La Sicilia come metafora
- Autore: Leonardo Sciascia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mondadori
La Sicilia come metafora, pubblicato da Mondadori, è un libro che nasce nel 1979 da un’intervista a Sciascia dalla giornalista francese Marcelle Padovani. Potremmo dirlo un romanzo-denuncia che si rivela attuale a partire dalla critica al Potere, tema cardine della sua produzione. È questo il filo conduttore dell’intervista da cui affiora il ruolo dell’intellettuale in una società statica che non progredisce culturalmente e democraticamente. L’appiattimento culturale con la riduzione dell’uomo a merce, profetizzato da Pasolini, ha messo in crisi l’esercizio del pensiero e Sciascia avverte un’involuzione che comprime la libertà dell’uomo sempre più schiavizzato da pastoie burocratiche e legislative, economiche e finanziarie, oltre che chiesastiche. La manipolazione del consenso attraverso messaggi subliminali lo inquieta; allontana ogni spinta verso la crescita e acuisce in lui la ricerca della verità.
Il punto di partenza è la Sicilia vista come metafora del mondo. Sciascia scrive:
"La realtà tende a diventare ovunque “mafiosa”. La “linea della palma” risale dall’Africa verso l’Europa di 50 centimetri l’anno. Guai alle conseguenze!"
Così spiega l’elaborazione del vissuto in concetto:
"C’è stato un progressivo superamento dei miei orizzonti, e poco alla volta non mi sono più sentito siciliano, o meglio non più solamente siciliano. Sono piuttosto uno scrittore italiano […] che continua a essere convinto che la Sicilia offra la rappresentazione di tanti problemi, di tante contraddizioni […] da poter costituire la metafora del mondo odierno".
Se l’Isola è diventata rivelatrice della condizione umana, lo si deve alla sua scrittura di alta qualità letteraria, sostenuta da una vitale tensione morale. A essere deteriorato è il tessuto dell’intero Paese e il fenomeno della corruzione è diventato pervasivo e transnazionale. Ecco, allora, il suo pensiero-azione enunciato con estrema lucida chiarezza che gli giunge dallo sguardo acuto di moralista:
“Considero il potere, non già alcunché di diabolico, ma di ottuso e avversario della libertà dell’uomo. Sono tuttavia indotto a lottare perché, all’interno del potere, si abbiano ricambi, possibilità di "alternative", novità, una migliore organizzazione della giustizia, una libertà sempre più ampia, ragion per cui mi impegno quando c’è una battaglia da combattere. Mi rendo perfettamente conto di essere animato da un certo spirito di contraddizione, ma so che ogni essere umano che esercita un’attività intellettuale non può essere animato”.
Preso di mira è il Leviatano, di cui aveva parlato Hobbes, per evitare che l’avversario prevalga sui bisogni autentici dell’uomo. In sostanza, le risposte date all’intervistatrice esprimono una sorta di autodifesa contro il proliferare del Potere e la letteratura coincide con la verità come ricerca di alternative opposte ai tentacoli della piovra.
Sicché lo scrittore, lungi dall’essere né un filosofo né uno storico, vive e fa vivere la verità, estraendo dal complesso il semplice, anche se rappresenta “terribili cose”. Il drammatico e la rivolta, l’attenzione alla storia e l’arma dell’ironia e dell’autoironia sono qualità essenziali, non ignorando che quella dell’intellettuale è sì una condizione di solitudine, ma non di acquiescenza servile di fronte ai detentori del Potere. Sciascia si pone come intellettuale non asservito al sistema dei partiti politici. Egli si definisce “disorganico” o “anorganico”, pur rifiutando tali catalogazioni.
È il polemista illuminista che, muovendo dal fascismo, reagisce a ogni forma di totalitarismo anche se la ragione non trionfa mai. Non a caso A ciascuno il suo, spiega l’autore, nasce dalla volontà di scrivere
"il resoconto di un fallimento storico, il fallimento del centrosinistra […]. Quest’evento in realtà destinato a provocare un cambiamento radicale nella vita politica italiana, una volta di più era stato vanificato dall’eterna immutabilità dell’eterno fascismo italico".
L’intervista inizia dall’identità di Sciascia: siciliano che vuole “ragionare” sulle cose in termini di libertà e giustizia e che parla della “mafia”, dandone una rappresentazione disgregatrice. Fa indignare l’ “elogio funebre di un mafioso”. Un distico in corsivo dice “In Lui gli uomini ritrovarono / una scintilla dell’eterno rubata ai cieli”; poi seguono alcune informazioni sulla sua vita e l’epilogo è così espresso:
"Dimostrò, con le parole e con le opere, che la mafia sua non fu delinquenza, ma rispetto alla legge dell’onore, difesa di ogni diritto, grandezza d’animo: fu amore”.
La domanda “come si può essere siciliani” viene collegata con una lingua parlata priva del tempo futuro:
"La paura del domani e l’insicurezza qui da noi sono tali che si ignora la forma futura dei verbi. Non si dice mai “Domani andrò in campagna”, ma “dumani, vajiu in campagna”, domani vado in campagna. Si parla del futuro al presente. Così, quando mi si interroga sull’originario pessimismo dei siciliani, mi viene voglia di rispondere: “come volete non essere pessimisti in un paese dove il verbo al futuro non esiste?”."
La mancanza di idee è il più grande peccato della Sicilia. Per ragioni storiche, i siciliani non credono nelle idee, anzi mancano di progettualità; non credono che si possa cambiare e non credono che il mondo mai possa essere diverso da come è stato. L’assenza di futuro è italiana, ormai estesa a tutto il territorio nazionale. L’affresco che egli tratteggia del Paese, a ridosso dell’assassinio di Moro, è nitidamente efficace: vi dominano imposture, compromessi, corruzioni e mafie. Spetta alla letteratura, con la sua forza e limitatezza, il compito di contrastarne l’avanzata, di mostrare le contraddizioni su cui è stato edificato il Palazzo al fine di poter ripartire con speranzose prospettive.
In sostanza, La Sicilia come metafora è un libro denso di rimandi culturali. Pur nel pessimismo di fondo, dato che pessima è la realtà, sveglia le coscienze dal sonno della ragione: visione costruita ricordando i naufragi e dando voce, come in un appello, a possibilità di risarcimento. Citando Savinio, si ripresenta il pensiero della morte con l’invito "a tornare ai grandi temi della filosofia".
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