L’ultimo comandante di Roma
- Autore: Douglas Jackson
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2023
400 d.C., Britannia centrale attraversata dal Vallo di Adriano, il muro fortificato a difesa del territorio meridionale fino alla Manica, controllato dall’Impero di Roma e dalle Legioni da trecentocinquant’anni. Tribù native aggressive continuano a fare scorrerie contro le popolazioni sottomesse a Roma.
La guerra con i Pitti non finisce mai: sconfitti cento volte, continuano ad arrivare, ma quelli che hanno assalito Alona, lungo la linea del Vallo, stanno per imparare che la Lupa non ha perso le zanne.
Lo scrittore scozzese di romanzi storici Douglas Jackson è lapidario nella rappresentazione della violenza reciproca tra Romani e nativi dell’isola, nell’ennesimo historical in peplum, The wall. Con il titolo L’ultimo comandante di Roma e nella traduzione di Vittorio Ambrosio, è in diffusione in Italia per i tipi Newton Compton (agosto 2023, 416 pagine), come le altre storie del fenomenale romanziere anglosassone, appassionato di storia romana, giornalista per trentasei anni prima di darsi alla narrativa e di farsi conoscere e apprezzare in almeno dodici Paesi del mondo.
Eravamo abituati alle avventure di Valerio Verre, nell’altra popolare saga jacksoniana: che differenza di costumi e situazioni, però e di decenni, tra l’Impero dell’Urbe del I secolo in cui si svolgevano e questa età decadente, al tramonto del dominio di Roma, nelle vicende britanne di Marco Flavio Vittore, prefetto al comando della Prima Ala Pannonia di Sabino o Ala Sabiniana, cavalleria dell’esercito imperiale.
Chiamano tutti i nemici “Pitti”, Picti, ovvero “uomini dipinti”, perché si tatuano fittamente il volto e il corpo. Marco si batte in Britannia da vent’anni, conosce bene la lingua, cerca di tenerli a bada con le buone (accordi) e con le cattive (rappresaglie). Sa bene che si distinguono in clan, secondo l’appartenenza tribale: Novanti, Damnoni, Selgovi, Votadini.
Ha seguito un’infiltrazione di Pitti, lasciando che aggredissero il villaggio di Alona, duecento anime, per infliggere una lezione tanto ai buoni che ai cattivi. I popolani devono subire la violenza letale dei barbari, per provare odio nei loro confronti. I ribelli devono incontrare la vendetta spietata di Roma, come insegnamento severo.
Marco circonda gli incursori con la sua cavalleria, sorprendendoli impegnati a torturare gli abitanti superstiti, per far confessare il nascondiglio di ogni bene prima di ucciderli. Sette Pitti morti, cinquantasei prigionieri, di cui comanda la punizione. Fa linciare dai popolani liberati il loro capo, un colosso ringhiante e ordina di tagliare agli altri entrambe le mani.
Esegue personalmente la prima mutilazione. I polsi recisi vengono subito cauterizzati col fuoco, per assicurare la sopravvivenza del punito. Lascia illeso un giovane, che incarica di accompagnare i mutilati dal capo tribù, per ammonirlo sul destino di quanti infrangono i patti. Un’altra insubordinazione e i suoi guerrieri torneranno senza occhi e senza lingua.
Davvero impressionante la lezione impartita a fil di spada da Marco Flavio Vittore, il Signore del Muro.
Un impero non crolla di colpo, non muore e basta, prima s’indebolisce, poi si sfascia. Quello di Roma, non è nemmeno uno solo nel 400, ma due: d’Oriente, con capitale Costantinopoli e d’Occidente, tra Roma, Milano e Ravenna. In una difficile alleanza, il potere è nelle mani di due fratelli, Arcadio e Onorio, figli dell’imperatore Teodosio. Il secondo, più giovane, si regge in Europa grazie a Stilicone, consigliere militare germano.
In Britannia, il prefetto Vittore è certamente un punto fermo, col suo carattere di ferro e la conoscenza di luoghi e usi locali, ma la Legione non ha più la solidità di secoli prima e la compagine è decisamente disomogenea: metà dei soldati e cavalieri a disposizione lungo il Vallo discendono dagli ausiliari che avevano presidiato il territorio britannico occupato: Pannoni, Batavi, Traci. Tungri, Asturi. Sono arruolati perfino due Pitti, inseparabili da Marco, Giano e Giulio. Catturati da ragazzini, cresciuti da legionari, sono ben felici di tagliare la gola ai consanguinei.
Ci sono anche un greco, il medicus Zeno; un africano, il numida Senecio, che sembra nato sopra una sella; cinque o sei disertori dalla Legio Victrix, disposti ad affrontare la disciplina rilassata dei limitanei, le truppe di frontiera sul Vallo rispetto a quella rigida dei comitatenses, le formazioni regolari di linea. Il resto degli uomini del prefetto sono britanni della tribù fedele dei Briganti.
È Brigante anche Valeria, nata nove anni dopo dalla stessa madre di Marco e capace di fare qualsiasi cosa sappia fare un maschio, anche di farla meglio. Incollata fin da piccola al fratello, non piangeva mai, non aveva paura di niente: sembrava maneggiasse da sempre una spada quando gliel’aveva fatta impugnare, per metterla alla prova, replicando alle obiezioni dei genitori che le donne dei Briganti sono sempre state guerriere. Comanda anche lei uno squadrone dell’Ala Sabiniana (chi fosse Sabino si è perso col tempo). Comandava la cavalleria pure il padre di Marco, Breno, principe dei Briganti.
Ora, la madre Venuzia è stata rapita e resa schiava dai Sassoni. Con lei anche Bren, il figlio di Marco, gli comunica Valeria, informata da Leof, un quindicenne sassone che ha catturato.
Altri uomini dell’Ala sono il vicecomandante Demetrio, il decurione Caradoc, il portainsegne Luko, l’armaiolo Gofanon.
C’è da seguire il comportamento del prefetto Vittore. Perché sguarnisce i forti a guardia del Vallo, per rafforzare i suoi reparti in movimento nel territorio? Cosa sta architettando?
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