Fuoco all’anima
- Autore: Leonardo Sciascia
- Genere: Storie vere
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2021
“La conversazione ormai si chiama intervista”, dice Sciascia a Domenico Porzio con cui dialoga su problemi di costume e di cultura siciliana narrata anche da viaggiatori stranieri (Brydone, in particolare), di vissuti familiari dai toni umani, scelte e aspettative. E ci tiene a precisare, riferendosi a Borges, che l’intervista si inquadra nei generi letterari. Sono gli ampi orizzonti di entrambi a consentire lo sviluppo di plurimi argomenti senza retorica alcuna e con l’asciuttezza di pensiero e di stile.
Fuoco all’anima (Adelphi, 2021) si intitola il libro che, curato da Michele Porzio, raccoglie le domande di Domenico e le risposte date da Sciascia. Fa da epigrafe un pensiero desunto dall’opera Occhio di capra che ha dato vita al titolo:
Fuoco all’anima. Si dice che sono fuoco all’anima dei momenti di riposo, di ricreazione, di refrigerio. Nel senso che poi, passati quei momenti, il lavoro peserà di più, più si sentirà il dolore o la noia, più il caldo.
Il fuoco, dunque: metafora che sta ad indicare il "diletto" da gustare in uno scambio di idee, generatrici di crescente sviluppo. Di pagina in pagina scorrono con naturale spontaneità i colloqui avvenuti lungo il 1988 e il 1989 a Milano e a Palermo; pare proprio di leggere un racconto dell’anima dal gusto della "diceria", secondo il significato attribuito al termine da Brunetto Latini e ripreso dal Tommaseo. Lo compongono minuscole tessere di un mosaico che nella mente del lettore si intersecano, provocando le sue personali considerazioni. Ed ecco un esempio su un aspetto cardine della scrittura sciasciana:
“Ma allora perché c’è tanta gente che insegue il genere di felicità che dà il potere?”
“Perché l’uomo mediocre sente l’appagamento che dà il potere, il fatto di avere un potere sugli altri. Mi sembra un segno inconfondibile della mediocrità questo desiderio di sovrastare gli altri, di dominarli, di avere un potere su di loro.”
È il Settecento l’epoca delle grandi speranze, un secolo anche per la gioiosità della dimensione corporea, vissuta, chiarisce Sciascia, senza tormentose passioni.
Immancabile il riferimento a Diderot per il quale la conoscenza è intesa come strumento per raggiungere la verità:
“si mise all’opera e fece l’Encyclopèdie. Fu la punta di diamante di tutto quel gruppo”.
Da qui l’accostamento di Savinio col francese: due menti aperte, supremamente laiche e altruiste. E la conversazione coinvolge anche il De vita beata di Seneca, le cui affermazioni sono cesellate da Sciascia con pensieri desunti dalle sue esperienze. A seguito dell’accenno su Pirandello, Kafka e Borges, Sciascia è esplicito:
La loro speranza sta nel fatto di scrivere. Perché non c’è pessimismo che sia definitivo quando lo si scrive. Lo scrivere è sempre un atto di speranza.
Passano in rassegna con riferimenti concreti il sentimento dell’ingratitudine, i segni di riconoscimento dell’adulatore, dello stupido, del tiranno, il diletto della scrittura ("Per me scrivere è una cosa allegra").
Nel 1989 Sciascia è in dialisi, ma in piena attività. Porzio lo trova “stanco e afflitto”, ma la sua attività continua malgrado le sue precarie condizioni: è appena uscita la nuova edizione del suo Alfabeto pirandelliano e gli dice che ha finito di scrivere un libro (“un racconto giallo, fantastico”). Parlano così del racconto che sta per pubblicare da Adelphi, Una storia semplice: la genesi, il titolo, l’investigatore. Anche del libro Il cavaliere e la morte. Ci sono il sapere e il gusto in certe rievocazioni del tempo della giovinezza quando con gli amici si passeggiava lungo le strade discutendo sui massimi e sui minimi problemi:
“Sono finiti i caffè letterari, il colloquio stesso. Eppure colloquiare significava non soltanto chiacchiera, ma esperienza, urbanità (…). Non ci si incontra più”.
Piace questo libro anche per la leggerezza della scrittura: vi si trovano un po’ la confessione, un po’ di sfogo e tanti riferimenti letterari che vanno ripresi e meditati. Non a caso il capitoletto di chiusura, in cui Michele Porzio riferisce sulla genesi del libro, si intitola “Voci giunte a futura memoria”.
Fuoco all'anima. Conversazioni con Domenico Porzio
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