L’inverno della morte rossa
- Autore: Pierpaolo Brunoldi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2022
È curioso che un romanzo storico rechi in appendice una bibliografia di riferimento, per quanto essenziale: otto testi, compreso Procopio da Cesarea e passando per la vita e le opere di Benedetto da Norcia secondo Anselm Grun.
Ancora una volta, Pierpaolo Brunoldi e Antonio Santoro si sono documentati a fondo, prima di affidare alla cura delle edizioni romane Newton Compton il nuovo nato, il thriller nell’Alto Medioevo L’inverno della morte rossa, collana Nuova Narrativa Newton, settembre 2022, 281 pagine.
Il lombardo Pierpaolo Brunoldi ha studiato veterinaria prima di scegliere l’arte scenica, da sceneggiatore e il teatro, da attore e drammaturgo. Antonio Santoro, originario di Cava dei Tirreni, dopo l’Accademia nazionale d’arte drammatica e conclusi gli studi al Dams, è anche lui attore, sceneggiatore, autore teatrale, regista.
I consumatori di buona letteratura d’azione li conoscono però entrambi come scrittori di thriller storici, romanzi “intelligenti” e molto apprezzati. A quattro mani, narrano le vicende di storia e avventura che hanno appassionato il pubblico fin dal primo titolo, La Fortezza del castigo (2018), esordio di Bonaventura da Iseo, il francescano investigatore del XIV secolo, seguito da Il monastero delle nebbie nel 2019 e l’anno successivo da La profezia del tempio perduto, tutti con la livrea della scuderia di via Panama ai Parioli, quindi per i tipi Newton Compton Editori in Roma.
Se fra’ Bonaventura - eccellente detective ante litteram, secondo gli autori - agisce nel 1200, variamente interpretato dagli scrittori di narrativa storica, il VI secolo in cui si svolgono le vicende di questo romanzo è di fatto inesplorato in letteratura. Resta defilato perfino nei libri di storia, per non dire di quelli scolastici.
Carestie, guerre, invasioni dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente: è uno dei periodi più oscuri del Medioevo e lo sarà convulsamente quantomeno fino a Carlo Magno, quindi dal 476 all’800. Si tratta di decenni molto turbolenti e tuttavia poco raccontati nei romanzi, che videro tra l’altro regnare Amalasunta (498-535), figlia del re Teodorico e reggente dal 426 del Regno ostrogoto in Italia, a nome del figlio Atalarico, appena decenne all’atto della successione.
Il sogno della principessa ravennate era la pacificazione tra i Goti e quanto restava della classe dirigente dell’antica Roma. Si scontrava tuttavia con una realtà di pesante conflitto tra le popolazioni “barbare” e gli eredi della decaduta civiltà latina.
Le due culture sono rappresentate da due campioni nelle pagine di Brunori e Santoro, un cavaliere goto e un giovane senatore.
Il conte Optari, alto, imponente, biondo e baffuto comandante della guardia reale, già stratega del grande sovrano ostrogoto Teodorico, è ora responsabile della sicurezza della famiglia regnante. Avrà immediatamente il suo da fare alla notizia del ritorno in azione di un temibile brigante, che uccide e saccheggia, violando le leggi del Regno. Si fa chiamare Lupo Scarlatto. Lo dicono in movimento verso Subiaco, dall’Adriatico al Lazio meridionale. Dove passa, niente resta in piedi.
“È tornato dall’inferno!”, con la sua banda di predoni che indossano maschere bianche. Ha già inflitto a Optari la distruzione della casa e la perdita di un affetto caro. Il guerriero goto assapora la vendetta, perché la regina gli chiede di guidare una dozzina degli uomini migliori a Subiaco, dove un buon eremita ha raccolto dei seguaci in un cenobio. Teodorico gli ha concesso per riconoscenza di fondare monasteri dovunque, nel territorio del Regno. Il re aveva condotto la sua bambina malata presso la grotta in Ciociaria dove si diceva vivesse in solitudine un monaco con poteri miracolosi. Amalasunta ricorda solo una voce calma e profonda, una nenia... ed era stata liberata dal brutto male.
Quel monaco eremita era Benedetto da Norcia, che svolge la missione affidatagli da Dio di fondare monasteri. Il numero dei seguaci aumenta ogni giorno. Dalla sua comunità nascerà il monachesimo occidentale.
527 d.C.: Brusco risveglio a Subiaco per il venerabile padre Benedetto, nel monastero di San Clemente. Viene informato che un fratello è cadavere in un crepaccio. L’incubo che lo ha spaventato nel sonno continua. Sente che Marcello è stato ucciso e che l’assassino li colpirà uno a uno, se non riuscirà a fermarlo. Teme che si nasconda tra “i suoi figli”. Chiede l’aiuto di Roma.
Papa Felice incarica un nobile di fiducia di condurre a Subiaco un’inchiesta riservata. Il prescelto è un venticinquenne dal fisico longilineo, i capelli corvini, il naso e le labbra sottili, Tiberio, già noto in Senato per i discorsi contro la corruzione.
Soffre profondamente per la decadenza dell’Urbe e osserva con pena le rovine provocate dalle invasioni dei barbari. Auspica di far tornare grande l’impero, unendo due popoli, la forza nuova dei Goti e la cultura antica dei migliori Romani.
È lo stesso obiettivo di Amalasunta, che regge il trono a Ravenna, una donna che descrivono saggia e volitiva, educata alla sapienza dei greci e dei latini e anche di ineguagliabile bellezza.
Accanto al senatore cammina un vispo dodicenne, Lucio, nato in un villaggio della Tuscia. L’intelligenza viva e il senso dell’umorismo lo hanno reso il prediletto di Tiberio, che gli ha fatto studiare le lettere e lo tratta come un figlio.
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