Fotografare gli spiriti
- Autore: Arthur Conan Doyle
- Genere: Horror e Gotico
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2022
Sir Arthur Conan Doyle difensore dei terrapiattisti, dei No Covid e dei “mai stato l’uomo sulla luna”. Per trasposizione dallo spiritismo all’attualità dei negazionisti a tutti i costi, è quello che il noto scrittore scozzese (1859-1930), padre del giallo e della narrativa fantastica, ha realizzato in un pamphlet del 1922, Fotografare gli spiriti, pubblicato da Marsilio un secolo esatto dopo (aprile 2022, 186 pagine, con numerose fotografie riprodotte in bianconero), tradotto e curato da Alessandro Giammei, nella collana Letteratura universale delle edizioni veneziane.
Giammei — assistant professor d’italianistica a Yale dopo la laurea alla Sapienza e il perfezionamento alla Normale di Pisa, autore di articoli e saggi sull’arte e la letteratura del Rinascimento e del Novecento — riprende la prima versione in lingua italiana del volume The Case for Spirit Photography di Conan Doyle, edito a Londra nel dicembre 1922. Più esattamente, il docente romano ha scelto di tradurre la seconda edizione, stampata a New York nel gennaio dell’anno seguente, un testo quasi certamente controllato dall’autore. In effetti risulta marginalmente migliore, con la correzione di poche trascurabili imprecisioni e la scelta di più chiare impostazioni tipografiche.
Una curiosità, estranea al prodotto strettamente attribuito allo scrittore britannico, è la dedica che il prof. Giammei si concede “alla memoria di Zaccaria (o Ezechiele)”, un nodoso spettro dalla lunga barba bianca, apparsogli diverse volte da bambino, sulla soglia della sua camera da letto a Mostacciano, terrorizzandolo.
Conan Doyle volle intervenire a sostegno dell’attendibilità della fotografia spiritica, in qualità di componente della Società per la ricerca psichica e in collaborazione col fotografo del paranormale Fred Barlow.
Mentre la fotografia muoveva i primi passi a metà inoltrata del 1800, a qualcuno dei primi operatori venne in mente un adattamento particolare della tecnica. Fotografi medium effettuavano scatti al buio, durante una seduta spiritica o nei luoghi dove si era verificato un decesso recente. Lo sviluppo mostrava impressa sul positivo l’immagine più o meno evanescente di un’entità spiritica, da considerare una prova della presenza del fantasma del defunto. A Boston, William Mumler attirò la credulità di molti. Sua la prima fotografia spiritica, nel 1861. Si poterono però smascherare manipolazioni in camera oscura e doppie esposizioni, qualche volta davvero grossolane. La tecnica medianica subì presto attacchi violenti.
Mentre montava la contestazione degli scettici e dei razionalisti, sir Arthur rientrava in Gran Bretagna da un tour americano e decise di andare al contrattacco, facendosi forte di quella che riteneva una massa soverchiante di prove affidabili, citate nel libro solo in piccola parte. Non attribuiva però a spiriti e fantasmi ogni manifestazione del sovrannaturale: convinto dell’esistenza di “una vasta terra di confine” tra la realtà e l’aldilà, riteneva che molti effetti fotografici potessero risultare prodotti “da forze conchiuse” nell’uomo stesso.
Il suo intervento ha il tono di una seria e metodica difesa della fotografia spiritica. Sicché, il medico di Edinburgo, inventore del giallo d’intelligenza e padre di Sherlock Holmes, l’interprete più emblematico del razionalismo deduttivo, non solo credeva che si potessero fotografare i fantasmi, ma era convinto di poterlo dimostrare in un libro.
E non è nemmeno la sola eccezione ai principi di realtà e raziocinio: da “convintissimo spiritualista acchiappafantasmi”, Conan Doyle ha firmato altre opere sull’autenticità di spettri, fantasmi, finanche fate. Due sono state edite in italiano: La nuova rivelazione, tradotta nel 1931 dall’avvocato chiaroveggente Francesco Zingaropoli e Il ritorno delle fate, recuperata nel 1992 dal sociologo delle religioni Massimo Intravigne, presidente della Transylvanian Society of Dracula.
D’altra parte, il suo Sherlock ricordava all’amico Watson: eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile dev’essere vero. A sua volta, Doyle sostiene che se non possa che risultare “improbabile” una teoria capace di tenere insieme tutti i fatti noti, “l’improbabile è migliore dell’impossibile”. In altre parole, non potendo negare si può credere.
Per lo scrittore britannico non è assolutamente impossibile che intelligenze incorporee ci osservino di là da invisibili nubi di ectoplasma, come da lui stesso verificato “per esperienza”. Nè si può escludere con certezza che tali intelligenze appartengano ai defunti, capaci di mettersi in contatto attraverso chiaroveggenti, che li aiutano a imprimere le loro sembianze, o alcuni loro messaggi scritti, sulle emulsioni delle lastre fotografiche.
“Tale stato di cose, per quanto improbabile ci sembri, rimane pur sempre nel vasto ed eccitante reame del logicamente plausibile”.
Restano sinistre e un po’ ridicole le immagini, corredate al volume e addotte come prove da Conan Doyle e Barlow. D’altra parte, nel caso specifico i “difesi” erano i praticanti di fotografia spiritica del Circolo di Crewe (un ex muratore di mezz’età, pio e un po’ cafone), sbugiardati dopo diciassette anni di frodi, perpetrate più o meno in buona fede. Pur appartenendo alla stessa autorevole Society for Psychical Research che li smascherava, Doyle si è scagliato pubblicamente contro le dimostrazioni degli scettici, facendo il diavolo a quattro per ristabilire la loro credibilità agli occhi di un pubblico colto.
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