I perduti amori
- Autore: Giorgio Ghiotti
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2024
Lascia interdetti, piacevolmente sorpresi che un ragazzo di trent’anni abbia già accumulato tanta perizia nelle parole da metterle in versi.
La sua poesia è già evocativa ed elegiaca, giacché chi scrive prende totalmente sul serio questo ricercare e non trovare un perduto amore, che è andato via per permettere all’autore dei versi di crescere così tanto, tanto da diventare mentore per futuri poeti. La sua è la storia di una mancanza, racconta di qualcosa che si è rotto nella realtà e sembra trattarsi di un amore o del fantasma di più amori che non stanno più in piedi.
Dal titolo I perduti amori (Il Simbolo edizioni, 2024, prefazione di Maurizio Gregorini) , uno si chiede dove Ghiotti abbia trovato la forza per poetare in questo sfacelo di sentimenti. Sempre elegantissimo, mette nella sua narrazione poetica i trascorsi borghesi di una famiglia felice a modo suo, anche se in realtà in un gioco di specchi la madre prende il sopravvento:
- sul terzo gradino / della scalinata - in via Fonteiana /dove - stesso liceo, un anno / in indietro mio padre, mia madre / studente modello - sedettero / loro in egual misura - in diversa / storia che avrebbe raggiunto la tua storia, la mia storia - devoti / a un’ idea di futuro...
Maurizio Gregorini scrive nella prefazione:
Sia la dolcezza, quanto la crudeltà, vengono qui evidenziate in una forma che è ricezione e irruzione: il conflitto interiore del cuore, la lotta tra la carne e lo spirito, sono oggi evocati in un affresco narrativo, poetico di raro incanto...
In questo “amore perduto”, non si capisce se è solo il pensiero di perdere la persona amata, o di una persona che amata non lo è stata mai.
La poesia di Ghiotti è attraversata da un incanto, come si scrive nella prefazione, che è anche ambiguità.
Anche se i segnali di uno spaesamento ci sono tutti:
Quasi morto ho creduto lo splendore / disperso in sottopassi grigio cenere / a notte alta, quando più nemmeno / il tram si aspetta, ma si intuisce al fondo / del viale una luce fioca che potrebbe / darsi un miracolo - ma a quest’ora così tarda, poi un miracolo!, nemmeno / li fabbricano più da queste parti / e nondimeno credo che è circostante / lo splendore, ed è l’unico Paradiso / che avrai a godere.
Non è facile vivere con l’unico paradiso che meritiamo in terra, perché poi non c’è niente. Ma Ghiotti non si smarrisce evocando dicerie metafisiche. È troppo preso da questo Antinoo casalingo che è andato via o è stato cacciato o si è innamorato di un altro.
Perché più che il paradiso il poeta conserva ricordi carini di una quotidianità “carina” che però spezza il cuore, perché poi anche il lettore si beve i gesti che ci ricordano una vita di coppia:
Gli scaldavo - era inverno, / di notte - i piedi sotto / le lenzuola / come una minestra - ma è triste - / mente noto il detto, e nessun / detto consola.
Quanta perizia e cesello di uno scrittore poeta come Giorgio Ghiotti che in esergo mette Ingeborg Bachmann nel suo racconto capolavoro Il trentesimo anno, pubblicato da Adelphi, quando scrive che a trent’anni si è ancora giovani, ma già si prospetta l’essere adulto e, mese dopo mese, si entra in una maturità e dove appare la vecchiezza.
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