La casina reale di caccia a Ficuzza. La fabbrica, l’arte, le cacce del re
- Autore: Giovanni Fatta
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2023
Arte, storia, architettura si fondono al meglio in questa pregevole pubblicazione di Giovanni Fatta, docente universitario di architettura tecnica, già autore di saggi di interesse tra i quali: La riforma ottocentesca dei Quattro Canti di Palermo, 2018, Piazza Marina a Palermo, memorie di cronaca cittadina, 2019, Le logge delle monache lungo il Cassaro di Palermo, (ed. Caracol 2022).
Si pone l’attenzione adesso su un’edificazione destinata ai reali, sita nelle vicinanze di Palermo nei pressi del bosco di Ficuzza in un volume ricco di illustrazioni e che contiene una notevole mole di informazioni e parecchi aneddoti e curiosità degni ognuno di particolare attenzione.
Trattasi di un libro molto accattivante dalla natura multidisciplinare che si sofferma non solo sulla “Fabbrica”, di questa “Casina reale”; è un volume da cui si rimane catturati per il carattere e lo stile divulgativo e insieme attento e scientifico, adoperato nella scrittura e nella narrazione. Un carattere e un approccio non usuale per un “addetto ai lavori” che si occupa scientificamente dell’aspetto prettamente tecnico delle opere architettoniche.
Ci si muove invece all’insegna della contaminazione e si offrono al lettore, notizie di Storia e di storie diverse legate a questo edificio per un lungo periodo dimenticato e abbandonato.
Vicende storiche hanno attraversato la “Casina di caccia” che costituisce una testimonianza di un momento storico particolare, per quello che gli è accaduto intorno. Alla base del sorgere e della necessità della edificazione, è la “campagna d’Italia” napoleonica che vide scendere nella penisola le truppe francesi napoleoniche che occuparono il napoletano costringendo il Re a riparare in Sicilia. Il sovrano borbonico arrivato in una terra di Sicilia, che disconosceva ed essendo appassionato di natura e di caccia, andò a cercare un luogo che si prestasse a soddisfare i suoi desideri.
Ferdinando, uomo dai moltissimi difetti ma anche con qualche pregio, si dedicò a cercare i posti più belli della zona per rivivere i fasti della reggia di Napoli, essendo abituato a dimorare non solo nello splendido palazzo reale, ma anche negli altri siti reali eccezionali che gravitavano intorno alla capitale tra le quali, la Villa Favorita di Ercolano, la reggia di Portici, Carditello.
Vi era l’imbarazzo della scelta essendo tutti siti favolosi, opera di illustri architetti quali Vanvitelli. Nel 1809 Ferdinando lascia “La Favorita” di Palermo dove dimorava nella Casina alla cinese e si trasferisce a Ficuzza che diviene pertanto come la capitale del Regno anche se dimezzato alla sola Sicilia.
Vi è un tema sotteso in questo libro, quello che i Siciliani si sentivano eternamente orfani di un loro Regno.
L’accoglienza favorevole al re fuggitivo fu quindi forse come una speranza di riacquistare l’antico ruolo di regno indipendente quale lo era ai tempi dei Normanni. Quello che traspare dalle carte e dalla documentazione esaminata, è il sempre presente desiderio di autonomia nei Siciliani, comprovato dalle continue rivolte a partire dal 1820, se non prima.
Giovanni Fatta parla della complessità dei lavori della “Casina” descrivendo e soffermandosi sulla scelta dei materiali, sulle tecnologie adoperate, anche in una logica di vicinanza di acquisizione. Una curiosità fu la formazione di una “Commissione per l’estirpazione dei malviventi” che effettuava frequenti sopralluoghi in cantiere per verificare che non vi fossero eccessive irregolarità. L’architetto Marvuglia, adoprò sistemi costruttivi mai utilizzati in altri parti. profittando delle risorse del bosco, quale il sughero unito al gesso. Palermo era relativamente lontana per quei tempi e nelle vicinanze si trovarono delle cave con una bellissima pietra calcarenitica bionda che è quella che si vede posta a vista.
I viaggi per raggiungere Ficuzza erano molto lunghi e Fatta li racconta, essendo pieni di divertenti e gustosi particolari per quello di cui si cibavano in modo, ricco, sovrabbondante e differenziato e per quello che si portavano seco descritto con dovizia di particolari. Durante il tragitto il sovrano andava con la carrozza fino a dove finiva la strada carrozzabile per poi andare a cavallo, mentre altri procedevano con la lettiga.
Nel volume si parla dell’evoluzione del progetto che prevedevano oltre agli appartamenti reali, ambienti destinati ai nobili che accompagnavano il Re durante la caccia, e zone destinate all’incontro con i vari messi che venivano a riferire al Re di quanto succedeva quando era intento a cacciare.
Ma quello che meraviglia è come nella pluralità di vani, vi fosse solamente un bagno, un notevole “disallineamento” rispetto a oggi.
Nel tempo, circa un anno e mezzo, vi furono almeno tre progetti, un’evoluzione che vede dei modelli completamente diversi tra di loro da uno modestissimo appena abbozzato dallo stesso sovrano a un altro progetto modellato al sito di Carditello, molto grandioso, ma che venne poi abbandonato.
Una notazione a parte spetta agli artigiani e artisti della cui opera rimane pressoché nulla per le spoliazioni che si ebbero durante i moti del 1820/21 e per le diverse e successive destinazioni d’uso tali da rendere quasi irriconoscibile l’originale sito. Solo il bosco rimase e rimane pressoché intatto, anzi ancor più curato divenuto patrimonio condiviso dalla comunità. Vi erano tra l’altro all’interno dell’abitato due serie di arazzi molto preziosi che arrivavano dalla Real Fabrica dei Borbone dove operavano artigiani straordinari. Le destinazioni d’uso nel tempo sono state diverse, dissimili e disparate tra le quali anche quella di Grand Hotel per un periodo non definito.
Resta la memoria di un luogo di un edificio da apprezzare e valorizzare ancor più facendolo ritornare agli antichi fasti. Occorre rifuggire dall’intenzione di destinazioni improprie e lasciare inalterata la magia, la bellezza e il fascino che il luogo indubbiamente possiede per troppo tempo dimenticato.
Una dimenticanza che lo ha però preservato, lasciandolo in un favorevole oblio che ha giovato a una sua conservazione evitando peggiori danneggiamenti come avvenuto per tanti eclatanti siti e beni storico architettonici, che sono stati persino snaturati. Occorrerebbe trovare un modello di conservazione sostenibile, da un punto di vista delle fonti finanziarie assegnate e della fruizione pubblica, abbinando al meglio valorizzazione e rispetto.
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