Al muro del tempo
- Autore: Ernst Jünger
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Adelphi
An der Zeitmauer, saggio prognostico pubblicato da Ernst Jünger nel 1959 e tradotto in italiano da Julius Evola con lo pseudonimo di Carlo D’Altavilla, illustra i mutamenti metastorici alle soglie della nuova Era. Le illuminazioni dell’autore di Der Arbeiter (1932) affondano le radici in un linguaggio rarefatto fino alla più arrischiante sensibilità poetica. Non a caso, Jünger dedica a Heidegger, padre del pensiero poetante, un compendio del saggio ravvivando il sincero confronto teoretico determinatosi anni prima in Oltre la linea (1950).
La chiave di lettura di Al muro del tempo è celata nel mito di Anteo, potente Gigante figlio di Gea e Poseidone. Anteo trae la sua forza dalla Terra, per questo Eracle lo vince sollevandolo dal suolo. Con la vittoria del figlio di Zeus, trionfano le forze celesti e precipitano nei loro stessi recessi quelle telluriche. Sulla linea dell’amico Mircea Eliade, Jünger rivisita la concezione circolare del tempo intendendola però come un ritorno dell’eternità e preferendo l’immagine della spirale a quella del cerchio. Non esiste un progresso unidirezionale: la storia è destinata a mutare tramite la ricomparsa di archetipi irradiati da un trascendente, indistinto Principio che procedono nel tempo diversamente. La storia della terra si sarebbe dipanata finora lungo tre fasi: l’età dell’oro (cosiddetta preistoria); l’età dell’argento (età degli eroi) e l’età del ferro (quella attuale) che prelude a una nuova, imminente trasmutazione. Questa divisione sembra trovare riscontro nell’astrologia per la quale all’era dell’Ariete e a quella dei Pesci (simbolo di Cristo) starebbe subentrando l’era dell’Aquario. Citando Gioacchino da Fiore, Jünger ricorda che a un’era in cui avremmo vissuto carnaliter ne sarebbe seguita un’altra in cui avremmo vissuto literaliter: ora staremmo per vivere spiritualiter grazie alla riemersione delle forze terrestri, a sua volta corrispondente al disfacimento del nomos paterno. Enigmatico sintomo dell’avvicinamento del nuovo ciclo è l“inquietudine anteica” che nell’uomo moderno andrebbe di pari passo con la morte di Dio, cioè, per dirla con Léon Bloy, col suo ritiro, con la perdita del Sacro e con l’avvento del nichilismo. Alla nuova spiritualizzazione, della quale non è possibile definire con precisione i tratti essenziali, pochi aderiranno consapevolmente. Essa preconizza una sublimazione della tecnica che si rivelerà nel suo alchemico significato. È come se l’odierna società fosse l’epidermide del mondo e, alla stregua di quanto accade al serpente, fosse giunta l’ora della desquamazione. O ancora, è come se la terra, forgiata dall’uomo mediante la tecnica, fosse simile a un grande mostro acquatico destinato a precipitare di qui a poco nei suoi stessi abissi. L’uomo ha la possibilità di accogliere la necessaria metamorfosi ponendosi in sintonia con l’affiorare delle novelle forze rinunciando a qualcosa di sostanziale per partecipare, trasfigurato, ad un’altra, incomputabile, forma di libertà:
"Attraverso rapide e cateratte il salmone risale le acque fino ai laghi montani. Perde di peso, perde anche il suo colore smagliante, ma lassù ad attenderlo vi è un nuovo senso. Risalire la corrente, abbandonando il mare e la sua libertà, non avrebbe successo, sarebbe inconcepibile, se ad agire, magnetici, già non vi fossero il lago e la sua libertà".
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