Della poesia friulana di Pier Paolo Pasolini “Il dì da la me muàrt”, letteralmente Il giorno della mia morte, esistono due versioni: la prima del 1944-49, pubblicata nella raccolta La meglio gioventù; la seconda del 1974, che si trova nella silloge La nuova gioventù. Entrambe sono introdotte dalla seguente epigrafe:
...se il chicco di grano, caduto in terra, non morirà, rimarrà solo, ma se morirà darà molto frutto.
Tratto dal Vangelo di San Giovanni (12.24) citato da Dostoevskij.
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia.
Il giorno della mia morte di Pasolini: analisi e commento
Nei versi dell’incipit, quelli del ‘49, così Pasolini annuncia la propria morte:
Ta na sitàt, Trièst o Udin iu par un viàl di tèis, di vierta, quan’ ch’a múdin il colòur li fuèis, i colorài muàrt sot il soreli ch’al art biondu e alt e i sieratàil li sèis lassànlu lusi, il sèil.
(Traduzione: In una città, Trieste o Udine, per un viale di tigli, quando di primavera le foglie mutano colore, io cadrò morto sotto il sole che arde, biondo e alto, e chiuderò le ciglia lasciando il cielo al suo splendore).
L’idea di morte, quella fisica, per Pasolini è l’oscurità rispetto allo splendore del cielo e ai colori della primavera E prende forma la morte del poeta nell’assenza della realtà quando invece la vita continua a fluire nella luce.
Sot di un tèi clìpt di vert i colorài tal neri de la muàrt chà dispièrt i tèis e il soreli. I bièi zuvunùs a coràran ta chè lus ch’i pena pierdùt cui ris tal sorneli.
(Traduzione: Sotto un tiglio tiepido di verde, cadrò nel nero della mia morte che disperde i tigli e il sole. I bei giovinetti correranno in quella luce che ho appena perduto, volando fuori dalle scuole, coi ricci sulla fronte).
La stasi e il dinamismo della corsa, dunque: una poesia dal linguaggio ossimorico che contrappone il regno dell’Ade a quello di Afrodite. Inesistente ormai la bellezza che la dea offre con tutte le sue raffinatezze.
Viene meno l’esperienza fisica del piacere: la corsa dei ragazzini è metaforica e psicologica, è un movimento verso la gioia vibrazionale.
Il dualismo è tra la pienezza dell’Eros e il vuoto di Thanatos, tra la parola calda dell’anima e l’annullamento dell’energia manifestata dal sole, simbolo rigeneratore per eccellenza.
Dolcissimi i versi dell’epilogo che esprimono il rammarico per non poter più vivere:
Jo i sarài ‘ciamò zòvin cu na blusa clara e i dols ciavièi ch’an plòvin tal pòlvar amàr. Sarài ‘ciamò cialt e un frut curìnt pal sfalt clìpt dal viàl mi pojarà na man tal grin di cristàl.
(Traduzione: Io sarò ancora giovane, con una camicia chiara e coi dolci capelli che piovono sull’amata polvere. Sarò ancora caldo, e un fanciullo correndo per l’asfalto tiepido del viale, mi poserà una mano sul grembo di cristallo).
Col rito magico del toccamento, come a volere richiamare in vita chi è morto, si conclude questa struggente e melanconica poesia ancorché vi possa cogliere un senso di speranza: quello stesso gesto del tatto che, opponendosi all’assenza d’amore, lenisce paure e angosce.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il giorno della mia morte”: l’annuncio profetico di Pier Paolo Pasolini
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