La nostra guerra 1940-1945
- Autore: Arrigo Petacco
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: UTET
- Anno di pubblicazione: 2016
Mentre l’ora delle decisioni irrevocabili batteva nel cielo della patria, tutti, non solo Benito Mussolini, erano certi che la guerra in cui si entrava quel 10 giugno 1940 sarebbe terminata di lì a poco. L’irresistibile blitzkrieg avrebbe assicurato la vittoria alla Germania e l’Italia sua alleata avrebbe partecipato avida al banchetto di terre sul tavolo della pace. Ma la guerra lampo, dall’esito tanto scontato per chiunque, sarebbe diventata fin dall’estate la tremenda "seconda guerra mondiale". Una tragedia interminabile, ricostruita per la parte italiana dallo storico e divulgatore Arrigo Petacco in un ampio ed efficace volume di storia e di cronache, “La nostra guerra 1940-1945. L’Italia al fronte tra bugie e verità”, riedito da UTET nel settembre 2016 (pp. 400 pagine, euro 25,00), con un inserto fotografico di 16 pagine a colori e la versione ebook compresa nel prezzo di quella cartacea.
Sulla base delle nuove ricerche e rivelazioni, il lavoro riaggiorna il tema dell’Italia e degli italiani in quel conflitto, sul quale il giornalista e scrittore di Castelnuovo Magra ha più volte indirizzato l’attenzione del pubblico.
Un popolo entrato entusiasta nel tritacarne e uscito stritolato. Ma il dittatore – questa la tesi di Arrigo Petacco – non era l’unico responsabile di quella caduta nell’inferno che si rivelerà quella guerra, ancora più estesa della prima all’intero pianeta. Mascella quadrata aveva qualche decina di milioni di correi: tutti i connazionali dell’epoca, salvo rarissime eccezioni, sparuti antifascisti che faticavano ad esternare i dubbi, sopraffatti dal consenso popolare per il duce. La massima parte di quanti avevano ascoltato in radiodiffusione il roboante discorso di Mussolini non pensavano affatto a una scelta criminale e a un salto nel vuoto. All’annuncio della dichiarazione consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e Francia, avevano levato grida altissime di Guerra! Guerra! Non nutrivano dubbi sul destino del Paese: convinti che il conflitto sarebbe stato breve e vittorioso, si aspettavano da un momento all’altro l’avvio di un’operazione militare spettacolare che avrebbe caratterizzato l’intervento italiano.
Il modello erano i blitz travolgenti dei carri armati tedeschi, che avevano piegato in un mese la Polonia, nel settembre 1939 e stavano cancellando in poche settimane una grande potenza militare come la Francia, avevano già costretto al rovinoso reimbarco a Dunkerque il contingente britannico. La guerra lampo dei generali di Hitler aveva drogato l’opinione pubblica italiana: visto che si stava dalla parte dei più forti, se ne sarebbe tratto un grande vantaggio.
Tutti quelli che la pensavano così – diversi milioni - non immaginavano quanto dovesse risultare sbagliato questo ragionamento, che in quelle ore tuttavia non presentava controindicazioni.
Prima di un drammatico risveglio, tanti sogni hanno un inizio felice. Quello degli italiani il 10 giugno fantasticava strategie brillantissime, di cui ci si diceva certi, nei capannelli in piazza e nei locali pubblici, nonostante il divieto di parlare di politica e di alta strategia, intimato dai cartelli appesi alle pareti. Si indicavano gli obiettivi più probabili: Malta, per cominciare. La base navale britannica che minacciava i collegamenti con la Libia sarebbe stata eliminata al più presto, di sicuro. Poi sarebbe toccato agli stretti di Suez e Gibilterra, anch’essi in mano inglese, che ci imprigionavano nel Mediterraneo. Per non dire di Biserta, nella Tunisia francese, puntata contro la Sicilia e della Corsica, di Nizza e della Savoia, terre irredente che anelavano a ricongiungersi con la madrepatria. “Lui” aveva certamente già deciso dove colpire. Non restava che attendere.
Niente di tutto questo, invece. Non una mossa strategica, se non l’offensiva alpina al rallentatore contro la Francia sconfitta, considerata dai transalpini una pugnalata alle spalle, nonostante l’indolenza con cui veniva condotta.
Cinquantotto mesi dopo, penzolando a Piazzale Loreto, i cadaveri di Mussolini e dei gerarchi sarebbero diventati l’icona dei lutti e delle sofferenze di una nazione devastata dalla guerra, fuori e soprattutto dentro i confini.
A differenza della Germania, l’Italia ottenne un trattamento privilegiato, per il contributo offerto agli Alleati dai partigiani e dal Corpo militare di liberazione. Cancellate le colonie, inevitabile: Etiopia, Eritrea, Libia, Dodecaneso e la piccola concessione a Tien-Tsin in Cina. Proseguì fino al 1960, invece, l’amministrazione fiduciaria della Somalia, per conto dell’ONU. Il territorio nazionale venne rispettato, a parte Trieste, il Goriziano, l’Istria e la Dalmazia. I francesi, che volevano la Val d’Aosta, dovettero accontentarsi di Briga e Tenda. L’Austria restò a bocca asciutta.
Venne imposto il pagamento di 100 milioni di dollari all’URSS per danni di guerra, 125 alla Jugoslavia, 105 alla Grecia, 25 all’Etiopia, 5 all’Albania. L’Esercito fu ridotto a 250.000 uomini (65.000 dei quali Carabinieri) e 200 carri armati. La Marina a una manciata di unità efficienti e 20.000 marinai. L’Aeronautica a 200 fra caccia e ricognitori, 150 aerei da trasporto, nessun bombardiere e 25.000 uomini. Ma le sanzioni militari ebbero vita breve: l’ingresso nella NATO rilanciò l’utilità del Paese come baluardo contro il comunismo…
Tanto sangue, per cosa?
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