Nino Bixio. Vita e morte
- Autore: Mino Milani
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2021
Bixio, quarantotto anni, un uomo realizzato, generale dell’Esercito, deputato e tuttavia arma una nave, saluta moglie e figli, lascia tutto e va a commerciare in Cina e India, smanioso come sempre. L’attivissimo narratore Mino Milani comincia dall’inizio della fine Nino Bixio. Vita e morte, racconto biografico dell’esistenza mai banale di un protagonista del Risorgimento, noto alla maggior parte degli italiani fino dalle elementari. Lo scrittore pavese l’ha pubblicato per la prima volta nel 1977 e Mursia lo ha riproposto nel centocinquantenario dell’Unità nazionale e torna a offrirlo ai lettori nell’edizione anastatica del 2021 (190 pagine).
Una popolarità ancora intatta in tutta la sua attualità, ma una figura meno conosciuta di quanto si potrebbe pensare, inesplorata, come il carattere e il temperamento del secondo in comando dei Mille. Poco approfonditi, al di là di qualche tratto scolpito con l’accetta (serio, inflessibile, intransigente, furioso, attaccabrighe, sostanzialmente antipatico). Ci si limita in genere a pochi episodi, quello di Bronte su tutti, dove gli si attribuisce un comportamento "kappleriano", che invece non fu certamente il suo.
Uomo d’armi, di mare, d’azione, ossessionato dal sogno dell’Unità nazionale e della grandezza dell’Italia, aveva quarantotto anni alla partenza per l’ultima avventura e sessantadue quando morì di colera, nelle isole dell’Indonesia. Era nato nel 1921, figlio del direttore della Zecca di Genova, orfano di madre a otto anni, mozzo a tredici sul brigantino “Oreste e Pilade” che toccava le Americhe. Volontario nella Marina Sarda a sedici anni, come surrogante del fratello Giuseppe, di leva. Innamorato perso a diciannove di una bella nipote. Poi marinaio, nostromo, naufrago, quasi cibo per gli squali e prigioniero degli schiavisti. Successivamente, affiliato alla Giovane Italia a venticinque anni.
Dopo avere combattuto nella prima guerra d’indipendenza, accorse a Roma con l’amico Goffredo Mameli a difendere la Repubblica mazziniana, al fianco di Garibaldi, che lo promosse maggiore sul campo. Una volta tradito dai francesi il sogno repubblicano, dovette riparare a Genova ferito seriamente, ma non si erano contate le cariche alla baionetta guidate avanti a tutti.
Il decennio seguente lo vide mai domo, coinvolto perfino in un progetto di rapire l’imperatore austriaco in visita a Milano nel 1852 e poi nuovamente in mare, una volta diplomato capitano di lungo corso.
Ufficiale dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi nella seconda guerra d’indipendenza del 1859, un anno dopo fu tra gli organizzatori dell’impresa dei Mille (sequestrò i due battelli della ditta Rubattino e governò personalmente il Lombardo). La spedizione dovette molto alla sua irruenza e allo sprezzo del pericolo, ma si dimostrò leale con gli avversari, sebbene implacabile con i vili e i lavativi.
Eletto deputato della Destra nel 1861 (sarà anche senatore, nel 1870), transitò nell’Esercito italiano, comandante di una divisione nella battaglia di Custoza del 1866. Dopo la parentesi nuovamente garibaldina a Mentana, rientrato nei ranghi guidò l’occupazione di Civitavecchia il 16 settembre 1870, senza spargimento di sangue. Il 20 entrò a Roma, da Porta San Pancrazio, alla testa delle sue truppe.
Attivata subito dopo la linea commerciale nautica con l’estremo Oriente, morì di colera il 16 dicembre 1873, nei pressi di Banda Aceh, a Sumatra. Le ceneri riposano a Staglieno.
Una vita paragonabile a una continua avventura (“ho fatto tutto sempre con smania, la guerra, l’amore, la politica, i discorsi in Parlamento”): si può immaginare quanto Mino Milani sia riuscito col suo mestiere a rendere efficace questa biografia simile a un romanzo o questo romanzo condotto col rigore storico di una biografia.
Quanto agli episodi, tutti citati nel corretto svolgimento (considerevole la bibliografia dei testi consultati da Milani), numerosi flashback contrappuntano il racconto di Bixio, armatore dal 1870 al 1873 di un battello di metallo, a vela e vapore, con cui commerciava con l’Oriente.
Milani fa giustizia di maldicenze, quella del Bronte prima di tutte (ma ricostruire l’episodio sarebbe troppo ampio). Conferma gli accessi di rabbiosa aggressività, ma privilegia il Nino Bixio temerario, che combattendo contro gli odiati francesi a Roma, sul Gianicolo, nella primavera del 1849, agguanta un ufficiale transalpino per la collottola e lo trascina verso la sua truppa a ordinare la resa di un intero battaglione.
A metà settembre 1870 si ritrova davanti i francesi, asserragliati nella piazzaforte di Civitavecchia. Comanda una sola divisione e ha l’ordine di prendere città e porto, possibilmente senza spargere sangue. Bluffa con i plenipotenziari nemici, sostenendo di avere dodicimila uomini, dieci corazzate, cento cannoni e di poter radere al suolo la città. Offre dodici ore di tempo, non un minuto di più.
Allo scadere dell’ultimatum, nessun segno di resa. In cuor suo dubita di ordinare il fuoco, non gli darebbe pace causare la perdita anche di un solo civile... su forte Michelangelo si alza una bandiera bianca. Via telegrafo corre la notizia della liberazione di Civitavecchia, senza colpo ferire.
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