La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite
- Autore: Byung-Chul Han
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2021
I pamphlet di Byung-Chul Han sono sempre preziosi per la comprensione del nostro stare al mondo. Questo filosofo nato a Seul, in Corea del Sud, che ha studiato Filosofia a Monaco di Baviera, da anni vive in Germania e scrive in tedesco. Diventato piuttosto conosciuto con il libro Infocrazia. Le nostre vite manipolate in rete (Einaudi, 2023), precedentemente aveva già pubblicato questo libro dal titolo La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite (Einaudi stile libero, 2021, trad. Simone Aglan-Buttazzi), che sembra uno scritto nato su committenza per narrare il primo periodo pandemico Covid-19 e sul costante bisogno umano di allontanare il dolore con tutti i mezzi.
Caratteristica di Byung-Chul Han è lo stile frammentato e la ricchissima bibliografia. Non ha certo bisogno di fare sua una considerazione già analizzata da altri studiosi filosofi. La prima parte del libro è dedicata all’allontanamento del dolore, per cui ci curiamo anche un mal di testa o una sbucciatura su una gamba trovando in casa veri arsenali di farmaci e di materiale da parafarmacia, che il filosofo chiama la medicalizzazione del dolore.
Le nostre vite sono state anestetizzate e non c’è spazio per "accogliere" il dolore che è più creativo del piacere, sicuramente meno accomodante e utile per una vita zombie in giacca e cravatta o in tailleur, per appuntamenti di lavoro dove il dolore deve sparire, mentre la maschera è un atteggiamento compiaciuto. Si potrebbe dire allora che chi allontana il dolore lo fa per egoismo e smanie di carriera. Purtroppo, l’esempio si può estendere a uno studente così come a un operaio che, rispetto al manager, almeno intuisce più quale danno possa esserci nell’ansia di dominare il dolore a tutti i livelli, con un conformismo politico e una società piatta e banale, dove non esiste quasi più una politica che crea confronti per fare delle riforme.
È venuto meno lo spirito comunitario e il comunicarsi le difficoltà giornaliere. Ecco perché poi la gente vota candidati già “morti” o in procinto di andare in letargo, nessuno vuole il dolore di una rivoluzione. Se solo pensiamo a quanti statunitensi sani fanno ora uso di oppioidi, medicine che dovrebbero essere usate su pazienti oncologici gravi, capiamo che il dolore può aprire le nostre menti e capire i nostri veri bisogni.
Ma in realtà sta prevalendo il modello del pensiero positivo unico dove un like, “mi piaci”, non si nega a nessuno e non solo sui social ma a tutte le persone che non ce la fanno a spiegarti cosa c’è che non va.
Le persone depresse vengono imbottite di medicinali e per queste persone diventa necessario il consenso medico, previdenziale, se non riescono a lavorare, ma lo spirito comunitario non c’è più e forse non c’è mai stato.
A questo punto Byung-Chul Han sembra quasi liberarsi scrivendo:
La vera felicità è possibile solo se infranta. È proprio il dolore a salvaguardare la felicità.
Inoltre le conferisce una durata. Il dolore regge la felicità. La felicità dolorosa non è un ossimoro. Ogni intensità è dolorosa.
Ma il filosofo voleva soffermarsi sul perché semplicemente non c’è da nessuna parte la voglia di godersi la vita con l’intensità dolorosa o forse il dolore si è solo tramutato in pillole prese in discoteca, o polvere bianca, o funghetti allucinogeni e poi non rimane che ballare per ore.
La stanchezza dei giovani è gradita al neoliberismo, poiché toglie loro la voglia di cambiare il mondo.
C’è poi nel libro la parte in cui si parla del virus, nella quale invece prevale lo spirito di sopravvivenza. La sovraesposizione mediale della morte ci rende nervosi. Per lo studioso succede un fatto enorme: viene vietata la messa di Pasqua perché bisogna rispettare il distanziamento sociale, la virologia vince quindi sulla teologia. Non era mai accaduto.
“La vita”, scrive il filosofo Byung-Chul Han, “diventa nuda, oscena”.
Non c’è più una narrazione di noi che abbia senso. I simboli religiosi non reggono all’impatto della sopravvivenza. Che poi nonostante la sopravvivenza, ci si sente superflui.
Un pamphlet a ogni modo molto interessante e scritto benissimo.
La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite
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