Lanterna magica
- Autore: Ingmar Bergman
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Garzanti
"A poco a poco, invecchiando mi sono accorto di una semplice verità: io continuo a vivere la mia infanzia."
Queste parole, pronunciate da Ingmar Bergman in uno dei suoi libri, sono forse il modo migliore per capire il bisogno di raccontarsi del grande regista svedese, partendo dalla sua nascita per proseguire poi con tutta la sua vita, sia professionale che privata in un’autobiografia straordinaria per immagini, emozioni e sentimenti.
Si tratta del primo libro scritto dal grande maestro della cinematografia mondiale, il quale dopo aver abbandonato il ruolo di regista per il grande schermo, ha iniziato a scrivere una serie di opere tutte di carattere autobiografico o riguardanti la propria storia familiare, che ci permettono di conoscerne la personalità complessa ma geniale e confermano la sua grandezza anche come autore.
"Lanterna magica" (pubblicato in Svezia nel 1987 ed in Italia per la prima volta da Garzanti con la traduzione di Fulvio Ferrari, titolo originale Laterna magica) è un racconto appassionato e sincero, con la narrazione che avviene in prima persona che rende ancor più credibile la vicenda autobiografica di Bergman, il quale non fa sconti a nessuno, nemmeno a se stesso.
Come ogni vita, tutto parte dalla nascita e già sembra avere qualcosa di miracoloso: la madre, colpita dall’influenza spagnola, partorisce il piccolo Ernst Ingmar Ia domenica del 14 luglio del 1918 ad Uppsala, città della Svezia centrale, famosa per la sua cattedrale gotica ma soprattutto per essere la sede della più antica università della Scandinavia.
Il bambino, debole a causa di una forte denutrizione, rischia subito di non sopravvivere.
L’intervento tempestivo della nonna materna che lo porta nella sua casa di campagna, nutrendolo durante il viaggio in treno con del pan di Spagna bagnato nell’acqua, risulta provvidenziale grazie anche soprattutto ad una giovane donna che si presta a far da balia al piccolo, fornendogli il nutrimento e le cure necessarie. Superato così il primo duro ostacolo, il piccolo Ingmar si affaccia alla vita rivelandosi tuttavia da subito un bambino particolarmente sensibile, ma anche dal carattere difficile, poco disposto a seguire le regole, sempre pronto a ribellarsi, ma anche affettuoso e dotato di un’incredibile fantasia. Le prime bugie, alcune anche grosse, come quella raccontata ad un compagno di classe, che lo tradisce rivelando tutto alla maestra, di essere stato venduto dai suoi genitori ad un circo; i litigi spesso furibondi con il fratello maggiore Dag, più grande di Ingmar di quattro anni; il tentativo di liberarsi della sorellina Margareta per motivi di gelosia e le severe punizioni ricevute specialmente dal padre, spesso anche corporali, sono solo alcuni tra gli importanti primi ricordi della sua infanzia.
Bergman è figlio di un pastore protestante, Erik, divenuto in seguito, dopo essere stato parroco per molti anni in diverse comunità, cappellano reale a Stoccolma, e di un’infermiera di famiglia borghese, Karin, a cui il piccolo era molto legato al punto da volere il suo affetto tutto per lui. L’autore cresce in una famiglia molto religiosa di fede luterana e riceve un’educazione rigida, basata su regole e consuetudini da rispettare scrupolosamente, ma di cui da bambino non comprendeva il senso.
Un ruolo centrale nella sua infanzia lo recita la nonna materna Anna Akerblom, con la quale l’autore ammette, a dispetto del suo carattere dispotico e della sua personalità forte che tende a dominare e controllare la vita delle persone, di aver trascorso i momenti più belli della sua infanzia.
Il luogo privilegiato dei ricordi di quel periodo della sua vita è la casa di campagna chiamata Varoms, situata a Dufnas, in Dalecarlia, la regione corrispondente all’odierna provincia della Dalarna, nel cuore della Svezia. Varoms, nel dialetto della cittadina di Orsa, significa "nostra". Questa casa e la campagna circostante è il teatro di tutte le sue esperienze giovanili più importanti, come il primo amore per una ragazzina sua coetanea, Marta, le feste natalizie con i parenti, in particolare lo zio Carl, al quale dedica un’intero capitolo, i primi giocattoli tra cui un proiettore regalato in realtà a suo fratello, ma che riesce a barattare con un esercito di soldatini di stagno.
La sua passione per il cinema e in seguito anche per il teatro nasce proprio da bambino, inizialmente come un gioco. Tra le numerose punizioni previste ce n’è una in particolare che prevedeva di essere chiuso in un buio sgabuzzino, dove secondo il racconto di Alma, una delle tante domestiche passate per casa Bergman, viveva uno strano essere che mangiava le dita dei piedi dei bambini, e il piccolo già terrorizzato dall’oscurità, non sapeva come fare per difendersi. Riuscì un giorno ad escogitare un geniale stratagemma: illuminò la parete di fronte dello sgabuzzino con una lampada opportunamente nascosta prima di entrare e grazie al fascio luminoso potè immaginare varie figure muoversi proprio come sullo schermo cinematografico. Nessuno scoprì questo suo fantastico gioco che gli permise di vincere la paura e di trascorrere felicemente il tempo nello sgabuzzino.
Il titolo del libro ha origine proprio da questo gioco. L’infanzia e la prima giovinezza non sono state tuttavia facili e al contrario di quello che pensano molte persone, il successo, la popolarità e la realizzazione personale di un artista a volte passano attraverso difficoltà che sembrano insormontabili.
Ingmar Bergman è diventato uno straordinario tra i più grandi registi di sempre della storia del cinema e anche del teatro, solo grazie alla sua tenacia, al suo lavoro e al suo straordinario talento. Nessuno gli mai regalato nulla e scegliendo una professione senza una persona in famiglia che può guidarti e darti indicazioni utili per il tuo mestiere, è difficile realizzare il proprio sogno, perché tale percorso passa anche attraverso innegabili sofferenze.
Il complicato rapporto con i genitori, in particolare con il padre, è uno dei temi centrali nelle sue opere autobiografiche, che lo ha portato ad andare a vivere da solo a soli diciannove anni per cercare di costruire il suo futuro.
"Lanterna magica" è un’opera affascinante non perchè racconta un sogno che si realizza ma perchè c’è l’autenticità di un’esistenza umana, fatta anche di dolore, di asprezze, di solitudine, di incomprensioni familiari, di giudizi forse troppo severi che lo stesso autore ammette di aver avuto verso i suoi genitori. Ingmar Bergman ha saputo mettersi in gioco nella vita, e forse ancor di più in questo libro mettendo a nudo anche le sue più insospettabili debolezze.
Tra tante difficoltà emergono però anche la forza interiore che tali esperienze possono generare in un essere umano, la passione autentica e disinteressata per il proprio lavoro, il cui fine non è la celebrità, ma la volontà di esprimere la propria sensibilità artistica, e l’amore per la vita nonostante i tormenti e i problemi. Ingmar Bergman non ha mai preteso di essere capito a tutti i costi, ma ha cercato di trovare un suo modo di esprimersi e di comprendere gli altri, cioè la complessità della personalità umana.
La ricerca di Dio è una caratteristica costante della sua produzione teatrale, cinematografica e letteraria. Il suo desiderio di coltivare la spiritualità e di un mondo migliore si scontra a volte con la visione cristiana di Dio che gli era stata insegnata dalla sua famiglia.Tuttavia anche quando nei momenti di dubbio e di dolore arriva a rinnegare Dio e persino ad offenderlo, la porta che lo conduce alla fede rimane per lui sempre aperta, lui stesso vuole lasciarla aperta, come dimostra in tanti suoi capolavori cinematografici, basta ricordare "Come in uno specchio", ma anche nei suoi scritti, dove mantiene viva la speranza che Dio attraverso il suo amore misericordioso possa condurre l’uomo alla salvezza dell’anima.
"Lanterna magica" è un libro la cui narrazione non avviene con un ordine cronologico preciso, bensì secondo un flusso di pensieri, riflessioni e ricordi che riaffiorano alla mente dell’autore per fare luce sulla sua vita di uomo maturo, a ridosso della vecchiaia, e far conoscere anche ai lettori aspetti inediti della sua personalità.
Il racconto della vita di Ingmar Begman da adulto è composto di un intreccio, ben realizzato, di vicende private e professionali. Tra gli episodi meno noti al pubblico è importante ricordare la grave accusa di evasione fiscale che il grande regista svedese subì e che si rivelò del tutto infondata, ma che incise una profonda ferita nel suo animo, al punto da sentirsi quasi tradito dal suo paese e che lo portò a vivere per un periodo in Germania, negli anni Settanta, dove continuò a svolgere il suo lavoro. In seguito, prosciolto dall’accusa, tornò nella sua amata Svezia.
Un’ampia parte dell’opera è dedicata alla sua attività di regista teatrale, cinematografico e di sceneggiatore dalle origini fino all’ultimo film diretto per il cinema "Fanny e Alexander" nel 1982. Quello che colpisce del suo lavoro oltre alla passione che lo contraddistingue, è il rapporto umano che riesce a creare con le persone che lo accompagnano nel suo percorso professionale, in particolare con gli attori. Tra i tanti incontri importanti della sua vita quello con Victor Sjostrom, indimenticabile protagonista de "Il posto delle fragole", che descrive molto bene in un capitolo, ma anche quello con il direttore della fotografia Sven Nykvist, con il quale collaborò per tanti anni. Sono tuttavia le donne e la loro psicologia a rivestistire un ruolo fondamentale nella sua vita: così racconta dell’incontro con celebri dive del cinema come Greta Garbo ed Ingrid Bergman, ma soprattutto di quelle che sono state anche sue compagne di vita come Liv Ullmann, dalla cui relazione è nata una figlia, e altre attrici come Eva Dahlbeck, Harriet Andersson, Bibi Andersson, Ingrid Thulin, solo per citare le più famose. La sua vita sentimentale è stata tormentata e complessa e dai vari matrimoni e convivenze sono nati numerosi figli con i quali non sempre i rapporti sono stati facili.
Il libro si chiude con un incontro immaginario dell’autore con la madre, molti anni dopo la sua scomparsa, nel vecchio appartamento della canonica dove i suoi genitori vivevano: Bergman le chiede spiegazioni su tanti aspetti della loro vita che tanto avrebbe voluto comprendere, con le parole tratte dal diario di lei che raccontano il momento della nascita del piccolo Ingmar. Il racconto si conclude proprio da dove era partito e questo ha un forte carattere simbolico.
Il 30 luglio del 2007 nell’isola di Faro, nel mar Baltico, dove ha vissuto per ben venticinque anni, Ingmar Bergman ci ha lasciato. Per ammissione di una delle sue figlie Eva, che lo ha assistito nell’ultimo periodo "è morto in pace", lui che ha convissuto sempre con tante paure e preoccupazioni.
"Sono come un pescatore di perle" che cerca di cogliere quegli attimi preziosi, quelle immagini che solo il cinema, che arriva direttamente al cuore delle persone può esprimere. Se questo è certamente vero, è possibile affermare allo stesso modo che la scrittura è alla base del cinema così come del teatro ed è per questo che "Lanterna magica" è da consigliare a tutti coloro che desiderano cogliere l’animo di Bergman e scoprire la sua eccellente sapienza narrativa.
"Le parole scritte hanno una vita propria"
Sostiene Bergman e questo conferisce ad ogni libro ben scritto un valore inestimabile.
Chi scrive ricorda con commozione ed affetto il giorno della sua scomparsa, perché a lui deve la passione per il cinema e la letteratura, nella speranza di trasmettere anche solo in piccola parte, la straordinaria emozione provata per questa lettura.
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