari editori. Questo esce per i tipi Damster (primavera 2021, 322 pagine), marchio delle Edizioni del Loggione di Modena, padane come l’autore, critico letterario e già insegnante di liceo scientifico, che si avvia senza fretta alla settantina ed è di origini siciliane.
Anche Cataldo è nato a Catania, sei decenni scarsi fa. Al momento è a dieta rigida, uova in insalata, meno otto chili in dodici settimane e da un mese un accenno di baffi. Ma quello a cui non rinuncerà mai sono le donne, anche se l’ultima di tante fiamme, la ricercatrice di chimica Annalisa, ha lasciato di sé solo un’email tranchant, un lungo capello rosso sotto il lavandino del bagno e il suo profumo sul guanciale.
Nei ragionamenti solitari di Vincenzo si affaccia un accenno di autocritica, che non guasta: forse ci ha messo del suo, la freddezza, l’insensibilità, il non essere mai capace di una tenerezza. Com’è stato con Alice, la moglie, che l’ha piantato da tempo per seguire il compagno avvocato a Reggio Calabria, portando con sé i due figli.
A proposito di Alice: lo chiama spesso al telefono, perché ha paura che lui soffra, ancora più che per informarlo di Eleonora e Francesco. Sono dialoghi stentati, più pause che scambi di battute. Silenzi pieni di significati, che nemmeno loro riescono a comprendere, in un distacco goffo, né vero né falso.
Guicciardi governa con mano sicura il profiling dei suoi personaggi, sempre intricato nelle storie a episodi. Bastano poche pagine e anche chi incontra Cataldo per la prima volta crederà di conoscerlo da sempre: un vecchio amico, pieno di difetti, ma piuttosto in gamba sul lavoro.
Anni di separazione dai figli e mai che sia riuscito a dire quanto gli mancano. Per telefono, via Skype e nelle email si è solo informato banalmente sulla quotidianità: “come va con la scuola?”, “e la danza classica?”, “hai comprato un nuovo computer, bravo”. Eppure, il rimpianto e la nostalgia per tutti e tre gli tolgono il sonno.
Modena è sotto un cielo grigio ferro di tempesta. Suono tambureggiante di tuoni a distanza, ma il peggio deve ancora arrivare. Il questore ha delegato il commissario capo a rappresentarlo in un importante evento culturale. È la presentazione, nel convento delle Pie Operaie di San Giuseppe, davanti alle massime autorità locali, di alcune opere d’arte preziosissime. Sono state ritrovate da un collezionista miliardario senza eredi, restaurate col contributo di un istituto di credito e regalate alle suore.
Si tratta di due capolavori del bolognese Guido Reni che si credevano perduti, Santa Cecilia e l’angelo e Il giudizio di Paride e due quadri della sua scuola, un Boulanger e un Lana. I due soggetti a contenuto religioso saranno esposti sopra l’altare, i due profani nella navata. Datano metà XVII secolo, non sono assicurati, d’altra parte non hanno prezzo, specie i due Reni.
Cataldo ha modo di conoscere due donne considerevoli, oltre a essere testimone casuale di due episodi, una discussione tra la superiora e un giovanotto e la rumorosa protesta di una giovane particolare, ch’è stata reclusa in un carcere minorile.
Il commissario è conquistato dalla moglie di un onorevole, una trentenne snella ed elegante, decisamente bella, ex collegiale in quell’Istituto religioso. Mette anche a fuoco una vecchia fiamma del questore, segnalatagli dal superiore e c’è una terza presenza femminile che lo colpisce, oltre a rivolgergli la parola e a rivelarsi intelligente e interessante. Sulla quarantina, è di quelle che invecchiano bene: occhi grigi, capelli lunghi, volto affascinante con un che di segreto. Più attraente adesso che a vent’anni. Annachiara, modenese purosangue.
A scuotere lo scenario rosa del racconto è la telefonata alle 6 di mattina che riporta Cataldo nel convento. L’anziana suor Alda è rigida nel suo letto. Nessun segno di estranei, la lampada sul comodino accesa, una confezione di compresse vuota. Non stava bene, soffriva, ma rifiutava il ricovero in ospedale, sebbene dovesse entrarci da tempo. Un biglietto manoscritto, sua la grafia, non il testo, una citazione del Qoelet che allude alla morte, ma forse sono due passi diversi.
In serata, suor Alda aveva prenotato la sveglia telefonica per le 7:40 della mattina dopo. Piuttosto contraddittorio per una suicida. Tutto fa pensare a un convento del mistero, tanto più che la defunta era al corrente di tutti i segreti del cenobio. Ma se l’oscurità che avvolge una comunità religiosa attira sospetti evidenti, in questi casi occorrono fior di autorizzazioni in Italia per condurre indagini di polizia e una dose più che abbondante di tatto e cautela professionale, tanto più quando la lista delle morti a sorpresa si allunga a una novizia e a un terzo cadavere.
C’è del marcio sotto un mattone? S’è così, è a Giovanni Cataldo che tocca scoperchiarlo.
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