Vera gioia è vestita di dolore. Lettere a Mattia
- Autore: Anna Maria Ortese
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2023
Siamo così abituati a una donna già non più giovane, l’autrice dei grandi romanzi editi da Adelphi, che si fa fatica a pensare a Anna Maria Ortese giovane, che vive ancora a Napoli, in famiglia, che assiste la madre malata, intrattenendo una corrispondenza di lettere e cartoline con altre amiche che l’avevano conosciuta tramite il libro Angelici dolori (1937), creando una specie di sorellanza che teneva lontana la Ortese dalla sua malinconia e dall’odio immotivato che nutriva per sé stessa.
Questa Ortese inedita ce la svela l’epistolario Vera gioia è vestita di dolore. Lettere a Mattia (Con la curatela di Monica Farnetti e una nota di Stefano Pizzoli, Adelphi, 2023).
Chi scrive ha avuto il privilegio di conoscere la scrittrice e parlarci un poco, a Rapallo, dove viveva con la sorella Maria, perché era stato mandato dai suoi amici di Roma, in primis il poeta Dario Bellezza, a portarle delle stecche di sigarette. La donna che ho conosciuto era già anziana e fumava come una vera “chain smoker”, ovvero accendeva la sigaretta quella appena fumata. E riusciva a vivere grazie al sostegno della sorella Maria, che lavorava alle poste. Sul cibo e sui libri, niente da dire, ma a Maria quella spesa aggiuntiva delle sigarette sembrava uno “sciupio” di soldi e un danno per salute, perché poi la sorella era sempre col mal di gola.
Ma torniamo alle lettere a Mattia. Da queste missive viene fuori una Anna Maria Ortese che si scusa continuamente. Dalle cartoline, dalle lettere, emerge quasi una sorta di ritornello ripetuto in loop: “scusami, devi perdonarmi”.
All’inizio fu per la malattia della madre, che toglieva ogni energia ad Anna Maria, proprio perché il dolore delle persone più care erano una croce per la scrittrice che cadeva in uno stato febbrile di malinconia, quella nebbia che le scendeva sugli occhi e le rendeva irreale lo scrittoio, il suo letto, che le impediva persino di uscire di casa. Anche senza nebbia, la malinconia, perché così la chiamava la scrittrice, ora sarebbe ritenuta una "depressione" severa, che la portava verso il completo disgusto di sé. Non abbiamo le risposte di Mattia, che saranno state di pace e tranquillità, nel senso che l’amica probabilmente non dava peso a questi continui perdoni, ma anzi da come poi replica la scrittrice partenopea, la riempiva di consigli e sollecitazioni su film da vedere al cinema e soprattutto di libri che doveva leggere.
Le brevi lettere iniziali della scrittrice ci dicono questo:
Napoli, 26 dicembre 1940. Cara Mattia, grazie della cartolina e del giornale. Sono avvilita per mia madre che da stamane si lamenta e non so cos’abbia. Verrà fra poco il dottore. E se stanotte ci sarà un allarme, non so come faremo. Proprio avvilita, sono. Scusami dunque per questa brevità. Ti saluto affettuosamente. Anna.
È una delle poche lettere in cui la scrittrice parla degli allarmi, perché nel dicembre del 1940 l’Italia era entrata in guerra appena da pochi mesi, da giugno del 1940. Poi scrive del fratello e anche questa lettera, anche se non integralmente, viene riportata:
Sant’Agata sui due Golfi, 18 gennaio 1941. Mio fratello Antonio è morto in Albania, la notte dal 20 al 21 dicembre, ucciso dai briganti. Io ho pianto, ma ormai so che lui ha fatto molto bene a morire, e che anche io, se sarò degna di me, morirò ben presto: che su questo globo rimangono a lungo e bene solo i vermi, non ti pare? Addio.
Nel tono di questa missiva si avverte un certo melodramma, dovuto alla perdita del fratello, perché in realtà la Ortese non ci teneva poi così tanto a morire e visse a lungo e aveva una paura incredibile delle malattie, fosse anche di un raffreddore. Ma anche per un altro motivo, il fatto di essere stata povera per quasi tutta la vita, e se si ammalava non c’erano i soldi per le medicine, né per mangiare a sufficienza in stato di convalescenza. Il sostegno in seguito arrivò con la Legge Bacchelli (lei fu la prima scrittrice a ricevere il vitalizio) e grazie all’interesse di Roberto Calasso di pubblicarla per intero su Adelphi.
In un altro passo di una lettera viene fuori una Anna portata verso la preghiera, a lei che molti studiosi, per il suo pessimismo cosmico, vollero metterle il cappello dell’agnosticismo.
E qui ne abbiamo testimonianza, anche se nella sua lunga vita possa aver cambiato idea ma chi scrive crede che certe cose non cambiano e comunque parliamo di una scrittrice che era prossima ai trent’anni quando scrive:
Sant’Agata dei due Golfi 5 e 6 marzo 1941....(...)...Ti prego, Mattia, perché io credo che la preghiera abbia potere, di pregare molto per me Iddio, che mi guarisca, mi faccia tornare serena e limpida; mi apra gli occhi sul sogno di questa vita, perché io non me ne faccia travolgere.
Se poi vogliamo dare credito al vitalizio preso per la Legge Bacchelli per cui, secondo quanto riportano i referti medici, la scrittrice soffriva di una forma severa di depressione, ormai da contenere con antidepressivi di nuova generazione, che soli potevano liberarla da fobie e ossessioni, va bene. L’importante, per chi scrive, è che non vadano toccate scelte e convinzioni di una vita.
Nella nota di Stefano Pizzoli troviamo un breve ritratto di Mattia.
Marta Maria era una ragazza bolognese di ventidue anni, figlia di commercianti di stoffe, che subirono un tracollo economico nel 1929. Ma Marta continuò a frequentare il ginnasio e dopo anche il liceo, dove si diplomò col massimo dei voti. E più avanti, quando non spediva più lettere alla scrittrice, si laureò cum laude in Lettere e Filosofia, diventando poi una bibliotecaria.
Non si sposò mai perché il suo fidanzato morì in guerra; soltanto dopo la morte di lui scoprì che, negli ultimi mesi, il suo promesso sposo scriveva dal fronte anche a un’altra ragazza esprimendo il desiderio di sposarla.
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