Il giardino di cemento
- Autore: Ian McEwan
- Casa editrice: Einaudi
"Non ho ucciso mio padre, ma certe volte mi sembra quasi di avergli dato una mano a morire".
Questo è il duro incipit de "Il giardino di cemento" di Ian McEwan, uno dei più acclamati autori stranieri contemporanei.
La voce narrante è quella di Jack: al momento della morte del padre, lui era in bagno intento in un’intensa masturbazione e al momento della scoperta del malore del padre (già colpito da infarto) durante la costruzione di un muro di cemento tutt’intorno il giardino (da qui il titolo del romanzo) non chiese subito aiuto, preso dallo stupore di un evento così violento, ma così normale come la morte.
La madre, un tipo arrendevole, non sembra così sconvolta dalla morte del marito, tanto da far ipotizzare a Jack, durante una discussione con le sorelle, Julie e Sue, che in realtà non le piacesse davvero; l’uomo in realtà aveva un carattere irascibile, temuto da Tom, il più piccolo dei quattro fratelli.
La vita sembra andare avanti, in una sorta d’inerzia, puntellata solo dall’attrazione morbosa fra Jack e Julie, che sfocia più volte in "contatti fisici" anche piuttosto ravvicinati, e nella misteriosa malattia della madre, che passa la maggior parte del tempo a letto.
Mentre il piccolo Tom è sempre più terrorizzato da tutto (scuola inclusa), si avvicina la fine; muore pure la madre, ma i ragazzi, che non hanno una vita sociale (e neppure più parenti, come si evince da un capitolo dove Jack descrive il funerale di un indefinito zio, a cui hanno partecipato i genitori), decidono di tenere nascosta a tutti la morte della donna, in una sorta di isolamento catartico e autosistruttivo...
Con “Il giardino di cemento”, McEwan firma una specie di "Piccole donne", ma molto più drammatico, dove si ride poco (eccetto per i capricci del piccolo Tom, il personaggio più tenero e buffo fra tutti), con uno stile troppo asciutto e ansiogeno; un buono spunto, molte volte sprecato in passaggi troppo ameni, con l’unica nota di colore nel flashback nel quale Jack ricorda una mattina in cui è rimasto a casa, fingendo una febbre inesistente, che riporta i lettori a quel ricordo lontano che è la nostra infanzia.
Il giardino di cemento
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Profonda delusione da questo romanzo del bravo Ian Mcewan, che non sembra essere lo stesso di "Espiazione" e "Miele".
Dietro la storia di quattro ragazzi, due ragazze e un ragazzo col fratellino piccolo, ala morte prima del padre e poi, dopo lunga malattia, della madre, non c’é un minimo di pathos, di introspezione, di empatia; solo la curiosa lettura per capire il fine della trama e il suo epilogo. Che alla fine lascia, almeno per quel che mi riguarda, spenti, delusi, attoniti, quasi increduli, che l’autore sia lo stesso che ha potuto sfornare altre trame di eccelsa qualità.
Non posso che sconsigliarne la lettura, soprattutto a chi come me, stima e segue il suo autore.
Certo che se ne raccontate la trama, il pathos viene ancora più a mancare... Non si poteva approfondire la seconda parte dell’analisi, senza raccontare e anticipare tutto?