Il mondo di ieri
- Autore: Stefan Zweig
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Mondadori
Il mondo di ieri è la biografia dell’autore Stefan Zweig, ambientata in Austria negli anni precedenti alla Prima Guerra Mondiale. È un periodo di pace, caratterizzato da progresso, ebbrezza, libertà, spensieratezza, all’insegna dell’arte, letteratura e musica. L’autore tratta dell’ingenua generazione vissuta nel periodo immediatamente precedente e dilaniata dalla guerra, o morendovi o vedendo spazzati via tutti i sogni e le illusioni in cui aveva creduto, senza nemmeno immaginare cosa li aspettava. La Belle Epoque, dopo la guerra franco-prussiana, aveva diffuso in tutta Europa una ventata di progresso, di felicità, di arte e liberazione dall’oppressione bigotta dei costumi e arretratezza del mondo, ritenuto fino allora antiquato e povero. Il benessere era diffuso, il Parlamento emanava leggi giuste, le persone potevano apprezzare le gioie dell’arte, della letteratura, del teatro. E lo stesso periodo delle guerre coloniali, violente e terribili come sempre, ma l’Europa è troppo prospera e pacifica perché si possa preoccupare di conflitti che si combatte a migliaia di chilometri. Gli intellettuali – fra i quali c’è anche l’autore – vivono beati nel loro mondo idilliaco, sognante, felice, fatto di cultura e conoscenza. In questo clima, la guerra arriva veloce, inaspettata, devastante, trascinando ogni uomo, volente o nolente. Zweig fugge in Svizzera, neutrale e isolata rispetto a un continente sceso in guerra. Il ritorno in patria è terribile, con la vista del suo paese distrutto, povero, dilaniato, svuotato.
Durante il racconto, il protagonista narratore mette spesso in contrapposizione il periodo beato precedente alla guerra, evocando anche con il modo di scrivere beatitudine, felicità e spensieratezza, e quello che vede la sua nazione massacrata dal primo, terribile, conflitto mondiale. Zweig riesce a ricreare lo stato mentale che aveva all’epoca, torna in quel mondo magico e meraviglioso che ha vissuto in giovinezza e anche quando narra la fine di quel mondo e della situazione che vive, le sue frasi sono poche, brevi, riuscendo a condensare in poche parole l’amarezza che vive, amarezza che forse non ha nemmeno bisogno di essere manifestata con particolari artifici stilistici, dato che basta la descrizione degli eventi per esprimerne la tragicità. A volte gli capita di menzionare anche la situazione che vive durante la redazione del libro, la seconda guerra mondiale, durante cui si è ritrovato costretto a fuggire dalla sua patria che lo rinnega come artista, in quanto ebreo.
L’autore non può quindi che ritornare con la mente al "mondo di ieri", che dà il titolo al libro, alla realtà felice che aveva conosciuto in passato, come se lo stesse ancora vivendo, perché in realtà sente ancora di far parte di quel mondo, ormai perduto, desideroso di credere anche solo a un’illusione.
Recensione di Tancredi Pascucci
"Austria felix" è un’espressione sintetica che ben esprime lo spirito di tolleranza, il sentimento mitteleuropeo di unione e confronto pacifico e multietnico tra i popoli, tratto caratteristico dell’ex impero asburgico. Ne dà testimonianza Stefan Zweig nella sua autobiografia Il mondo di ieri, ricordi di un europeo (Mondadori, pp.392, 2017, trad. Lavinia Mazzucchetti).
Il romanzo-saggio, spaccato fedele di un’epoca tramontata nell’assetto politico ma soprattutto nel sentire, nei valori umani, scorre in splendide pagine dense di riflessioni, attualissime oggi.
L’impero, e Vienna che lo rappresentava, era la realtà sociale che concedeva la più vasta libertà individuale, mai più goduta dallo scrittore. Non si tratta dunque soltanto della malinconia di un esiliato ebreo perseguitato dal nazismo. Il testo è del 1941. Certamente è perdita delle radici e tragedia della Shoah, ma la sofferenza nasce anche dalla consapevolezza di una condizione che per l’autore non ha soluzione:
"Il senso di massa e di gregge non aveva raggiunto nella vita pubblica la ripugnante potenza che ha oggi; la libertà dell’agire privato era considerata - cosa oggi appena concepibile - legittima e sottintesa; la tolleranza non veniva come oggi disprezzata e ritenuta debolezza, ma esaltata quale energia morale.”
È una denuncia lucida e forte della massificazione e uniformità del pensiero negli anni della seconda guerra mondiale. La Vienna antecedente alla prima guerra era un’autentica metropoli in cui tutti potevano trovare il proprio posto senza essere coartati.
"Noi potevamo dedicarci indisturbati alla nostra arte, alle nostre predilezioni intellettuali, plasmando più personalmente l’esistenza privata. Potemmo anche vivere da cosmopoliti perché il mondo intero ci era aperto dinnanzi. Viaggiavamo senza passaporto e senza permessi dove ci piaceva, nessuno ci chiedeva le idee, l’origine, la razza o la religione.”
A Vienna aleggiava uno spirito giocoso, con i teatri, il culto della musica e delle arti, la frequentazione dei caffè in cui erano disponibili gratuitamente le gazzette e le riviste non solo tedesche ma francesi, inglesi, italiane. Nelle scuole si studiavano due e anche tre lingue. Fu una stagione miracolosa per la fioritura di talenti, in gran parte provenienti dell’intellighenzia ebraica.
Bastino, tra molti altri, tre nomi di personalità geniali, maestri nei loro settori: Mahler, Hofmannsthal, Freud. Ricordiamo la grande Secessione viennese, rivoluzione in pittura. I giovani erano impregnati di alti ideali e sete di conoscenza. Anche a Trieste, porto di Vienna, si respirava la stessa aria di libertà, benessere economico, tolleranza religiosa. Joyce amò Trieste scrivendo a Nora, la moglie, di portarla nel cuore.
L’unione europea esisteva dunque nei fatti...
Le ombre di tanto splendore stavano nella rigidità dei programmi scolastici, nell’autoritarismo degli insegnanti; Zweig definisce il suo liceo "un carcere". Contrasto stridente con la situazione culturale della città, votata alla gioia e alla bellezza.
Un altro elemento conturbante, prodromo della futura dittatura, si intravedeva nella tracotanza e nelle prepotenze esercitate dalle corporazioni studentesche goliardiche. Già in quell’ultimo scorcio di secolo alcune associazioni universitarie, sulla scia di quelle germaniche, iniziavano a perseguitare gli studenti semiti, facendo della razza un motivo discriminante. Per tradizione medievale l’università costituiva un mondo a parte, difeso e arroccato su privilegi anche legali, tanto che la polizia non poteva penetrare negli edifici, che godevano un’immunità secolare. Entro le mura dell’ateneo i ragazzi ebrei venivano vessati e perfino manganellati e spesso scorreva il sangue.
Un capitolo centrale del libro è dedicato ai costumi sessuali dell’epoca, estremamente castigati e repressivi.
Già durante l’università Zweig, figlio di industriali abbienti, poteva permettersi viaggi all’estero, a Berlino, a Bruxelles, a Parigi. Ovunque tra intellettuali si respirava la stessa aria serena; egli offre ritratti memorabili di grandi artisti come Rodin, Rilke amatissimi e molti altri, pensatori come Rudolf Steiner, votati come lui stesso alla ricerca della libertà individuale. In nome di quest’ultima, rifiuta di far parte del movimento sionista, alieno e lontano per indole da ogni associazione, pur dando del suo fondatore, Theodor Herzl, la visione di un grande uomo generoso.
Lo seguiamo nelle vicende e nella tragedia crescente che lo porta ad emigrare in Brasile. Il nazismo da lui è visto come scatenamento di forze aggressive inconsce, è il male che cova in ognuno. Se non compreso e vinto dal bene, determina la fine della civiltà. Leggiamo:
“Noi fummo costretti a dar ragione a Freud, allorché egli
riconobbe nella nostra cultura e nella nostra civiltà solamente un sottile
diaframma, che ad ogni momento può essere sfondato dagli impulsi distruttivi
del mondo sotterraneo, e noi abbiamo dovuto a poco a poco abituarci a vivere
senza un saldo terreno sotto i piedi, senza diritti, senza libertà, senza sicurezza.”
Zweig muore suicida, insieme alla giovane moglie, a Petrópolis, in Brasile, nel 1942. Fu vittima di una ricorrente crisi depressiva. Sento di affiancare al grande scrittore la figura di Catone, come la descrive Dante nella sua potenza morale: per essi meglio morire, rifiutare la vita, quando la libertà è morta.
Recensione di Graziella Atzori
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