Il corso delle cose
- Autore: Andrea Camilleri
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sellerio
"Il corso delle cose" (Poggibonsi, Lalli 1978; Palermo, Sellerio 1998), la cui epigrafe è data da un pensiero di Merleau-Ponty (Il corso delle cose è sinuoso), è il primo romanzo scritto da Camilleri. Ha come trama un giallo sui generis e contiene in embrione una buona parte degli ingredienti riguardanti la successiva serie del commissario Montalbano. Sebbene non risulti indicato il nome del paese in cui i fatti si svolgono, è facile identificarlo con Porto Empedocle, dati i riferimenti geografici che lo caratterizzano. E’ in una sorta di postfazione, intitolata “Mani avanti”, che lo scrittore chiarisce la contaminazione da lui operata di lingua e dialetto: il mio miscuglio, afferma, ha l’esito di un’espressività che sarebbe mancata se le parole dialettali usate fossero state sostituite da un vocabolario nazionale rifiutato dal modo quotidiano di parlare. All’ “esempio” della scrittura di Gadda, come egli stesso chiarisce, deve molto per averlo indirizzato a una ricerca certamente lunga e impegnativa, ma proficua per la messa a punto di un linguaggio innovativo.
L’incipit del romanzo è paesaggistico. Al tramonto, il profilo frastagliato di Capo Rossello spicca controluce, mentre da levante nuvole d’acqua si muovono verso il paese, posto ai piedi della collina. In un terreno, fuori dell’abitato, si trovano il maresciallo Corbo, il carabiniere Tognin e un contadino che si era già precipitato in caserma a raccontare la scoperta di un morto, identificato adesso con il pastore Mirabile Gaetano. L’indagine, che fa leva sul costante appello della ragione, si sostanzia di nuovi dati con l’arrivo di Bartolini, capitano della Finanza. Costui parla di un traffico di droga e racconta che il Mirabile, ad insaputa dei faccendieri, se ne era impossessato di una certa quantità. Il maresciallo gli fa presente che, il giorno stesso in cui l’avevano trovato ammazzato, in paese erano stati sparati due colpi a vuoto contro l’incensurato Vito Macaluso. Perché qualcuno se la stava prendendo con lui? Quale la sua sorte?
In tutto questo, non poteva mancare il motivo del grottesco che in Camilleri è una dimensione privilegiata. Lo si ritrova, ad esempio, nel comportamento di “Peppi monacu”, stravagante personaggio cornificato sì dalla moglie Giovannina, ma che ogni tanto la va a trovare e può sparare a dritta e a manca per far capire della sua “botta d’onore”. Al caffè, dove ognuno sa di tutti e tutti discutono di ciascuno, si pensa che sia stato lui a inscenare i due colpi contro Macaluso. La spiegazione data, che è certamente da commedia dell’umorismo, richiama la sorte toccata al Ciampa di Pirandello:
Perché Vito è il più fesso di tutti. Lui fa finta di sparare a Vito e si salva l’onore, mentre se si arrischia di puntare a me o a te, noi lo prendiamo per il fondo dei pantaloni e lo facciamo volare a mare.
Anche l’epilogo ha un’accattivante valenza paesaggistica:
La collina di marna candida a strapiombo sul mare, appena fuori paese, era chiamata “Scala dei turchi” perché pare che nell’antichità i pirati saraceni vi facessero fermata, in attesa del vento a favore per le loro scorrerie scappa e fuggi: ancora oggi, ogni tanto, affioravano fra le rughe della marna pezzi di ferro, chiodi e pallettoni mangiati dalla ruggine, resti di vecchie battaglie.
E’ su un grande scalone di marna che tragicamente si compie la vicenda in cui l’illegalità s’intreccia con la casualità di certi eventi. Quando Corbo e Tognin giungono sul posto, è ormai tardi: due uomini si erano reciprocamente uccisi, uno di loro era il Macaluso. I paesani attribuiranno la causa del duplice delitto alla gelosia per una donna. Era vero? Si erano svolti proprio così i fatti narrati dall’agile e corposa scrittura di Camilleri?
Il corso delle cose
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